Cucina Lucana

Basilicata in Cucina. Ricette, Eventi, Interviste

Carne alla pastorale (San Mauro Forte)

Carne alla pastorale (San Mauro Forte)

Intervista a Angela Bubbico realizzata da Marco Imperatore il 21 settembre 2019

Mi chiamo Angela Bubbico, ho settantasette anni e vivo a San Mauro.

Ti sei alzata presto per cucinare?

Alle sette.

Quanto tempo impieghi, più o meno, per la cucina?

Eh, due o tre ore, secondo [in base] alla cucina che fai.

E sei andata a fare la spesa?

No, non vado io a fare la spesa… va mia figlia a fare spesa… E basta.

Hai dei fornitori che preferisci?

No, sono tutti uguali per me.

E cosa hai comprato?

Pomodori, peperoni, il sedano, il basilico, la salvia, l’aglio, cipolla e carote.

Quindi hai comprato quello che occorreva per oggi?

Sì, quello che occorreva per oggi.

Ci sono altre ricette che sai cucinare?

Eh sì.

Ci sono anche ricette che non ti piace cucinare?

Beh, in verità non mi piace nessuna ricetta cucinare, però devo cucinare!

Hai imparato per gioco, quindi, o sei stata costretta a cucinare?

Beh, un po’ sono stata costretta da mia madre, perché lei andava in campagna e io dovevo cucinare. Quando tornava la sera voleva trovare pronto qualcosa da mangiare. E la cucinavo io, come facevo facevo, però la cucinavo!

Quindi già da bambina cucinavi?

E sì.

Ed è importante saper cucinare?

È importantissimo saper cucinare! È la cosa indispensabile per la donna in casa! Se non sa cucinare che sa fare in casa?!

E la dieta alimentare è cambiata rispetto al passato?

Ih! È cambiato tanto!

Mangiavamo cose più genuine… Cioè, il pane col pomodoro: quella era la colazione che facevamo noi; poi a mezzogiorno, quando mamma stava a casa, che preparava mamma da mangiare, ci faceva un po’… i maccheroni facevamo. La sera, poi, qualche altra cosa, però niente di speciale, tutte cose genuine.

E che cosa vuol dire genuino?

Eh genuino… cose fatte in casa da noi! Che coltivavamo noi il grano, che facevamo il pane, facevamo il pane in casa al forno. E non c’erano tanti… “Kom s dec? ‘L ‘kncuem… robi chimici” [prodotti chimici] … i pomodori li piantavamo noi, li coltivavamo noi e quindi erano tutti… coltivati da noi.

E che sapore deve avere una ricetta per essere buona?

Deve essere saporita, al punto giusto di sale… e anche di olio, non ce ne vuole tanto e nemmeno tanto poco. E insomma, deve essere equilibrata.

E a te fa piacere se apprezzano una pietanza che hai cucinato?

Ma come che mi fa piacere!

Perché?

Perché se la persona viene, fai l’invito a tavola a mangiare: quando la mangia che se la finiscono, allora si vede che gli è piaciuta, è andata bene; se non la mangiano, si vede che non gli è gustata.

Allora, ti faccio vedere come si prepara.

Io la carne… di solito la carne non si lava, però io l’ho lavata. Adesso la mettiamo nella pentola.

Che tipo di carne è?

Caprettone.

Adesso mettiamo gli ingredienti. L’aglio lo metto intero perché se qualcuno non lo vuole si può togliere. Se lo dividi a metà vengono più piccolini e non si può togliere. La cipolla. Facciamo un poco pure la cipolla grossa. Adesso mettiamo… il peperone. Lo tagliamo a metà così lo facciamo a pezzettini. Mò che mettiamo… la salvia, un mazzettino di salvia. Lo mettiamo intero. Adesso mettiamo il sedano. Il basilico. “T fazz vdé ka”

La carota.

Il pomodoro. “E basta kiò” . Il timo, un poco di timo. L’origano. È meglio se era a ciuffetti l’origano, però non ce n’ho e mettiamo quello già sbriciolato. Il sale. L’olio non ne mettiamo, perché un poco di grasso che ci viene  la carne la caccia lei stessa, se no viene troppo carica di olio e non ne mettiamo. Quindi, penso di aver messo tutto. Sì sì. Adesso mettiamo l’acqua.

Quanta acqua ci vuole?

Si deve coprire. Quand’è coperta va bene.

Ma tu da chi hai imparato questa ricetta?

Da mamma. Però mia madre la cucinava in una pentola di rame. Ché prima non si usava l’acciaio e sempre cucinavamo nelle pentole di rame. Ché quelle pentole venivano “stainate” [stagnate]. Erano come delle piccole… le pentole piccole, insomma. E lì dentro cucinavamo, perché viene più saporita dentro la rame. Ogni cosa che fai se la cuoci dentro la rame e sul fuoco è più saporita. Invece adesso questa possibilità non c’è e ci adattiamo all’acciaio e sui fornelli. Quindi come viene la cosa vi dovete accontentare, altrimenti non c’è di meglio!

E questa porzione per quante persone, più o meno, è valida?

Eh, cento grammi a persona… meh, è valida per dieci persone, va’.

E la carne deve avere qualche particolare?

Eh, deve essere un po’ grassa. Troppo secca no, ci vuole un po’ di grasso.

E i tempi di cottura?

Eh, dipende da come è dura la carne. Questa non tanto è dura e se ne vanno un paio di ore. Quando è dura se ne vanno anche tre e quattro ore. Ché prima facevamo prima il fuoco, poi mettevamo la caldaia con la carne, cuoceva a fuoco lento piano piano, però veniva più saporita. Però si impiegava più tempo. Adesso la possibilità di fare il fuoco non c’è e ci dobbiamo arrangiare, ci dobbiamo adattare.

Adesso mettiamo la pentola sul fuoco. Sui fornelli, anzi. Accendiamolo, mettiamo il coperchio. E così abbiamo finito.

E deve cuocere con un fuoco particolare?

Eh, a fuoco lento, per un’oretta. Dopo si aspetta che si raffredda la pentola e si può aprire. Altrimenti non si può aprire prima.

Questa è una pentola a pressione?

E sì, è la pentola a pressione.

Adesso dobbiamo cambiare la pentola: dalla fiamma più grande passiamo alla fiamma più piccola.

Perché?

Perché deve cuocere piano piano. La fiamma grande non va bene. Si passa alla fiamma piccola, ché cuoce piano piano e non c’è bisogno che… ah, è andata in pressione e quindi è stato passato alla fiamma piccola. E deve cuocere per minimo un’ora e poi la dobbiamo vedere se è cotta o meno. Dobbiamo attendere cinque minuti finché si raffredda un po’ la pentola e dopo la possiamo aprire.

Beh, adesso la carne è pronta, è cotta e possiamo aprire la pentola.

Quanto tempo è durata la cottura?

Mezzora. Prendiamo il mestolo.

Rispetto alla ricetta che ti aveva insegnato tua madre hai cambiato qualche ingrediente?

Eh, qualcosa sì. Per esempio il timo ci ho messo in più; la salvia.

Come mai?

Eh, ché prima non si usava tanto il timo… Abbiamo impiattato.

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Peperoni ripieni (Potenza)

Peperoni ripieni (Potenza)

Intervista a Carmela De Cunto realizzata da Marzia Mauro

Buongiorno, come vi chiamate?

Buongiorno, mi chiamo De Cunto Carmela

Abitate a Potenza?

Si

Siete nate a Potenza?

No, sono nata a San Severino Lucano, in provincia di Potenza

Cosa ci cucinate oggi?

I peperoni ripieni con mollica di pane, con un po’ di tonno, uno spicchio di aglio, un po’ di treccioline, un po’ di origano, olio e pomodorini.

Questo ripieno va messo nei peperoni, dopo averli mondati e poi si mettono nel forno a rosolare.

Ha un nome particolare questa ricetta o semplicemente peperoni ripieni?

No no, si chiamano peperoni ripieni perché ognuno ha delle preferenze sul ripieno. Non è una ricetta nuova, abbiamo questa tradizioni da molti anni.

Pensate che sia cambiata molto la cucina rispetto al passato?

Si, è tutto molto diverso da come cucinavamo noi; perché prima non c’erano tante cose come oggi, era un mondo con più esigenze e non c’erano cose già pronte, come per le alici che non erano nel barattolo ma erano quelle grandi, messe sotto il sale, poi noi le lavavamo per togliere il sale e facevamo ricette come queste.

Erano tutte cose fatte in casa e non comprate?

Si si, facevamo tutto noi a casa; ad esempio prendevamo il pesce fresco, lo pulivamo e lo mettevamo sotto il sale per molto tempo perché si doveva “marginare”. Dopo ci mettevamo una cosa sopra per farle pressare e poi cucinavamo.

Dove avete comprato gli ortaggi? Avete un orto o andate al supermercato?

Vado al mercato, oggi quelli che hanno un orto sono pochi, non é più come prima. Specialmente i giovani non vogliono fare questi lavori, solo alcuni anziani che se la sentono. Oggi ci sono tutte le comodità, c’è di tutto, invece noi dovevamo lavorare molto per avere gli ingredienti che ci servivano: “zappavamo” la terra, seminavamo, annaffiavamo.

Per i peperoni, prendevamo una cassetta, ci mettevamo la terra, poi spargevamo i semi, ricoperti con la terra e nascevano le piantine. Le piantine poi le prendevamo e le mettevamo nel terreno, una volta cresciute, le raccoglievamo. A volte li facevamo anche fare secchi, per fare il peperone macinato con il macinello a mano. Invece adesso si trova facilmente al supermercato.

Cucinavamo il minestrone, gli spaghetti aglio e olio.

Bisognava rispettare i tempi della natura?

Si si, bisognava rispettare tutti i tempi della natura. Dalle parti mie, dove prima c’erano i campi, ora c’è tutta erba; ci sono pochi che ancora coltivano i campi.

Trasmettete le tradizioni ai figli o ai nipoti?

Quando decidono loro si, che mi chiedono come si preparavano prima i cibi o cosa mangiavamo, oppure come si fa la pasta di casa. Però molte volte mi rispondono che adesso non c’è bisogna di imperare, perché si trovano già pronti o non hanno voglia.

Iniziate con il condimento?

Si, poi si mettono i pomodorini. Anche il prezzemolo alle volte, o un po’ di origano.

Per insaporirlo?

Si, si insaporisce subito.

Vi piace cucinare?

Si, mi piace ma per il problema che ho alla mano sono limitata. Però mi faccio bastare

Da dove imparate le nuove ricette? Dalle riviste o dai programmi televisivi?

Dai programmi televisivi, però le nuove ricette le fanno sopratutto i giovani. Quando devo cucinare, faccio le cose di sempre però faccio anche delle nuove ricette ma non tanto.

A voi chi ha insegnato a cucinare?

Mi ha insegnato a cucinare mi sorella più grande, perché mia mamma è morta quando avevo 6 anni ed eravamo 13 figli. Mia sorella più grande faceva anche il pane, avevamo il forno.

Cucinavate per tutta la famiglia?

Si

Di solito a che ora iniziate a cucinare? Presto o tardi?

Sul tardi, in base a quello che vogliono mangiare. Se é un pranzo che può stare, allora lo preparo dalla mattina e quando é orario cucino. Se si tratta di un pranzo più importante é diverso.

Come nelle occasioni di festa?

Si, anche perché non fai solo una cosa ma diverse. Ora non posso fare molto, prima facevo la pasta di casa (fusilli, orecchiette).

Perché agitate il peperone?

Per il sale, altrimenti non insapora tutto il peperone e rimane sotto, e non vengono salati.

Come vi regolate per la quantità di ripieno che va dentro?

Quando vedi che é pieno, spingendo con il dito e quindi non ce ne va più, allora va bene.

Il numero dei peperoni lo regolate in base alla persone che devono mangiare?

Si, ad esempio se sono 10 persone  fai uno ciascuno, o due, dipende da come mangiano. Quando siamo pochi, ne faccio di meno.

Anche l’alimentazione é cambiata rispetto al passato?

Si molto, perché adesso ci sono tante malattie rispetto a prima, poiché si mangiavano cose naturali. Adesso non sappiamo cosa usano, per far mantenere il cibo tanto tempo.

Vi fanno i complimenti quando cucinate?

Si molti, soprattutto quando vengono i forestieri

(gente che non é del luogo) che dicono che le cose sono buonissime. Ad esempio quando stavo a Varese da mia figlia che non stava bene, e venivano le badanti a pulire, io offrivo loro da mangiare e mi chiedevano subito cosa cucinassi. Prima facevo tante cose, ora invece non posso preparare molto.

Avete dei venditori di fiducia?

Si, specialmente da noi (San Severino) che ci conosciamo. Quando vado al mio paese ci sono amici e parenti che mi danno qualcosa o comunque compro di tutto, perché sono chi ha gli orti.

Poi il cibo lo portate a Potenza?

Si

È diversa la cucina di San Severino da quella di Potenza?

Si molto diversa, perché li molti hanno la campagna. Ma c’è comunque chi compra come a Potenza.

Mentre cucinate c’è la musica o silenzio?

Se ci sono i miei nipoti che mettono la musica, non mi dà fastidio, altrimenti io non ci tengo molto.

Poi le due teglie vanno nel forno?

Si, vanno messe insieme così cuociono contemporaneamente.

Come fate a capire quando sono pronti?

Si vedono, come per la pasta al forno che ti rendi conto se é corta o cruda. Così anche per i peperoni.

Vi piace cucinare per gli altri?

Quando stavo bene si, ora invece non mi piace tanto perché e non ce la faccio. Se ce la facessi, mi piacerebbe tanto. Però non posso farlo e mi dispiace quando mi chiedono qualcosa e non posso accontentarli.

Vedete la cucina come un posto solo per donne o anche per gli uomini?

Si, possono cucinare anche gli uomini, come mio genero che fa tutto.

Invece in passato erano più le donne?

Si era raro che ci fossero anche gli uomini, solo se era senza famiglia. Ma se c’era la donna, l’uomo non faceva nulla, lavoravano fuori, il terreno o l’orto, ma per quanto riguarda la cucina o la casa non facevano nulla. Mica lavavano i piatti come adesso!

Prima se qualche ragazzo si avvicinava alla cucina, era considerato come una vergogna perché era un lavoro che doveva fare la donna.

Quando vi siete sposata sapevate già cucinare?

Si, da 6 anni noi già cucinavamo e facevamo di tutto. Ora sono grandi e stanno ancora in braccio, invece al tempo nostro lavoravamo.

Vedete una bella differenza tra i giovani di adesso e quelli di prima?

Si, molto, su tutti i parametri. Prima per noi, una cosa bella era andare a ballare dopo aver lavorato tutto il giorno e quindi chiedevamo a mio padre di portarci a ballare.

Si mette l’olio sopra per non farli venire asciutti?

Si, così vengono bene

 

 

 

 

 

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Minestra maritata (Melfi)

Minestra maritata e Cucuzill e patan (Melfi)

Intervista a Lidia Tetta-Cassano realizzata da Noemi Morano il 28 giugno 2019

Io mi chiamo Lidia, ho 70 anni eh! E nella mia vita ho fatto di tutto e di più. Ho fatto… ho lavorato in campagna, ho insegnato a cucire, e cucio. Sono 19 anni che mio marito non c’è più, che ha lasciato questo terreno, che è più che altro un terreno di ricordi, di amore, perché tutte le piante che ci sono, alberi di frutta, ulivo e tutto il resto li ha messi lui, e io le faccio con gioia e passione. Io ci rimetto soldi, non è che guadagno, però lo faccio con amore. E ho tanti fiori, il mio campo è pieno di fiori. Mi piace cucinare, la cucina semplice, e più che altro i prodotti che io consumo, e che spesso faccio assaggiare anche agli amici, li produco io.
Ho 3 figli, 5 nipoti, e spesso mi dedico anche per loro. Però tutto il resto del mio percorso di vita è fatto con entusiasmo, con tanto impegno. Anzitutto la sera per me, quelle due ore, dalle 6 alle 8, mi dedico alla preghiera, in quanto è un ringraziamento al signore che mi fa piacere di scaricarmi, ricaricarmi di preghiera, ma scaricarmi di tutte le cose della giornata. E poi viaggio molto, viaggio molto e viaggio molto.
Oggi mi sono dedicata alla cucina, [ad] una ricetta molto antica: si chiama la minestra maritata con cicoriette e verza, lessate a parte, e poi fatto un brodo con la carne di maiale con l’osso. Io ci aggiungo pomodorino, ci aggiungo la cipolla, il sedano e l’aglio, e anche un pochino di peperoncino per dare un tocco più saporito. Adesso il brodo è quasi arrivato alla cottura e si è ristretto e ora ci metto le verdure che si insaporiscono.

Questa ricetta è tipica di Melfi?

Si, è molto tipica di Melfi, è una ricetta molto paesana ma nutriente. Se tu vuoi vedere, qui nella pentola c’è la carne di maiale, la pancetta di maiale, un po’ di osso, e io ci aggiungo anche un po’ di vitello, ma poco poco poco. Ora questa qui deve insaporire e poi ci aggiungiamo un po’ di formaggio, pecorino, il nostro pecorino locale, e lo gustiamo.

Per riuscire bene questa ricetta cosa serve?

Niente, non ci vuole niente. Ci vuole soltanto pazienza perché devi raccogliere le cicoriette paesane, le cicoriette sono spontanee nel campo, non sono cicorie comperate, le devi pulire, ci vuole molta accortezza nel pulirle nel lavarle e poi insomma attenzione, poi la lessi e la metti da parte. E dopo ci aggiungi questo brodo, ma non si chiama brodo ma si chiama condimento più che altro. Io ci aggiungo un segreto mio: ci metto due semi di finocchietto che danno ancora un tocco in più, e dopo si aggiunge formaggio pecorino, come ho detto prima. Adesso finisce ancora di cuocere, ma più che altro, non cuocere, ma insaporire. E questa quando sta un pochino è meglio di mangiarla al momento.

Perché?

Perché acquista il sapore, acquista il gusto, acquista tutti gli ingredienti che uno ci ha messo, perché l’importante sono gli ingredienti. Io [a dire] la verità cucino molto semplice, la mia cucina è molto semplice, anche perché molte verdure le produco io, familiarmente, non ho una grande azienda. E praticamente gusto le verdure colte in giornata cucinate e consumate nello stesso giorno. Ci sono tante ricette che io faccio: i fagiolini con la pasta, le zucchine con risotto. Oggi ho raccolto i primi talli di zucchina, ma non sono talli, sono le piantine che sono in più, anziché tirarle e buttarle, io le ho raccolte, le ho pulite, accuratamente le ho lavate, e con due patatine anche mie, che ho raccolto dal terreno, e praticamente farò un altro piatto che si chiama cucuzzill e patate con olio, aglio e un po’ di peperoncino soffritto appena appena. Poi ho aggiunto a queste verdure le patate. Sono cucine molto semplici. Adesso la minestra è quasi pronta, per me diciamo che è finita, però deve ancora cuocere poco poco.
Adesso facciamo cucuzzill e patate.

Non compri al supermercato?

No no no, io sono anche da sola, voglio dire, però molte volte, quando ho un po’ di più [di verdura ne] do anche ai figli che cosi li gustano anche loro, qualche amico anche. La mia vita la trascorro in campagna, ho un pezzettino di terreno, che sono dodicimila metri, uliveto, frutteto, un po’ di vigneto. E poi mi faccio anche un po’ di orto, per passione più che altro. Io consumo anche più soldi, anziché andare a comprare, non è un risparmio, però [questo] è mangiare la cosa naturale e la cosa più bella è che la produci tu. Io quando vado raccolgo le prime verdure, le prime cipolline, l’aglio, insomma tutte queste cose spontanee, come il sedano fresco. Infatti le metto in un bicchiere con acqua e [così] ho subito il rosmarino, il sedano, la mentuccia se mi serve, appunto perché è passione più che altro, non è niente.

Adesso soffriggiamo l’aglio qui, ho messo l’aglio fresco che ho raccolto stamattina nel campo, il peperoncino ce l’ho dall’anno scorso, l’ho messo nel congelatore, perché a me sono ancora piccole le piantine, non hanno ancora il frutto da poter consumare. Adesso mi sono già lavata i piccoli talli di zucchine, ma non sono talli ma più che altro piantine, che io accuratamente ho pulito, le ho lavate e ci metto anche le patate, vedi sono proprio novelle, fresche. E facciamo un altro piatto in quanto con il pane nostro paesano di Melfi, anche se non è fatto in casa, abbiamo ancora il pane molto buono. Questa cuoce insieme appena soffrigge l’aglio e il peperoncino, ci aggiungo le verdure e si dice che cuociono all’inferno. Praticamente con il coperchio sopra senza aggiungere acqua o niente, le verdure hanno una loro cottura nel tempo giusto, ecco, qui sto soffriggendo l’aglio. Peccato che non possano sentire gli odori, perché l’aglio è molto profumato quando è freschissimo, non possono sentire l’odore pero possono immaginare. Ecco io ci verso adesso questi. Sembrano tanti nella pentola, però fra poco vi faccio vedere quanto diventano pochi, perché esce tutta l’acqua e la verdura diminuisce, in quanto cosi cuoce. Adesso ci aggiungo il sale, senza misurare, perché io ho il tocco ad occhio, sempre un po’ di meno che poi se vuoi lo aggiungi, sennò altrimenti… di mettere lo puoi mettere, ma di togliere non puoi toglierlo. Ecco, adesso vedete qua come stanno alti, tra poco vedete come si abbassa, che il vapore le fa cuocere. Come vi ho detto qua la minestra sta insaporendo, non è che sta cuocendo, adesso sta prendendo sapore, e si vede la carne, si vedono le verdure, il pomodoro, l’osso… e vi posso dire che c’è un bel odore, un bel profumo, un buon profumo. Queste vanno consumate con il pane fresco, il pane nostro paesano di grano, grano duro innanzitutto. È veramente un piacere mangiarle, anziché fare un piatto molto sofisticato con besciamella e cose che io… non la so fare la besciamella, non la so fare, non l’ho mai fatta.

Quindi c’è un tipo di ricette che ti piace di più cucinare?

Si io faccio spesso la pasta fatta in casa, faccio le lasagne normali, con ripieno con le polpettine. Le polpettine piccole con scamorza oppure latticino fresco, formaggio… non so più che altro, insomma il sugo normale, la salsa nostra, che faccio io.

Quindi c’è qualcosa quindi che non ti piace cucinare?

Ma.. no no no, non posso dire che [c’è qualcosa che] non mi piace cucinare. Faccio poche fritture, consumo poche fritture in quanto non ho il tempo di farle, prima di tutto, ma anche perché poi fanno male. Però una volta soltanto li assaggio, come i fiori di zucchine. Una volta ogni tanto li faccio con farina, ci metto un po’ di birra, faccio la pastella. Faccio questi fiori di zucchina, ma una volta o due, non di più. Poi altre volte le consumo pure messe al forno, nella teglia con un uovo battuto dentro e un po’ di formaggio, e le infilo nel fornetto, ma sono buone. Sembrano una pasta al forno, le lasagne al forno, ma sono i fiori di zucchine che hanno un altro sapore.

Ti ricordi la prima volta che hai cucinato, come hai imparato?

Si io ho cucinato la prima volta ricordo [che] avevo quindici o sedici anni, perché allora i genitori ti insegnavano, ti imboccavano appunto la cucina, ma sempre mia madre ancora anticamente, perché gli anni sono passati. La pasta asciutta, la pasta fatta in casa, la pizza normale quando si faceva il pane, si tirava prima un po’ di pasta e si portava al forno la pizza, e a prima mattina si gustava la pizza nostra, con pomodoro, cipolla e tant’altro. Poi dopodiché ho ripreso la mia vita da madre, da moglie, e ho cucinato sempre cosi. Ho avuto un compagno che gustava il cibo naturale, il cibo semplice, e siamo andati bene avanti. Come fare non so, il pollo ripieno, il pollo ripieno con il sugo è una cosa meravigliosa, buonissima… ci vuole un po’ di tempo, però alla fin fine gusti sia la pasta, con un sapore diverso, per esempio se il pollo è paesano, non quello che si compra in macelleria, ed è molto molto meglio. Per quanto riguarda i dolci, sono sempre nella semplicità, la ciambellina con le confetture che faccio io, la ciambellina con le mele, le mele che produco io, più che altro non è un dolce, ma è un dolce con… le mele con il dolce, tante mele in più, che ti gusti più la frutta che il dolce.

Secondo te è importante saper cucinare?

Beh, penso di sì perché fa piacere a te stessa e poi nell’immaginare già quello che prepari, non so, ti viene già il desiderio, come se già lo gustassi il piatto, come se già lo vedessi, già te lo immagini, e poi veramente ha sapore in più. La cucina non è una cosa difficile, però ci vuole amore, come [in] tutte le cose, se non c’è l’amore, la passione, non si fa niente di bello.

Il tuo rapporto con la cucina ha subito dei cambiamenti da quando hai iniziato a viaggiare?

Sì sì, posso dire che io mi sono subito adattata perché nei miei viaggi, che faccio già da quattordici anni, voglio dire, mi son trovata in una cucina tutta diversa, però io già con il pensiero che dovevo arrivare in questo luogo e trovare un cibo diverso, una cucina diversa, già il pensiero era tutt’altro, e praticamente subito mi sono trovata. Molte volte quegli odori forti, perché, adesso che mi trovo vi dico anche i luoghi dove io vado: in Asia, in India, e lì usano troppe spezie, ma tante spezie, che tu come entri ti dà già quel forte odore di spezie, già ti danno un po’ fastidio, pero ci devi stare. Difatti io mi sono dilettata anche a cucinare un po’ la nostra cucina per loro. Ho fatto gli spaghetti con il pomodoro, ho fatto la pizza, la pizza semplice, perché là non c’è altro, c’è soltanto pomodoro e le cipolle, e io così ho fatto la sfoglia con le cipolle, la pizza con il pomodoro e mi sono portata l’origano io dall’Italia. Come la pizza con il rosmarino, il rosmarino l’ho portato io, l’ho seccato, lo sbriciolato e l’ho portato. Loro hanno gustato tanto questo nostro cibo. Però vi posso dire, in questo incontro con Noemi, che mi piace anche la [loro] cucina, difatti ogni tanto metto un po’ di curcuma nel mio piatto, metto un po’ di odore loro, per ricordarmi quei sapori ma più che altro la gente con cui sono stata insieme.

Quindi è stato anche un modo per imparare nuove ricette andare in India?

Sì sì, infatti io spesso mi fermavo con queste persone che cucinavano, ma loro usano tanto aglio, tante cipolle, ma tanto ma tanto tanto, e poi tante spezie. Non hanno la pasta come noi, però hanno il riso, fanno questo pesce, che non è un pesce pregiato: sono le sardine, le sarde, fritte con tanto piccante, che diventa rosso, il pesce invece di lasciare il suo colore diventa rosso.
A me piace tanto il pollo che loro fanno, fanno i pezzettini piccolissimi con questo piccantissimo curry, che è veramente gustoso, è l’unica cosa che io chiedo sempre quando vado da qualche famiglia che mi invita. [Dico:]“Eh voglio mangiare il pollo quello che piace a me”, [loro] già lo sanno e me lo preparano. Eh niente, la pasta lì non c’è, però dopo un po’ anni…

Ecco giro qui la minestra, se vedete, vedete come è ridotta, vedi? Ci sono i cucuzzill e le patate novelle, proprio fresche fresche fresche raccolte, adesso loro cuociono qui, ci vuole un quindici- venti minuti di tempo.
Io poi abbasso subito la fiamma, metto il fuoco un po’ più lento. Il sale c’è, l’olio c’è… Dopodiché è già pronto da gustare con il pane fresco, perché queste minestre vanno guastate con il pane fresco, infatti io questa la consumerò domani che è sabato e io mi compro il pane fresco, sarà buonissimo.

Secondo te la dieta, rispetto a quando eri giovane o quando eri piccola, è cambiata?

Adesso c’è tanta abbondanza, prima non c’era tutta questa roba. Io mangio sempre normale, il piatto normale con la pasta e le cose, però quando so che in casa in uno stipetto tengo qualcosa che mi piace, la tentazione c’è. Non so, un po’ di cioccolata, qualche cosa più di dolce che… però prima non c’erano e non te le mangiavi, prima non c’era tutta questa roba. Io ricordo i miei anni, che erano gli anni Sessanta, [quando] passavano i primi fruttivendoli per strada, e vendevano le mele, quelle mele che [erano] come [quelle di] adesso, però erano più piccole, ma che non erano secche come le nostre, che [da] noi si conservavano e si arricciavano, si asciugava tutta l’acqua, [mentre] loro le ricavano con un’altra conservazione. E dicevo a mia madre: “Mamma compriamo due mele!” [Lei mi rispondeva:] “Ci sono le nostre!”. E praticamente noi dovevamo consumare la roba che avevamo messo da parte l’estate. Però è un ricordo bellissimo, perché veramente si assaporava, si gustava la vita, la vita era molto semplice. E mi ricordo quando venivano le feste, il Natale, la Pasqua, e si facevo i dolci. A Natale noi facevamo, facciamo ancora tutt’ora i calzoncelli e i taralli, i… gli altri non mi ricordo, [quelli] con lo zucchero a velo sopra. E praticamente mia madre non li teneva in un cassetto normale, li andava a nascondere, [così] che nessuno lo sapeva dove stavano, si uscivano proprio quando era la festa, il Natale o la Santa Pasqua. E praticamente noi li desideravamo tanto quando li metteva a tavola, sai com’è… veramente si sentiva la festa.

C’è qualcosa invece che non si cucina più e prima si cucinava?

Mah, penso proprio appunto queste minestre che sto facendo io oggi. Le ragazze, le signore molto giovani non le sanno neanche fare, perché per preparare un piatto del genere, con le verdure spontanee, che sono piccole piccole cicoriette, ci vuole tanta pazienza prima per raccoglierle e poi per pulirle, poi per lavarle, perché loro contengono molta terra e praticamente devi lavarle molte molte molte volte. Però io un segreto, quando le metto nell’acqua ci metto un po’ di sale doppio e il sale fa scendere tutta la terra, [lo faccio] almeno per due o tre volte.

Quindi hai introdotto delle varianti?

E beh, le varianti, i segreti che poi un po’ verifichi tu stessa, un po’ senti e allora apprendi, allora poi vedi che quella cosa che ti è stata riferita è valida e praticamente la porti avanti, è un segreto che può essere un bene per tutti. E allora queste giovani non hanno il tempo, perché oggi, com’è la vita, devono portare i figli di qua e di là, hanno molto meno tempo quello nostro, e praticamente se la fa la mamma [di queste giovani] va bene, ma sennò non si fa in casa. Non lo possono fare, un po’ non lo possono fare e un po’ non sono portate a farlo… non voglio dire [che] non vogliono farlo, non sono portate a farlo. E allora loro più che altro comprano queste cose surgelate, queste cose già preparate, che io veramente non consumo quasi mai, io consumo sempre la roba che cucino io. Anche quando ci sono i figli a casa, non sempre però, [durante] le feste specialmente, io faccio sempre la solita cucina, semplice, che tutti la gustano. Io quando metto nel terreno gli spinaci, allora ci stanno tanti spinaci, praticamente come li devo consumare? E mi dico: “Faccio la pasta fresca verde, le lasagne!”. E poi preparo le lasagne come ho detto prima, con mozzarella e tutto il resto, e i miei nipoti già sanno che oggi si mangia pasta verde. Però quest’anno me l’hanno chiesto, perché era da parecchio che non la facevo, hanno voluto la pasta verde, vuol dire che piaceva la pasta verde.

Quindi ti piace sentirti dire che sai cucinare?

E certo, perché una cosa che mi viene detta, “Nonna noi vogliamo gustare oggi questo piatto”, io lo faccio con più piacere e con più entusiasmo.

Hai un garage o una tavernetta?

Ho la cantina, io giù ho una cantina in roccia, allora praticamente devo fare sali e scendi, però come arrivo con la verdura, qualsiasi, anche la frutta, la porto giù. La porto giù perché si mantiene fresca, si mantiene bene. Poi ho anche il frigo, il freezer ce l’ho, però quando ho un po’ di verdura in più, un po’ di frutta in più, preferisco tenerla nella cassetta e sistemarla giù in cantina, si mantiene fresca.

Quindi la utilizzi solo per mantenere le scorte?

Si, eh beh [la uso] anche quando faccio la salsa.

Quindi la usi anche per cucinare?

Sì, le confetture, perché quando raccolgo un po’ di frutta in più, io arrivo a casa e mi preparo le confetture, anche se poi le porto a chi gli piace, [come] ragazzi che conosco, ragazzi del seminario, che loro consumano queste confetture, pero è importante che non si perde [la frutta].

Di solito per chi cucini oltre alla tua famiglia? come hai detto

Eh beh, quando… qui soltanto quando vengono i figli cosi che si mangia insieme. Ma quando vado fuori, spesso mi chiedono di fare le cose semplici come le so fare io, allora subito mi danno il posto in cucina e io lo faccio con piacere, anche adattandomi alle cose che trovo. Perché quando ti chiedono all’improvviso non è che puoi dire: Voglio questo e quest’altro.”. Allora subito immagini un piatto, inventi un piatto. Sempre delle cose che io so come usarle, come distribuirle.

Di solito stai attenta a come metti le cose nel piatto? C’è un’estetica particolare?

No no no, alla buona di Dio si dice il fatto. Beh nelle cose che sono appropriate si intende, io vedi adesso ho preso il mestolo e ho messo le verdure nel piatto con il pezzo della carne, adesso ci aggiungiamo un po’ di formaggio, ecco. Questa è la pancetta di maiale.
Prima lo grattugiavo [il formaggio], mo lo tengo già grattugiato, lo metto qua dentro questa busta. Ecco qua.

Mettiamo nel piatto. Sono belle gialle queste patate.

Il colore è importante?

È importante sì. Ah ecco, un’altra cosa che io non ho detto: a me piacciono molto i colori. Io mangio molto colorato, mi piacciono [i colori]. Adesso qui se c’è il peperoncino rosso, vediamo se c’è, lo mettiamo sopra. Facciamo vedere, che a me piace mettere il rosso… ecco, vedi. Un altro tocco in più.
Io quando… certe volte sai che faccio? Faccio pasta e fagiolini, allora i fagiolini sono verdi, la pasta è bianca e il pomodoro poi è rosso. Faccio la foto e la mando agli amici. Mi piacciono i colori! Ecco amo molto molto i colori, allora dico: “La bandiera italiana, bianco rosso e verde!”
E questo è importante anche, i colori, perché i colori… a parte che ci sono proteine, vitamine e tanto altro, che è fresca la roba, ma che poi anche nel gustare, nel mangiare, ti fanno allegria, ti fanno gioia.

 

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I dolci di Natale (Gravina in Puglia)

I dolci di Natale (Gravina in Puglia)

Intervista a Raffaella Fruttuoso realizzata da Anna Grande

Ciao Raffaella.

Ciao Anna.

Cosa ci prepari oggi?

Le cartellate, visto che siamo quasi nel periodo natalizio allora cominciamo con le cartellate.

Bene, quali sono gli ingredienti per questa ricetta?

Senti, ai tempi antichi si usavano fare in un modo, poi noi con la modernità abbiamo aggiustato qualcosa. Mentre noi a casa con mamma facevamo… con… si metteva farina, verdeca olio e uova, mentre ora anziché dell’olio mettiamo il burro che più leggero nelle cartellate, abbiamo modificato questa cosa, però gli ingredienti sono sempre gli stessi.

E’ una ricetta tipica di Gravina?

Sì Sì, questa è molto antica, già dei nostri nonni, mamma e io continuo ancora questa tradizione perché a me piace pure, sono una casalinga a tutti gli effetti allora piace rinnovare le tradizioni che si usavano una volta.

Questa ricetta chi te l’ha insegnata?

Mia madre.

Bene ci fai vedere Raffaella come si prepara?

Ecco, in base alla quantità, non oggi facciamo solo 750 gr ho detto di fare. Allora misuriamo la farina prima.

La impasti a mano?

Sì sì, la impasto a mano. Allora su 1 kg si mettono 4 uova, 100 grammi di zucchero e 100 g di burro e poi il resto impastato con il vino bianco. Allora misuriamo lo zucchero. Le uova, perché ogni 250gr va un uovo. Prima sciogliamo il burro, si fa a fuoco lento per non farlo…

Questi ingredienti Raffaella ce li avevi a casa o sei uscita per comprarli?

No, li ho sempre in casa perché giustamente servono sempre sia il burro le uova, zucchero, ne prendiamo a  quantità. Lo devi muovere così quello non si riscalda molto, sennò annerisce il burro hai capito?

Un piccolo trucchetto.

Sì, vedi rimane bello chiaro. Poi quando lo versi non devi mettere subito al centro, vedi devi fare degli incavi qua così, sennò se lo metti sulle uova, hai capito?

Si cuociono le uova sì.

Poi in questa stessa padellina metto a riscaldare il vino.

Anche il vino deve essere caldo quindi?

Sì, tiepido. Ecco ora prima sciogli lo zucchero qua così, con le uova. E si lavorano così  fin quando si finisce di inzuppare la farina. Prima si usavano fare le taglioline, ora con la tecnica moderna che è uscita la macchinetta della pasta allora le strisce noi le lavoriamo alla pasta…alla macchina. Si aggiunge un altro poco di vino per finire di impastare tutta la farina che abbiamo messo.

E’ una ricetta difficile da preparare?

No. Difficile no, ci vuole molto tempo per fare le cartellate perché le devi tagliare le striscioline e poi unirle, e diciamo là si perde tempo di più. Intanto si fanno dure se no poi la pasta quando è morbida le striscioline si ammosciano e vengono tutte schiacciate invece la pasta deve essere un po’ dura. Se ne va poco vino, hai visto?

Non ce ne vuole molto?

No.

Deve avere la giusta consistenza l’impasto.

Sì, perchè ci sono le uova che quelli sono umido e allora fanno lavorare la farina. (“Rosaria entra!”). Ora la pasta è pronta e ora cominciamo a pezzettini a lavorarle alla macchina per tirare le fasce e fare le cartellate. Le nostre mamme ci hanno insegnato che quando si finisce la pasta si fa il segno di croce e si dice “Signore benedici questa pasta” oppure “Cresci pasta come crebbe un signore nelle fasce”. Noi facciamo la croce e diamo il bacio. E allora poi si mette la pasta qui. Ecco si taglia a pezzetti…

Quindi l’impasto si chiude cosi non si secca?

Sì, cosi non fa la crosta sopra. Ecco questa è la lavorazione della pasta.

Prima mi dicevi Raffaella non esisteva questo…

Sì, prima non esisteva, li facevamo a mano, tante taglioline e poi si tagliava…con il matterello! Pure lei qua a casa usava fare così. Eravamo quattro amiche, stavamo una settimana a fare sempre cartellate…

Il periodo di Natale vi riunivate voi amiche…

Sì sì, e facevamo le cartellate, un giorno per ciascuno.

Quindi la cucina è anche un momento di…

Incontro! Tante volte la devi fare che la pasta…scoppietta… si fa bella liscia pure. Senti  come scoppia. Ora questa dopo lavorata si fanno le fasce. Allora…

Poi si fa sempre più sottile la pasta?

Sì. Addò l’ha mis, che numero? All’ultimo Ecco la sfoglia.

Quindi l’impasto è venuto un po’…

No, per fare i panzerottini la sfoglia si fa un po’ doppia, capito?

Quindi con lo stesso impasto delle cartellate si fa un’altra ricetta tradizionale di Natale.

Sì, ecco vedi, i panzerottini.

Cosa si mette dentro?

Di pasta reale che è mandorle, zucchero, le chiare delle uova e un limone grattugiato.

Anche questa era una ricetta che faceva tua mamma?

Sì sì, è vero Rosaria? “Sì, solo che anticamente si facevano di ceci.” Mamma raccontava che la gente povera li facevano così. Arrostivano i ceci e li condivano con vin cotto, cannella, pepe garofano, tutti gli aromi che si mettevano. Gli aromi invernali sono quelli tesoro mio. E allora per quelli erano così, invece chi poteva di più, stava in buone condizioni diciamo faceva una vita, come devo dire… più agiata… e allora facevano con le mandorle, con la pasta reale, veniva chiamata così e li friggevano uguali come quelli dei ceci. In dialetto si chiaman “Calzuncidd”. L’calzunciddr in dialetto gravinese.

Questa è la forma tipica dei calzoncelli o l’avete modificata nel tempo?

No, noi li facciamo più piccoli, invece prima li facevano più grossi.

È un lavoro di velocità?

No, non è tanto un lavoro di velocità! Ah di velocità tra…

…Per l’impasto che si secca…

Sì.

…Di pazienza, di precisione sì…

Sì, devi stare bella calma, tranquilla e allora ti devi mettere a fare queste cose e non pensare ne alla cucina, ne alla casa, a niente. Poi questi ritagli si lavorano di nuovo e si consumano lo stesso a fare gli altri calzoncelli. Poi devi dire ad Anna  facciamo 5 kg… quasi 5 kg io o 4.5 kg dipende…

Fai le cartellate per tutta la famiglia quindi?

Sì, abbiamo i figli, poi sai quando è una festa hai da regalare a qualcuno..

Ora prepari le strisce per le cartellate?

Sì, una volta tirate le strisce alla macchinetta, cominci a fare le cartellate.

Ma c’è un giorno in particolare nel quale si fanno le cartellate?

Sempre prima di Natale, nella settimana prima di Natale. Devono essere tutte simili le strisce. Vabbè, se ti viene una più grossa una più piccola non fa niente. Ecco ora si incominciano a fare le cartellate.

Si pizzica la pasta?

Sì, eh vedi?  Questa è piccolina ma va bene. Ecco guarda.

Eccola che bella, la prima cartellata.

La prima e la seconda.

Ti piace fare le cartellate Raffaella?

Molto, solo che ti stanchi perché ne fai assai, ma sennò piace.

 Ora cosa dobbiamo fare Raffaella?

Le dobbiamo friggere, poi le mettiamo tutte  testa in giù così sola l’olio sulla carta assorbente e poi le passiamo nella coppa dove poterle offrire. Ora per friggere io uso l’olio di semi di arachidi perché è stato consigliato anche dai medici e perché la frittura viene leggera e ben chiara.

È importante il colore della cartellata?

Sì sì. Ecco. Poi mentre li friggi devi stare attenta per non farli guastare. Hai visto come stanno Anna?

Sono bellissime. Queste in dialetto hanno un nome..

L’calzunciddr.

E le cartellate invece?

L’chiosr.

Quindi adesso dobbiamo decorare?

Sì. E mischio lo zucchero a velo con un po’ di cannella, guarda, appena proprio per dare l’odore delicato della cannella senno se è troppo guasta e mischi lo zucchero con la cannella. Dopo che hai preparato i vassoi, con il colino li passi sopra questo preparato.

Si può fare anche in altri modi oltre allo zucchero?

Con il vino cotto, di fichi e anche con il miele, a chi piace il miele possono anche passarsi con il miele, però il miele e il vino cotto vanno riscaldati sul gas e si passano uno uno la volta. Allora prendiamo il colino, questo è il fiocco per dire auguri. I nostri medici se li aspettano queste…specialmente alla signora qui, glieli chiede proprio. Bhe sta bene? Li sto facendo raffreddare sennò vedi  lo zucchero poi si inzuppa e non sembrano belli. Fammi vedere se c’è un foglio per incartarli.

 

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Pasta al forno (Montescaglioso)

Pasta al forno (Montescaglioso)

Intervista a Mariabruna Sampaolo realizzata da Adriana Sampaolo

Cosa ci prepari oggi, per il giorno di Pasqua?

Pasta al forno.

  Quanto tempo impieghi per la cucina?

Dipende da cosa devo cucinare.

Per preparare la pasta al forno, quanto tempo occorre?

  Circa tre ore.

 Sei andata oggi a fare la spesa?

No, sono andata ieri.

Hai dei fornitori che preferisci?

Sì, vado sempre dai fornitori di fiducia vicino casa mia.

 Hai comprato solo quello che occorreva per oggi?

 Ho comprato ciò che mi serve per oggi e per domani.

Vai tutti i giorni a fare la spesa?

No, vado il sabato e compro quello che mi occorre per la settimana. la frutta e la verdura preferisco comprarle ai mercatini che ci sono dal lunedì al sabato in varie zone del paese.

Cosa stai preparando adesso?

  L’impasto con la carne tritata.

  Quali ingredienti usi?

Prezzemolo, uno spicchio d’aglio e 500 gr. di formaggio grattuggiato.

Quale carne usi? Perchè?

Uso il vitello perchè è più leggero.

 Quale formaggio usi?

 Il parmigiano perchè è più dolce e nell’impasto si sente meno.

  Quale olio usi?

L’olio che produciamo in famiglia, abbiamo degli alberi d’ulivo e nel periodo di Novembre (tutti i Santi), mio fratello e mio cognato vanno a raccogliere le olive e le portano al frantoio per produrre l’olio.

 Per quanto tempo si fa cucinare il sugo?

 Per circa due ore.

I pomodori dove li compri?

Da una persona di fiducia. questo signore li coltiva lui, vendendo una parte dei pomodori che gli avanzano. lui non utilizza prodotti chimici, quindi sono naturali, genuini.

In quale periodo si fa la salsa e i pezzetti?

Luglio-Agosto, quando ci sono i pomodori maturi.

 Come si fa la salsa?

 Prendiamo i pomodori, poi si fanno cuocere in un pentolone, si scolano, si macinano con la macchinetta, poi si mettono nei barattoli con basilico e sale e si fanno bollire per circa mezz’ora.

Come si fanno i pezzetti?

Prendiamo i pomodori, sempre lavati, poi si tagliano in due e si mettono nei barattoli, sempre con sale e basilico e si fanno cucinare per 15/20 minuti.

Perchè metti il basilico nella salsa?

Per dare un altro odore, il sugo sarà più profumato.

 Dove fai la salsa?

 Nella cantina, perchè è più fresca, anche perchè in casa si sporcherebbe molto.

Ti fai aiutare?

Sì, da mia sorella e da mia nipote.

In cantina si fa solo la salsa?

No, anche il vino, e la utilizziamo anche per conservare la salsa, vino e l’olio.

 Chi si occupa del vino e dell’olio?

 Mio fratello e mio cognato.

Come si fa a ottenere la genuinità?

Preparando con le proprie mani, usando i prodotti naturali, privi di conservanti e coloranti.

Quali ricette sai cucinare?

Molte, perchè a me piace cucinare.

 Quale piatto ti riesce meglio?

Quasi tutti perchè ci metto passione.

 Quale piatto non ti piace cucinare?

 I dolci, perchè non mi piacciono.

 Per quanto tempo si fa bollire la pasta per la pasta al forno?

 Per circa dieci minuti.

 Chi ti ha insegnato a cucinare?

 Mia madre.

 Quando hai cucinato per la prima volta?

Avevo dodici anni.

In quale occasione?

 Mia madre era andata all’ospedale.

 Chi cucinava a casa tua, quando eri piccola?

 Mia madre.

Hai imparato per gioco? chi ti aiuta a cucinare?

No, preferisco cucinare da sola.

Quanti strati di pasta fai?

Tre strati.

Quali sono gli ingredienti più importanti, per realizzare questo piatto? 

Mozzarelle, prosciutto cotto e parmigiano.

Solo questi salumi metti?

No, anche la salsiccia piccante e la coppa.

Questi salumi dove vengono conservati?

Il giorno prima, compro tutti i salumi e la carne, e li conservo per il giorno dopo.

 Cosa conservi nel congelatore?

 Conservo anche la carne, salumi che avanzano che verranno utilizzati per preparare altro, tipo le melanzane alla parmigiana o ripiene, e anche il sugo della domenica, che poi verrà utilizzato in caso di emergenza, niente deve essere buttato.

 La pietanza che ci prepari oggi, è tipica del tuo paese? 

 No, perchè si fa ovunque.

 Che cosa significa per te “tipico”?

 Una pietanza che si prepara soltanto al mio paese.

Da chi hai imparato a cucinare questa pietanza?

 Da mia madre.

 Hai cambiato qualcosa in questa ricetta?

 Sì, mia madre faceva le polpettine di carne.

 Conosci qualcuno che prepara questo piatto in modo diverso? 

Sì, alcuni fanno il sugo con la besciamella, io uso le lasagne, altri le orecchiette o i rigatoni, io metto le mozzarelle, altri la scamorza o la treccia.

Tu, non hai mai provato a farla in altre versioni? perchè?

No, perchè a me piace così.

 Prima di mettere la pasta nel forno, si fa riscaldare?

Sì per circa dieci minuti.

 Tu, dai importanza alla presentazione?

 No, per me è più importante il sapore che deve avere la pietanza.

 Quando la pietanza è buona?

Deve essere croccante, cioè di devono formare della croste sulla pasta, si deve sentire il profumo di ciò che cucini.

 E’ importante saper cucinare?

Sì, ma i giovani d’oggi non si interessano molto.

Questo piatto si prepara solo a Pasqua?

No, si può preparare anche la domenica, in settimana.

Questo piatto si preparava anche quando eri piccola?

No, per la prima volta mia madre la preparò verso gli anni Settanta, quando comprò il forno elettrico, io avevo diciannove anni.

 Quale piatto si prepara a Pasqua, oltre alla pasta al forno? 

Il sugo dell’agnello o della bolognese.

 

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Pasta tipica tricaricese (Tricarico)

Pasta tipica tricaricese (Tricarico)

Intervista a Rosa Dabraio realizzata da Angela Cetani il 13 giugno 2009

Rosa Dabraio

Dove abiti?

Via Sant’Angelo n.3.

Quanti anni hai?

74.

E sei cuoca da quanto?

24 anni.

Il ristorante è “Tre cancelli”, Tricarico. Che cosa hai fatto oggi in cucina? Come hai organizzato la tua giornata?

Prima quando sono entrata ho preparato tutti i sughi, poi ho preparato l’antipasto per i clienti che vengono a mangiare.

Ti sei alzata presto per cucinare?

Eh, sì, la mattina sempre alle sei, faccio la spesa e poi vengo a preparare.

Quanto tempo impieghi per la cucina?

Eh, io sto dalla mattina alla notte, la mattina alle nove fino a mezzanotte.

Tante ore. Sei andata a fare la spesa?

Sì.

Dove vai?

In piazza, tutti i fruttivendoli perché devono tutti campare.

Perché questo è un ristorante. Altrimenti hai qualcuno di fiducia dove ti servi?

Eh, sì, ha tutta la frutta, è da tempo che vado lì, poi la carne…

Perché acquisti da questi determinati fornitori, hai detto?

Da tutti perché sono paesani.

Cosa prepari oggi?

Le tagliatelle con la mollica, tutte cose all’antica, non c’è roba moderna, facciamo tutta cucina locale.

Quali sono gli ingredienti?

Io faccio friggere l’aglio e poi la mollica, metto le mandorle dentro, l’uva passa e un po’ di cannella.

E invece per la pasta?

Per la pasta acqua e farina di grano duro.

Pensi che siano genuini i prodotti che prendi dai negozianti?

Sì, sì.

E che significa per te genuini?

Genuino significa che tutti vogliono la roba senza conservanti, la salsa è fatta in casa, io ho fatto 35 quintali di pomodori.

E so che fai anche le melenzane.

Melenzane, carciofi, funghi, tutti sott’olio.

E cosa hai comprato stamattina per preparare questa pasta?

Niente, la mollica è del pane che facciamo noi.

Perché c’è il forno?

C’è il forno a legna, facciamo le pizze la sera.

Quindi hai comprato solo quello che occorreva oggi?

Per oggi e per domani che è domenica ed è chiuso tutto.

Tu compri giorno per giorno la roba per garantire che è fresca?

Un giorno sì, un giorno no, insalata, verdura, tutte le mattine, poi la carne un giorno sì e un giorno no.

Questo è un modo per avere un risparmio?

Per tenere tutta la roba fresca e genuina.

 Quali sono le ricette che sai cucinare?

Facciamo la pasta al cinghiale, la boscaiola con i funghi, la boscaiola in bianco con la rucola, facciamo il sugo con la carne tutta mista e con la salsiccia del pezzente, il maiale fatto con l’aglio.

Cosa ti riesce meglio?

Tutto, di più la pasta con il cinghiale.

Perché?

Perché il cinghiale è roba genuina del bosco.

Cosa non ti piace cucinare?

A me piace cucinare tutto, tranne la roba con la besciamella, mi piace tutta roba genuina.

Abbiamo detto genuina per te cosa significa?

Roba fatta in casa.

Chi ti aiuta in cucina?

Tutt’e due le mie nuore.

La dieta alimentare è cambiata?

No.

Allora, che ingredienti stai usando adesso?

Adesso sto facendo la tagliatella.

Si mette acqua al centro…

Sì, e si impasta.

Tutto lavoro manuale. Da quanto tempo cucini?

24 anni e poi abbiamo lavorato in campagna nella masseria.

Ci sono pietanze che non si preparano più?

Di più cercano il pane cotto, quelle che non si preparano più sono pasta e rape.

E la pietanza che stai preparando oggi è tipica?

Sì, perché questa la facciamo soltanto la vigilia di Natale e il giorno di S.Lucia.

Perché secondo te è tipica?

Perché è all’antica.

Tipico secondo te è un termine nuovo oppure esisteva anche quando eri bambina?

No, è nuovo.

Conosci qualcuno che prepara questa ricetta in modo diverso?

No.

Si cucina in altri posti?

Non lo so.

Da chi hai imparato a cucinare questa pietanza?

Dai miei genitori, avevamo la masseria e la sera preparavano la tagliatella con la mollica, la tagliatella aglio e olio…

Hai cambiato qualcosa nella ricetta rispetto a come te l’hanno insegnata?

No.

Qual è secondo te la cosa più importante di questa ricetta?

L’uva passa.

Per quante persone la stai preparando?

Questa è per quattro, cinque persone.

I tempi di cottura di questa pasta?

Due secondi, quando l’acqua bolle bisogna calarla.

Quale sapore deve avere la ricetta per essere buona?

Il sapore della pasta, della mollica.

Come si deve presentare nel piatto la pietanza?

Mettere la pasta e poi mettere la mollica sopra.

Presti attenzione al colore e alla forma dei piatti o alle posate quando prepari un piatto?

E sì, prima usavamo i piatti antichi, ora sono tutti moderni.

Che posate ci vogliono?

La posata normale.

E la tovaglia?

Quella normale.

C’è un’estetica in come prepari il piatto?

Sì, prima metti la pasta e poi la mollica sopra.

Ti piace sempre cucinare?

Sì, sì.

Ti ritieni brava?

Eh, insomma, le persone quando hanno finito di mangiare dicono “grazie, complimenti”…

Ti piace sapere che sei brava in cucina?

Sì, è una soddisfazione.

E a te piace mangiare bene?

Come no.

Per te è importante saper cucinare?

E sì, è normale, perché è una soddisfazione quando mangiano le persone ed è buono.

Ti fa piacere sentirti dire che sai cucinare bene?

E come no.

Che cosa diresti di te per dire chi sei?

E che posso dire…

Quindi si stende bene la pasta, vero?

Sì.

A che età hai imparato a cucinare?

12 anni.

Ti mettevano vicino ai fornelli?

E no mi mettevano a impastare il pane.

Quando lo hai cucinato per la prima volta questo piatto?

Sempre.

È facile cucinarlo?

Sì, sì.

I tempi per la preparazione?

Una mezz’oretta.

Quando lo hai cucinato per la prima volta per chi lo hai cucinato?

Per gli operai che lavoravano in campagna.

In quale occasione?

Alla mietitura.

Chi cucinava in famiglia quando eri piccolina?

Mia nonna, le mie sorelle.

Hai imparato per gioco o sei stata costretta?

Eravamo costrette perché non c’era la possibilità di adesso.

Ma prima c’erano tanti piatti come adesso oppure…

No, prima si mangiava tutti in un piatto.

E con quali posate mangiavate prima?

I miei fratelli erano più grandi e usavano i cucchiai di legno.

Le forchette esistevano?

Eh, sì, ma cucchiai non ce n’erano.

Da chi hai imparato ricette nuove?

Sono tutte ricette che faceva mia madre.

 Secondo te la dieta alimentare è cambiata?

E certo, è cambiata. Aglio, poi la mollica nell’olio.

Adesso la imparo pure io. Hai pure il cucchiaio antico?

Eh, sì, quello di legno.

Bellissimo, proprio antico antico.

Si mette l’aglio, l’olio, la mollica nell’olio bollente, poi mandorle.

E si gira sempre…

Fin quando si fa un po’ arrosolato.

Un po’ di cannella?

Sì, questa è l’uva passa.

Quanta se ne mette?

50 gr. e un po’ di zafferano. E con questo si condisce la tagliatella.

È una ricetta proprio veloce?

Sì.

Adesso la tagliatella si arrotola.

E si taglia.

Quando viene a bollire?

Buttare la pasta e poi prepariamo i piatti.

Quanto tempo deve cuocere?

Due secondi, quando viene su la pasta, un pizzico di sale nell’acqua.

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Pummitori gialli scattariciati (Leverano)

Pummitori gialli scattariciati (Leverano)

Intervista a Consolata Zecca realizzata da Valeria Geusa

Buongiorno nonna.

Buongiorno Valeria.

Oggi siamo qui per cucinare i pomodori gialli scattati.

Sì, mi fa tanto piacere stare un po’ con te.

Prima però ti devo fare alcune domande.

Fammele.

Allora, oggi ti sei alzata presto per cucinare?

Sì.

E verso che ora?

Io la mattina mi alzo alle 6, 6 e mezzo.

E quanto tempo impieghi per cucinare? Quante ore?

Un paio d’ore, se ne vanno un paio d’ore per cucinare il primo e il secondo.

Va bene, oggi sei andata a fare la spesa?

Sì.

E dove l’hai fatta?

Sono andata al fruttivendolo, ho comprato le verdure, la frutta, i pomodori gialli.

Va bene. Ci sono dei negozi che preferisci? Chi sono?

Io le altre cose le prendo ai supermercati invece le verdure dal fruttivendolo, che è mio figlio che ha il negozio di frutta.

Quindi ti fidi di lui e sei sicura dei prodotti che compri da lui, sei sicura che sono buoni.

Sì sì, sono buonissimi.

Quali sono le ricette che sai cucinare meglio?

Un po’ di tutto: cucino pastina con le polpettine che la devo fare oggi ma poi per il pranzo della domenica cucino la pasta, con la carne, l’insalata, tutte quelle cose che si fanno di domenica.

Invece una ricetta che sai fare meglio tra tutte?

Poi i giorni feriali faccio di tutto, faccio la verdura, la pitta con le patate, i pomodori gialli scattati con le olive nere.

E invece che cosa non ti piace cucinare?

Non mi piace cucinare il pesce perché porta molto fastidio e puzza però è buono, il pesce è buono.

E oggi invece che cosa hai cucinato?

Oggi ho cucinato la pastina con le polpettine al brodo vegetale con gli odori di sedano, carota, patate.

E poi per secondo?

Per secondo pummitori scattati.

Allora nonna, mi racconti un po’ del passato. Chi ti ha insegnato a cucinare?

Mi ha insegnato a cucinare mia madre.

E quando più o meno, ti ricordi?

Eravamo tutti piccoli, eravamo tanti figli e allora le femmine…la mamma ci insegnava a cucinare e i maschietti andavano alla campagna.

Quindi cucinava soltanto lei in famiglia…

Sì.

Hai imparato per gioco o sei stata costretta?

Beh costretta e un po’ pure di piacere per imparare.

E invece adesso le nuove ricette da dove le impari?

Qualche volta vedo sui libri ma di più alla televisione perché fanno belle scelte e tanti programmi.

Adesso chi ti aiuta in cucina?

Non mi aiuta nessuno; mio marito va a comprare le cose che servono e io cucino.

Nonna, secondo te, la dieta alimentare è cambiata rispetto a prima e come?

È migliorata perché prima tutte queste cose che ci sono adesso, prima non c’erano. Era una dieta più povera prima. Adesso ci sono tante cose che puoi arricchirla come vuoi.

E ci sono dei piatti che prima si facevano e ora non si fanno più?

Sì, ci sono i piatti che erano prima tutti i giorni legumi, tutti i giorni legumi. Adesso una volta alla settimana facciamo legumi e poi ogni giorno si cambia. Quello che desideri, che puoi pure fare lo fai.

Quindi quello che stiamo preparando oggi è una ricetta tipica del nostro paese?

Sì, questi sono pomodori scoppiati diciamo, pummitori gialli scoppiati che si facevano prima tutte le mattine. Prima non c’era il latte, il caffè, si faceva colazione con i pomodori, il pane e un bicchiere di vino per andare in campagna.

E da chi hai imparato a cucinare questo piatto?

Da mia mamma.

Hai cambiato qualcosa nella ricetta o è sempre quella originale?

È sempre quella perché non sono cambiati.

Però c’è qualcuno che la cucina in modo diverso, che aggiunge qualcosa?

Se vuoi puoi aggiungere le olive nere alla fine della cottura dei pomodori, un piccante più forte, a piacere.

Qual è la cosa più importante della ricetta?

Beh sono i pomodori e l’olio perché si cucinano con l’olio.

Come si deve presentare nel piatto la pietanza? C’è una forma da rispettare oppure no?

No, come le altre pietanze; quello che desiderano, se ne vogliono di più, se ne vogliono di meno, a seconda della persona.

Quindi viene messo nel piatto così come capita.

Sì, come capita.

E quando apparecchi presti attenzione al colore della tovaglia, alle posate, ai piatti.

No no, noi poveri contadini non ci pensiamo a queste cose.

Magari solo nelle occasioni prendi la tovaglia di stoffa, le posate.

Beh sì, le posate, quando ci sono persone all’infuori della famiglia cerchiamo di ordinare un po’ di più però se è in famiglia facciamo come tutti i giorni.

Ok. Nonna, è importante saper cucinare?

Certo. Saper cucinare è un titolo per la famiglia, per servire tutta la famiglia.

E quando ti dicono che sai cucinare ti fa piacere?

Certo, sono contenta. Abbiamo messo nella pentola i pomodori, gli spunzali e il piccante; sto mettendo l’olio, ora metto il sale e accendo il gas. Adesso li copriamo e aspettiamo che scoppiano. Quando scoppiano li schiacciamo con la forchetta e se vuoi gli togli la pellicina se no li lasci così, come desideri, come volete. Adesso i pomodori si sono ammorbiditi, quasi cotti e li schiacciamo. Facciamo uscire tutto il pomodoro dentro e la buccia se vuoi la togli, se non vuoi la puoi lasciare perché è sempre un sapore in più. Poi alla fine della cottura, se vuoi metti qualche uovo fresco oppure olive nere, o una cosa o l’altra. E così quando poi lo metti a tavola, metti il pane abbrustolito vicino al piatto e ti puoi servire. Dopo un minuto che le olive sono andate dentro, spegnamo. Potete favorire, il piatto è pronto.

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Calzoncelli di ricotta dolce con il ragù (Altamura)

Calzoncelli di ricotta dolce con il ragù (Altamura) preparati da Paola Schiavino Patella intervistata da Angela Devito

Allora, come ti chiami?

Paola Schiavino.

Quanti anni hai?

Ho 56 anni, sono sposata e ho tre figli, sono casalinga.

Ti piace cucinare?

Molto! E si vede…

Chi ti ha insegnato a cucinare?

Dunque, la mia mamma, che adesso non c’è più, ma era anche a mia zia proprio che piaceva cucinare. Per cui in famiglia ho imparato da loro, la loro passione.

Quindi hai imparato dai tuoi familiari?

Sì.

E a quanti anni hai imparato più o meno?

Ma… Io mi sono sempre dedicata alla cucina da ragazza, anche se andavo a scuola, però siccome con mia madre e con mia zia si preparavano in casa tante di quelle prelibatezze (anche i biscotti si facevano in casa e mia madre addirittura faceva il pane) per me è stata una cosa naturale imparare. Non c’è una data ben precisa da cui mi sono messa a cucinare.

Ci sono delle ricette che sai cucinare meglio rispetto ad altre?

Mi piace provare tante ricette, anche quelle nuove vedendo su Internet, le provo e magari utilizzo nuovi prodotti… insomma mi piace, provo tante ricette.

Cosa ti riesce meglio?

Beh, le ricette della tradizione sicuramente sono quelle più cucinate. Ricette di legumi, verdure, sono quelle della nostra tradizione. Poi è logico che se uno vuole cambiare si leggono le ricette e si impara dal ricettario o dalla televisione. Io cucino la nostra dieta mediterranea: legumi, verdure, sughetti e il ragù, che ora non si riesce più a fare tanto spesso, però alcune volte lo faccio.

Cosa intendi per tradizione?

Praticamente la tradizione è la cultura dei nostri genitori, delle nostre nonne. È la cultura alimentare, ma anche della loro terra; loro hanno tramandato a noi queste ricette, in virtù del fatto che c’era una tradizione contadina. Noi siamo al Sud, ad Altamura, per cui una tradizione contadina che prevede prodotti sia della terra, come tutte le verdure, che prodotti caseari, che da noi sono molto buoni.

Ho capito. Ma tu hai qualcuno che ti aiuta, in famiglia, mentre cucini? Ti fai aiutare? Oppure fai tutto da sola?

Beh, adesso che mia figlia è diventata più grande, mi aiuta.

E rispetto al tuo passato pensi che la dieta alimentare, di cui tu hai parlato, sia cambiata?

Per continuare le tradizioni, più o meno le ricette sono sempre quelle a base di verdure e legumi, ripeto. Però se si vuole fare una ricetta innovativa la si prova, la si cucina, però ritorna sempre la nostra tradizione nelle nostre cucine.

Oggi cosa ci prepari?

Oggi vi farò proprio un piatto della tradizione, che sono i calzungérre con la ricotta dolce. L’ho detto in dialetto; l’ho detto proprio nel nostro vernacolo. I calzungérre con la ricotta dolce sono un piatto tipico altamurano, ma più di tutto il Sud. Sono dei ravioli (li chiamiamo così in questo modo) ripieni di ricotta dolce e conditi con ragù e parmigiano o grana, quindi ragù e formaggio. Per cui c’è questo sapore agrodolce, che verrà fuori, che a non tutti piace. Ecco, ovviamente non è un piatto che si cucina tutti i giorni; è un piatto che richiede anche un po’ di tempo, perché bisogna impastare la pasta in casa, fare i ravioli e ci vuole anche un po’ di dimestichezza ed è anche un piatto elaborato perché c’è il ragù. È un piatto che si usava soprattutto nei giorni di festa, soprattutto nel periodo di carnevale.

Hai detto che è un piatto tipico: in che senso tipico? Cosa significa per te “tipico”?

Tipico perché è della tradizione, soprattutto del nostro Sud. È un piatto che riesce ad unire sia la maestria delle vecchie massaie, che sapevano veramente lavorare bene la pasta ed io mi cimenterò, quindi non è che faccio tutti i giorni la pasta in casa. E quindi unisce, ripeto, sia la pasta in casa, che è un lavoro che non tutti adesso fanno, perché molte donne, anzi quasi tutte lavorano, e sia i prodotti della nostra terra, quindi prodotti caseari, come la ricotta. Perché prima c’erano molte masserie, ce ne sono tutt’ora, però prima la nostra tradizione era prettamente agricola e quindi si prendeva tutto dalla terra, no?

Oggi questo piatto che ci cucini, hai detto questi Calzoncelli di ricotta dolce col sugo, per quante persone sono?

È un primo piatto, devo dire, ed è per quattro persone e magari dopo dirò anche le dosi per quattro persone. È un primo piatto che negli agriturismi è usato, più che come primo piatto, è usato come assaggino. Quindi danno 4\5 raviolini a testa, perché, ripeto, è un piatto agrodolce, perché dentro c’è la ricotta dolce, che si unirà al ragù e al formaggio. È un piatto a cui prima, nelle nostre cucine, dei nostri genitori, delle nostre nonne, si usava anche abbinare delle tagliatelle, fatte con la stessa pasta. Quindi si assaggiavano sia le tagliatelle che i ravioli.

Questo piatto richiede molto tempo per la preparazione?

Inizieremo prima di tutto con il ragù, a preparare il ragù, perché richiede un paio d’ore di cottura, 2\3 ore. Poi faremo il ripieno, perché ha bisogno di stare un po’ nel frigorifero, perché ha bisogno di essere più sodo, più rassodato e poi, la pasta in casa che ha bisogno di una mezz’oretta di lavorazione e di riposo, per essere meglio lavorata e gustata.

Quindi adesso prepariamo il ragù?

Prepariamo il ragù prima di tutto.

Inizio a mettere un po’ di olio sul fondo del tegame. Oggi faccio il ragù di braciolette.

Di solito fai sempre il ragù di braciolette o cambia?

No, cambia. C’è anche il ragù alla bolognese, oppure con pezzetti di carne che vengono sempre rosolati nell’olio.

Adesso facciamo andare la carne in olio in modo tale che si rosoli bene bene e poi ci aggiungeremo la cipolla, sfumeremo con il vino e infine la salsa. E poi daremo tempo alla cottura delle braciole.

Noi le chiamiamo braciole, ma sono involtini di carne di manzo. Nel nostro “linguaggio” le chiamiamo braciole, braciolette.

Questo piatto piace ai tuoi figli? Piace alla tua famiglia?

Sì, ma non tanto spesso. Bisogna farlo, ma non sempre, una volta ogni tanto lo prepariamo… lo preparo.

Ti fanno molti complimenti?

Quando mangiano la pasta in casa, mi fanno sempre i complimenti, perché ricordano la nonna che preparava sempre la pasta in casa. Quindi io cerco di mantenere la tradizione con la preparazione della pasta in casa.

Ti piace sentirti dire che sai cucinare bene?

Beh, fa piacere! Anche perché la cucina non è soltanto la cottura dei cibi fine a sé stessa; la cucina è soprattutto la condivisione del piatto tutti insieme. È condividere, passare una giornata insieme, in compagnia. Quindi lo si fa per unire le famiglie, perché, secondo me, soprattutto la domenica quando ci si dedica ancora molto di più alla cucina, con anche la preparazione del dolce, di un contorno diverso, allora la famiglia si riunisce. Questo è quello che la cucina crea; crea condivisione. E questo mi piace, perché io in questa maniera riesco ad accontentare tutti quanti in famiglia.

Quindi è una forma d’amore per te?

Eh sì. È curare gli affetti! La cucina è anche questo.

Tu passi molto tempo in cucina?

Abbastanza. Passo molto tempo, però non tutti i giorni. Perché ci sono giorni in cui devo fare altro e quindi c’è una cucina un po’ più semplice.

Di solito ti svegli presto per cucinare? In settimana o la domenica?

Sì, la domenica mi sveglio prima; in settimana ci sono anche altri servizi da adempiere.

Adesso aggiungo la cipolla. La taglio a pezzettini, così rosola un po’ insieme alla carne… non tutta perché è tanta. E una volta che rosola anche bene la cipolla, lo sfumerò con il vino.

Per questo piatto hai fatto la spesa in giornata o avevi già qualcosa?

Ho fatto la spesa di questi ingredienti in giornata, come la ricotta e le braciolette. Mentre la farina, la Semola, che utilizzeremo per la pasta in casa, ce l’ho sempre.

Dove vai a fare la spesa? Da un fornitore di fiducia?

Per il macellaio, ne ho uno di fiducia, da cui mi servo sempre da tanti anni. Per cui lui capisce anche quello che mi deve dare come carne. La ricotta dalla latteria. Insomma, giro tanti negozi perché non faccio la spesa esclusivamente da un negozio solo.

Per te è importante fare attenzione alla qualità dei prodotti?

Soprattutto alla qualità! La qualità è la prima base della cucina, poi viene la cottura.

Secondo te, rispetto a prima si mangia più genuino ora? O prima c’era una cucina più sana?

Sicuramente prima i prodotti della terra avevano tutto un altro gusto, perché forse si dava più attenzione alla terra. Mentre adesso con le serre… Bisognerebbe però soprattutto usare i prodotti della stagione ed evitare i prodotti di serra.

Voi prima avevate un orto? Che lavoro facevano i tuoi genitori?

Nono, non avevamo un orto, non avevano una campagna. Mia madre era casalinga e mio padre lavorava al comune.

Adesso sfumiamo con un po’ di vino. Lo facciamo evaporare.

Perché sfumi con il vino?

Così si assorbe bene l’odore del vino, si rosola meglio e ha questo buon sapore la carne. E una volta che il vino sarà evaporato metteremo la passata di pomodoro.

Prima si usava sempre fare la salsa fatta in casa; adesso ci sono molti che la stanno riproponendo, invece di usare queste salse già pronte. Io un paio di anni fa l’ho fatta e devo dire che era molto buona, però anche lì ci vuole tempo, ci vuole molta dedizione e l’aiuto di tanti. Tutta la famiglia deve collaborare alla salsa fatta in casa, perché da soli non si può fare.

Adesso non hai molto tempo per farla?

Sì, volendo il tempo c’è. Ripeto, ci vogliono un po’ più di aiuti. Insomma è impegnativo fare la salsa fatta in casa.

Secondo te il sapore è diverso da quella che si acquista? La senti diversa?

Beh certamente il pomodoro fresco è molto più genuino. Io adesso cerco di fare i pomodori a pezzi e conservarli per l’inverno.

Tu hai un garage o una tavernetta in cui conservi il cibo?

No, perché abitiamo in un condominio adesso. Mentre prima mia madre aveva una cantina in cui conservare, per esempio, i pomodori de’ la cocchj. I pomodori de’ la cocchj (della cocchia) sono quei pomodori rossi che si prendevano in estate, si appendevano ad un filo o ad una corda e li tenevi per tutto l’inverno. E lì, veramente, in quelle cantine si mantenevano molto bene. Adesso non avendo più queste cantine con il fresco e facendo molto caldo in casa, questi tipi di conserve non si possono tanto tenere. Chi ce l’ha può sempre farlo.

Quanto tempo ci vuole per la cottura del sugo?

Almeno per il ragù 2\3 ore le dobbiamo considerare. Adesso mettiamo un po’ di passata e poi deve andare al minimo. Una volta che ha preso il bollore, il ragù deve cucinare coperto e al minimo, con il fuoco al minimo sotto. Così deve sobbollire piano piano per 2\3 ore. Ci aggiungo un po’ di acqua, perché la passata ha bisogno di un po’ di acqua. Nel frattempo mettiamo il sale, un po’ di alloro per dare sapore al sugo.

Allora prendiamo l’alloro…

Perché metti l’alloro?

Perché dà un buono profumo. In verità io uso molto le erbe aromatiche. Infatti ho i vasetti con la salvia, il basilico, la menta… perché mi piace utilizzare queste erbe aromatiche in tutte le mie pietanze.

Questo l’hai visto fare dai tuoi genitori?

Sempre da mia madre. Ma diciamo che la cipolla e l’alloro sono quelle cose che si mettono sempre.

Adesso abbassiamo al minimo e lo portiamo dietro…

Nel frattempo fai i calzoncelli?

No, nel frattempo preparerei il ripieno dei calzoncelli, dei calzungérre, perché deve stare un po’ in frigorifero, si deve rassodare. Non deve essere molto lento, perché altrimenti se è lento e morbido, si rischia che i calzoncelli si disfino nella cottura. Allora gli ingredienti sono 250gr di ricotta. La ricotta l’ho comprata ieri, quella del giorno prima, così almeno è più soda e più asciutta.

E non caccia l’acqua…

Esattamente e non caccia l’acqua… ecco 250gr di ricotta e possiamo metterci qua. Nei 250gr di ricotta si mette lo zucchero, circa 100\80gr, ma lo possiamo anche assaggiare, e poi 2 tuorli d’uovo.

Servono soltanto i tuorli?

Qui sì, per non rendere l’impasto molto morbido con i bianchi.

Poi conservi il bianco dell’uovo?

Si potrebbero fare anche con le mandorle le Spumette, che sono molto buone. Oggi no, magari lo conserverò e domani lo utilizziamo, perché in cucina non si butta mai niente.

Hai detto che in cucina non si butta mai niente, come mai?

In cucina, no, non si butta mai niente! Bisogna anche fare il recupero dei prodotti che ti avanzano, perché altrimenti è uno sciupio di soldi e dispiace buttare.

Allora nella ricotta con lo zucchero e i tuorli, ci metto anche una grattatina di buccia di limone.

Perché?

Dà quel buon profumo. Abbiamo detto che il ripieno è fatto da ricotta dolce e uovo e si mette il limone per dare questo buon profumo e sapore. Però si mette soltanto la parte gialla e non quella bianca, perché è più amara. Questo è un limone non trattato, quindi prima l’ho anche lavato. Volendo si può mettere anche della cannella, però è facoltativo. Io in genere non la metto, perché dà quel gusto molto più forte, ma alcuni mettono giusto un pizzico di cannella.

Hai detto che non è trattato il limone; come fai ad esserne sicura?

Beh, sì, almeno non ci mangiamo i pesticidi. Insomma sono limoni biologici.

Lo hai comprato sempre dal tuo fornitore di fiducia?

Sì sì, l’ho comprato dal fruttivendolo di fiducia.

Allora si lavora il ripieno con un semplice cucchiaio. Non c’è bisogno di utilizzare il passatutto, perché la ricotta è comunque molto fresca; è di ieri, però si può lavorare bene. Basta un cucchiaio per poterla amalgamare bene. Questo composto va tenuto in frigorifero, fino a che faremo i ravioli.

Io metterei un altro poco di zucchero, perché se non sono abbastanza dolci non c’è quel contrasto.

Hai detto che questo è un piatto tipico di carnevale; ci sono altri piatti tipici del periodo di carnevale che cucini, conosci o che hai mai assaggiato?

Questo è un piatto di carnevale, anche perché richiede molto lavoro. Altri piatti tipici, no… a Pasqua si fanno piatti tipici nel nostro Sud. Ah! A Carnevale ci sono i dolci. Ma questo è un po’ un piatto tipico, poiché era anche come un dolce.

Io metto in frigorifero questo composto, in modo tale che si rassoda ancora meglio, fino a che prepariamo la pasta.

Ma non ci sono altri piatti di Carnevale che tu hai cucinato o cucini? Cucini spesso solo questo?

Gli gnocchi, ma non sono della nostra tradizione. C’è un altro piatto tipico, ma più che altro da giugno in poi: la pecora alla r’zzaul. Ma questo è più in estate quando la pecora è più tenera.

Che cos’è la pecora alla r’zzaul?

La pecora è proprio la carne di pecora; alla r’zzaul perché praticamente viene cucinata in un coccio al forno a legna. Si preparano tutte le verdure (patate, peperoni, cipolle, cicorielle, cardoncelli) e si mettono insieme alla pecora e si lasciano cucinare 4 ore, coperte in questo coccio, in questo tegame di coccio, addirittura nel forno a legna, e ad Altamura ce ne sono tanti.

Adesso prepariamo per fare la pasta. Prendiamo la spianatoia. Per 4 persone, servono 250gr di semola rimacinata.

Hai imparato da sola a fare la pasta in casa?

Sempre guardando mia madre e poi mi sono cimentata anche io.

Allora questa farina è la semola rimacinata di grano duro. Nel nostro Sud si usano molto queste semole che sono diverse dalla 00, perché queste sono di grano duro, mentre poi ci sono le farine di grano tenero.

Dal grano duro si hanno la semola vera e propria, che ha una granulometria più grossa, e la semola rimacinata, che è più sottile.

Con questa di grano duro si fanno le focacce. Con questa rimacinata noi usiamo fare la focaccia e tutta la pasta fatta in casa. Con questa facciamo i capunti, i capuntini, anche ciò che stiamo facendo adesso, i calzoncelli di ricotta dolce; mentre con la semola che è più grossa e grossolana come granulometria, si fanno le orecchiette e le tagliatelle.

Adesso prendo un po’ di acqua se mi occorre.

Tu sai fare tutti i tipi di pasta in casa?

Le orecchiette le so fare, ma lì ci vuole veramente tanta tanta pazienza! Perché occorre un po’ di tempo per poterle fare e siccome non ho mai tutto questo tempo per poter stare seduta a fare le orecchiette, non mi metto mai. Però tagliatelle, capunti, capuntini: li faccio tutti.

Con la farina ho creato una specie di fontana, un cratere e qui ci metto le uova intere: due sono più che sufficienti, bastano. Se ci vuole, aggiungeremo dell’acqua. Vado a lavarmi le mani…

Sempre meglio lavarsi le mani quando si toccano i gusti delle uova!

Perché?

Per l’igiene.

Adesso devo far ben amalgamare le uova, in modo tale che il bianco che crea questa parte filamentosa sia un tutt’uno con il resto delle uova, prima di assorbire tutta la farina. Quindi la devo prima di tutto sbattere bene e poi comincio a far assorbire la farina.

Avete visto che ho setacciato la farina? Va sempre setacciata proprio per evitare i grumi e qualche pezzettino che è rimasto qui, che mi rovina la pasta.

E se non si amalgama bene che cosa può succedere?

I filamenti sono andati via. No, ma basta sbatterle e le uova diventano un tutt’uno e non c’è quella separazione tra il bianco e il rosso. Adesso cominciamo a far assorbire la farina.

Un po’ per volta?

Sì, un po’ per volta e poi lavoreremo a mano. Prima con la forchetta e poi lavoriamo a mano. E adesso che non abbiamo più paura che l’uovo si disperda sulla spianatoia, possiamo lavorare a mano. Incominciamo ad inglobare tutta la farina.

Ti piace impastare a mano?

Sì, mi piace molto. Anche perché in realtà ti aiutano molto questi nuovi elettrodomestici, come l’impastatrice. Però proprio sotto le mani ti rendi conto se l’impasto è venuto della giusta consistenza, perché nell’impastatrice non hai questa possibilità. Invece sotto le mani tu vedi se l’impasto è duro o morbido, se ha bisogno di avere più acqua, più farina, eccetera. Perché tutto dipende dalla qualità della farina e dalla uova, se sono più grandi, più piccole, da come assorbono la farina. Per cui ci dobbiamo rendere conto man mano se abbiamo bisogno di acqua o no.

Tu hai l’impastatrice?

Ho un elettrodomestico che è come un’impastatrice, ma è un tuttofare: monta i bianchi, monta la panna… quindi non è una vera e propria impastatrice.

Ma tu le ricette le ricordi tutte a memoria? Oppure hai un ricettario? O ti servi della tv o di internet…?

No, praticamente le ricette me le scrivo io su un quaderno, quelle della tradizione, della mia mamma, della mia famiglia. A memoria non si possono ricordare tutte; quelle che si fanno più frequentemente le ricordi. Se poi voglio fare una ricetta nuova, mi servo di internet adesso, ma prima con i libri di cucina.

Ma a volte cambi qualche ingrediente o le quantità degli ingredienti? Oppure le segui sempre?

Diciamo che se non ho un ingrediente, non impazzisco per andare a cercare o trovare un ingrediente nuovo; allora non lo metto.

E prima se non ricordavi come facevi senza internet? Andavi dalle nonne o dalle zie?

Sì, ma avevo anche i libri di cucina. Prima se ne compravano parecchi, per esempio il libro dell’Artusi.

Allora adesso la cosa più importante è sempre pulire bene la spianatoia e raccogliere tutta la farina e lavorare per almeno una decina di minuti la pasta, perché in questa maniera diventa omogenea, liscia.

Perché pulisci il tagliere (o spianatoia)?

Raccolgo. Raccolgo tutto quello che posso raccogliere dell’impasto, in modo tale da non buttare niente. Ecco, adesso lavoriamo. Questo qui che ho alle mani, in genere lo pulisco, ma poi non lo utilizzo, perché con il caldo la pasta già tende a seccarsi. Per cui questo non lo metto e mi pulisco bene bene le mani, in modo tale che l’impasto sia sempre pulito e liscio. Ci metto un poco di farina e la lavoro una decina di minuti.

Questa pasta non deve essere né troppo dura né troppo morbida, quindi deve avere una certa consistenza in modo tale che dopo la possiamo lavorare alla macchinetta della pasta. Io mi servo della macchinetta della pasta, perché tirare la sfoglia a mano (mia madre lo sapeva fare molto bene, perché prima non avevano questi oggetti in casa e quindi con il mattarello tiravano la sfoglia molto sottile) mi riesce un po’ più difficile e quindi la tiro con la macchinetta. Bisogna sempre lavorare con il palmo della mano, in modo da riscaldare l’impasto e renderlo liscio ed omogeneo. Dopo averla lavorata così una decina di minuti, la si lascia riposare almeno per mezz’ora. Perché adesso, vedete, è un po’ granulosa al tatto; invece una volta che si lascia riposare, poi la vedremo, diventa più liscia, omogenea e ha perso quell’elasticità che adesso invece ha. Quando la si lavora, si ritira, perché la stiamo lavorando. Invece lasciandola per una mezz’oretta perde quell’elasticità e così dopo la pasta non si straccia anche quando la stenderemo.

Io direi che adesso la possiamo raccogliere in una palla così e l’andiamo a coprire. La copriamo in modo tale che non si secchi la parte superiore con il caldo e quindi l’umidità che crea la pasta la fa diventare liscia ed omogenea. Adesso devono passare almeno 20\30 minuti e nel frattempo possiamo pulire qui tutto quanto.

Perché l’hai coperta con questo vassoio di vetro?

La si può coprire con questo, con una cosa di plastica, anche con un canovaccio umido. Forse la cosa migliore è proprio coprirla con un canovaccio umido, per non farla seccare. Così l’aria esterna non fa fare la crosta sopra la pasta. Nel frattempo ci puliamo tutta la spianatoia, u ta’vulir, così lo chiamavamo e anche certe volte in italiano. Mi lavo di nuovo le mani.

Il sugo a che punto è?

Beh ha bisogno di ancora un po’ di cottura, però sta andando bene, si sta cucinando.

Puliamo qua sopra e ci prepariamo per i ravioli.

 

Ora sto controllando il sugo, la cottura del sugo e sta andando molto bene. È passata la mezz’oretta oramai per la pasta, per farla riposare e adesso cominciamo a stendere la pasta, per creare i ravioli.

Ecco vedi, la pasta è diventata bella liscia ed omogenea, mentre prima vi avevo fatto vedere che era un po’ rugosa, ruvida. In questa maniera ha praticamente perso l’elasticità e così adesso la si può stendere facilmente. Comunque la si stende a piccole porzioni alla volta e il resto che rimane lo dobbiamo sempre coprire in modo tale che non si secchi.

Io mi preparo comunque il ripieno, perché ho bisogno di tenerlo vicino, perché così appena tiro la sfoglia preparerò i calzungérre. Perché essendo pasta ripiena ho comunque la necessità che sia sempre fresca, molto morbida, non la devo lasciare asciugare. Perché se la lascio asciugare, non la posso più chiudere, poiché i lembi della pasta vanno chiusi.

Si inizia dalla parte più grande della macchinetta, quella dallo spessore più largo, perché ha bisogno di essere lavorata. Vedete, già è bella liscia. La si gira più volte. La si gira in questa maniera e la si continua a lavorare. Se abbiamo necessità mettiamo un pochettino di farina, ma proprio poca poca. La pieghiamo di nuovo, la lavoriamo e adesso cambiamo la posizione del foro: passiamo al foro numero 2. Quello di prima era il numero 1 e adesso il 2 per renderla più sottile. Basta una volta, la passo al numero 3 della macchinetta, continuo sempre e adesso è diventata ancora più sottile. Poi al numero 4…

È un passaggio graduale…

Sì, è un passaggio graduale in modo tale che la pasta venga lavorata. Comunque la farina la metto solo da un lato, perché dall’altro dopo ho necessità, che si chiuda e quindi non devo infarinarla, altrimenti non la posso chiudere più. Al numero 4 la stendo adesso. Vedete, già come è bella liscia al numero 4; certe volte al numero 4 faccio le tagliatelle fatte in casa. Siccome i ravioli hanno bisogno che si uniscano i due lembi della pasta, ho bisogno che la rendiamo più sottile ancora e quindi la passo al numero 5.

Adesso mi preparo i mucchietti. Un cucchiaino va bene per ogni mucchietto. Li metto a distanza uguale l’uno dall’altro. Mi aiuto con due cucchiaini in modo tale da avere il mucchietto tutto uguale.

Adesso bisogna essere molto svelti nell’unire i lembi di pasta. Riesci a vedere?

Sì…

E adesso la cosa più importante da fare è togliere l’aria e incominciare a sigillare i bordi. Togliere l’aria da dentro così facendola aderire.

Ma si fa solo a mano? O puoi farlo anche con la forchetta?

No, adesso lo faccio prima a mano e poi dopo con la rotellina do la forma ai ravioli… con la rotellina oppure con altri oggetti, una formina. Tolgo l’aria attorno in questa maniera; ecco perché si fa un pezzettino alla volta, perché la pasta deve essere sempre fresca, appena lavorata subito creare il raviolo.

Questa è la rotellina di cui mi servo, oppure c’è anche questo. Se io faccio così, posso fare così e crearmi la forma del raviolo. Però siccome sono piccolini, li lascio asciugare un po’ su questo canovaccio. Sono un po’ piccolini e belli pienotti, allora li faccio con la rotellina che mi dà una forma un po’ più grande.

Cosa sono questi oggetti che hai qui?

Sono tutti oggetti antichi di famiglia, di mio nonno, della mia mamma. Allora a incominciare dai ferri da stiro, vedete: prima mica avevamo la caldaia o i ferri a vapore, nel ferro da stiro si mettevano i carboni caldi e con due persone che mantenevano le lenzuola, con quel ferro le stiravano; poi abbiamo i macinini per il caffè, mentre adesso c’è il caffè pronto, imbustato, prima si acquistava il caffè in chicchi e si macinava nei macinini; poi ci sono questi oggetti centrali che sono dei misurini per il latte, anticamente, me lo ricordo ancora, non c’era la latteria, veniva un signore che portava il latte a domicilio, casa per casa e gli dicevamo quanto latte volevamo e con quei misurini si misurava il latte; poi ci sono i mortai in rame, in legno, per schiacciare le mandorle, le noci; e poi questi altri oggetti in latta, tutti di famiglia.

Allora io per impastare qua ho riportato la macchinetta al primo numero, in modo tale da creare la sfoglia, da renderla più sottile e lavorarla. Adesso la passiamo al numero 2 e così via fino a che formiamo tutti i ravioli e fino a che facciamo la sfoglia al numero 5 della macchinetta. Questo è il numero 3… 4…

Nel frattempo hai messo a bollire l’acqua o non ancora?

Eh non ancora. Adesso lo faccio, così mentre bolle continuiamo a fare i ravioli. Ecco, l’ho stesa al numero 5 e ci prepariamo gli altri mucchietti per il ripieno e così via, fino a consumare tutta a pasta che abbiamo preparato.

Questa bilancia che sta qui la usi ancora?

Certo! Sì sì, la uso volentieri.

Era di tua madre?

Sì sì, della mia famiglia. Vedete qui, stiamo facendo gli altri ravioli; la sfoglia è bella fresca.

Qui è fuoriuscito un poco, perché era più corta la pasta, più stretta. Li sigilliamo bene, in modo tale che dopo in cottura non fuoriesca il ripieno, facendo uscire, come ho detto prima, sempre l’aria. Facciamo sempre con la rotellina.

Questa pasta non si butta, la rimpastiamo insieme all’altra. La si lascia sempre là dentro per non farla seccare.

Ci tieni che vengano bene?

È certo! Perché poi tanto lavoro e si disfano in cottura non è bello. Ci vuole attenzione e anche aver dosato prima bene la farina per l’impasto.

Adesso tiriamo un altro poco la sfoglia e si fa man mano, sempre dal primo punto della macchinetta. La impastiamo più volte.

Questo invece che cos’è?

Quello è un braciere di rame, dove anticamente si mettevano i carboni e ci si risaldava. Attorno attorno la famiglia si riuniva e si raccontava come era andata la giornata, si raccontavano le storie, le favole ai bambini. Perché non c’erano i termosifoni e quindi attorno al braciere si riuniva la famiglia. Molte volte si utilizzava anche per asciugare i panni: sul braciere si metteva una cosa in legno, fatta come un intreccio, con del legno intrecciato, dove si asciugavano i panni in casa sul calore del braciere.

Ma ora non lo utilizzi più?

No, ora no.

Ti manca utilizzare questi oggetti?

Beh, adesso con la nuova tecnologia e le nuove cose certamente è molto più facile: basta un click, accendi i termosifoni e tutta la casa si riscalda. Ma prima la vita si conduceva in una maniera diversa, c’erano meno impegni, le donne non lavoravano e quindi la sera si riuniva la famiglia tutt’attorno alla tavola, al braciere, ma si conduceva una vita completamente diversa.

Anche la tua famiglia prima conduceva questo stile di vita?

Mia madre certamente, ma già da i miei tempi no… da quando sono nata io, mi ricordo la televisione in bianco e nero e poi tutti gli altri oggetti che adesso ti facilitano molto la vita, tutti questi oggetti sia per la cucina che per il resto.

Però nonostante queste innovazioni vedo che per cucinare utilizzi questa rotellina che è un oggetto antico.

Abbastanza antica… sì sì, è vero.

Adesso un’altra cosa da fare, appena finiamo tutti i calzungérre, è punzecchiare sopra la pasta, in modo che esca un po’ di quell’aria che si è formata all’interno, proprio per evitare che durante la cottura si aprano.

Ci vuole pazienza. Ecco perché prima ho detto che non è un lavoro da fare tutti i giorni. La domenica insomma mangiare la pasta ripiena richiede molto tempo.

Invece in settimana che cosa cucini? Hai un menù fisso?

Beh insomma dopo aver mangiato la domenica le cose buone, come il ragù, il lunedì in genere la verdura. Poi più o meno si rispetta la ciclicità dei prodotti e anche della settimana. Allora magari il martedì pasta al sugo o pomodorini e rucola. Poi il mercoledì e il venerdì il pesce, il giovedì sempre il sughetto. Poi il sabato, il classico in ogni famiglia altamurana, soprattutto d’inverno, in ogni famiglia che si rispetti, il brodo di carne. E magari nel brodo anche la tagliolina con le uova fatta in casa era una cosa buonissima…

Come lo fai il brodo?

Brodo di carne di muscolo o di spezzatino.

Sempre con la pasta fatta in casa?

No, non sempre. Però insomma, adesso la pasta fatta in casa viene sostituita spesso dai tortellini già comprati. Però la pasta fatta in casa ha tutto un altro gusto e sapore.

Ora devo controllare se l’acqua già bolle.

Poi la bellezza della rotellina è che alcuni sono più piccoli, altri più grossi, più rotondi, altri più grandi… ed è proprio questa la cosa più bella.

Non vengono tutti uguali e si vede che sono fatti a mano.

Eh sì e si vede che non sono comprati, che sono una cosa artigianale e non industriale.

L’acqua bolle e io direi che possiamo calare la pasta. Il sugo è pronto. Allora nell’acqua prima di mettere i ravioli, dobbiamo mettere il sale e già la rendiamo salata e un goccio d’olio per non fare attaccare la pasta fatta in casa, però diciamo che in genere con la pasta all’uovo non dovrebbe servire l’uovo, perché la pasta all’uovo non si attacca; di più con le tagliatelle, i capunti, i capuntini, di più con quella pasta.

Ecco adesso dobbiamo punzecchiare la pasta sopra in modo tale che…

…esca un po’ d’aria…

Sì, che esca un po’ d’aria esatto. Bene questi già sono pronti.

Ci vuole molto per la cottura?

No, appena salgono a galla. Non si mettono tutti insieme, perché altrimenti nel tegame non prendono subito il bollore e si mettono poco alla volta. Io incomincio a togliere anche questo. Così ci prepariamo anche per poter servire a tavola.

Adesso bisogna riordinare il tavolo prima di apparecchiare?

Eh sì sì, sistemiamo la tovaglia. Questi non servono più…

E con quelli cosa farai? Li riutilizzi magari per un altro pranzo o per un’altra pietanza?

La ricotta avanzata? Si può fare benissimo anche il dolce domani. Domani con dei biscotti sbriciolati sul fondo della teglia si mette il composto di ricotta, si fa cuocere in forno e viene una buona pizza di ricotta dolce, magari aggiungendo anche delle gocce di cioccolato o del cioccolato tritato. Ecco perché dicevo prima che non si butta nulla.

Nel frattempo apparecchiamo la tavola, questo lo lasciamo qui, puliamo qua sopra prima di apparecchiare.

Ci tieni a curare l’estetica della mensa?

Soprattutto, perché come si dice l’occhio vuole sempre la sua parte: quindi prima di tutto l’occhio, poi il gusto e il palato. Adesso vado a prendere la tovaglia. Ché appena salgono a galla i ravioli, i calzungérre sono pronti e possiamo servire.

Ci tieni ad abbinare i tovaglioli al colore della tovaglia…?

Sì, soprattutto quando ci riuniamo a Natale o a Pasqua. Allora quando si riuniscono le famiglie si dà molta più importanza a come sistemare la tavola con bicchieri più “importanti”, altri tipi di piatti che non usiamo tutti i giorni. Quindi diciamo che diamo più attenzione soprattutto quando c’è qualcuno che viene a casa, ma tutti i giorni comunque la tovaglia, i piatti, i sottopiatti si mettono sempre tutti i giorni.

Hai tanti servizi di piatti?

Beh tanti tanti no…

Bicchieri?

Bicchieri sì, bicchieri a calice… poi soprattutto quando si è in più persone si ha bisogno di tanti piatti tutti uguali, quindi tiriamo fuori il servizio con i piatti tutti uguali. Ecco fatto.

Io metto il sale alla pasta, così appena si scioglie… l’assaggio prima l’acqua se è salata a sufficienza.

Adesso li calo alcuni alla volta. Il tempo di farli salire a galla e di farli bollire qualche secondo, non moltissimo, e li possiamo scolare. Nel frattempo mi riavvicino il sugo che oramai è pronto. È molto saporito questo sugo di braciolette. Guardate, ha rilasciato anche un bel po’ di olio. Incomincio a mettere un po’ di fondo di sugo qui dentro, perché li servo a tavola in questa pirofila. Li facciamo stare ancora qualche secondo e poi li possiamo togliere con questo scolapasta da dentro; si tolgono o con questo o con la schiumaiola.

Che cos’è questa?

Eh, fa scolare bene l’acqua e li possiamo prendere senza farli rompere, perché se li tuffiamo direttamente tutti nello scolapasta rischiamo di romperli e poi, oltretutto, l’acqua mi serve per poter cucinare gli altri.

Io direi che sono pronti. Li metto qua dentro. Adesso qui metto gli altri e condisco i ravioli con il formaggio, il parmigiano, e il sugo che continuo a rimanere in caldo sempre riscaldato, in modo tale che i ravioli non perdano di calore fino a che non li portiamo a tavola.

Li condisci a strati?

Sì.

Per far amalgamare?

Sì, per far amalgamare il tutto.

Qui devono salire ancora a galla; facciamoli stare qui a cuocere ancora un po’ e poi a tavola li possiamo servire nei piatti. Facciamo prendere di nuovo il bollore.

Questo è peperoncino?

Sono i peperoni cruschi, sono propri della Basilicata e quindi ogni tanto noi li utilizziamo. Si tagliano da questa corda, si friggono in olio, poi si tagliano, si tolgono tutti i semini da dentro e li gustiamo su pasta e fagioli, pasta e rape. Sono molto buoni con questo tipo di piatto!

E questo te l’ha insegnato qualcuno?

No, questi non sono proprio della nostra tradizione, sono soprattutto della Basilicata, però siccome piacciono e li abbiamo assaggiati presso casa di amici, allora io li acquisto e li facciamo anche noi, perché mi piace sperimentare ed assaggiare tutte queste cose delle altre regioni. Soprattutto in Italia ci sono tanti di quei piatti e mi piace sperimentare da Nord a Sud e c’è un’abbondanza di ricette. Ed è tutta bella l’Italia sia per questo, che a livello enogastronomico è completa e tu non ti puoi mai annoiare ad assaggiare un prodotto, perché ogni regione ha la sua particolarità; per questo l’Italia è davvero eccezionale dal punto di vista della cucina e della gastronomia.

Il nostro piatto è già concluso.

Cucini anche piatti del Nord?

Certe volte ho fatto anche la Polenta, però non sempre perché noi non abbiamo questa cultura. Però mi piace variare molto.

Come fai la Polenta?

La Polenta l’ho fatta con il ragù, oppure quando si è mantenuta più soda, il giorno l’ho cucinata, pasticciata, al forno, oppure a medaglione.

Ecco io ci metto l’altro formaggio, poi a tavola ognuno, nel piatto, se vuole ci mette l’altro sugo o l’altro formaggio.

Adesso lo porti in tavola?

Lo portiamo in tavola e possiamo prendere questo; prendo un sottopentola anche.

Se avessimo avuto del tempo, avrei fatto delle tagliatelle, che accompagnano bene. Si faceva… anzi si fanno tutt’ora i ravioli e delle tagliatelle a lato, così si gustano i due sapori.

Questo è il piatto finito. E adesso possiamo assaggiare e buon appetito!

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La cialledda (Matera)

La cialledda ( Matera ) 

preparata da Casamassima Dora
intervistata da Camerlingo Doriana

Cosa prepari oggi di buono?

La “Cialledda”

E spiegami com’è questa cialledda?

Questo era un piatto che faceva mio padre, era la sua passione fare la Cialledda. Era squisita! Come la faceva lui non la fa’  nessuno!

Quindi lui te l’ha insegnata?

Sì sì… si mette l’acqua, i pomodorini rossi, il sale, una patata ( chi la vuole), la cipolla (non troppa), l’aglio, tutti gli aromi che metteva lui… come lui non la faceva nessuno, me l’ha fatta il giorno che è nata la mia prima bambina. Io la faccio uguale e precisa.

Quindi era un piatto tipico?

Sì sì, un piatto tipico e speciale!

Tu lo aiutava?

No, io guardavo perché ero piccola. Guardavo perché mi piaceva mangiarla e mi accanivo a guardare.

E quindi così hai imparato?

Sì, sì. Quando una cosa piace rimane fissa nella mente.

Per quanto tempo devono bollire gli ingredienti?

Quando cuoce la patata, ora mettiamo il coperchio e lasciamo cuocere.  Adesso mettiamo il pane nel piatto , prima si tagliava a mano adesso lo prendiamo tutto affettato dal panificio e allora lo mettiamo affettato..

Quindi questa ricetta oggi viene ancora utilizzata?

Chi la conosce sì , chi la conosce la utilizza perché è un piatto speciale. Poi si mette il peperoncino piccante, a me piace io lo metto.

Si mette a fine cottura?

No quando vuoi. Prima, dopo.  L’ importante che “pizzica” sempre. Poi si mette l’olio alla fine e un uovo perché a quei tempi c’erano le galline e mio padre  aveva le galline e le uova erano fresche… Poi facevamo la cialledda e le mettevamo sul pane per insaporire un po’ di più, per essere più sostanziosa… Ora vediamo se è cotto… sta bollendo, si sente già l’odore! magnifico con tutti gli ingredienti che abbiamo messo! Mettiamo un poco di peperoncino, a me piace.

Questa ricetta quindi è materana o si faceva da qualche altra parte?

Be! mia madre era di Altamura e lì era ancora più conosciuta e antiquata e cosi la tradizione degli  uomini è stata tramandata. Io la faccio più spesso perché a me piace… vediamo se è cotta la patata… un altro po’… Che poi più si cuoce e più si insaporisce l’acqua… vediamo…sì, togliamo l’aglio che a me dell’aglio mi piace solo l’odore, non mi piace il sapore.  Metto l’uovo… il tuorlo lasciarlo un po’ più morbido che sul pane viene più liquido.

Stai schiacciando i pomodori per far uscire la salsa? 

Sì, si schiacciano un poco per far uscire il sapore.

Si è rotto l’uovo?

No, il tuorlo no. L’albume si sparge, si allunga. Togliamo pure il prezzemolo, vedi… possiamo togliere! Ed ecco qui.

Ed ora lo metti sul pane?

Sì, mettiamo le patate, il brodo quello che ci vuole, in ultimo l’uovo e l’olio.

Per condire?

Essi, l’olio ci vuole, non deve mancare mai!

Questo piatto quando lo facevate più spesso? Di giorno o di sera?

Se la sera il pane era duro allora facevamo la cialledda perché si doveva ammorbidire.

ora si aspetta e si copre il piatto per farlo riposare.(2 min il tempo che si assorbe il brodo nel pane); prendiamo l’olio, questo è l’olio extravergine d’oliva ma quello di prima quello si che era “succo d’oliva”

Perché ? Lo facevate voi?

Perché era più naturale, no non lo facevamo noi, lo compravamo dai contadini che lo facevano dove allora esistevano i “treppijt”(come lo chiamiamo noi) e allora quando usciva l’olio quello era proprio naturale e stavano i vicini di casa, gli amici della campagna che lo tenevano naturale e lo compravamo da quelli là.  Adesso compriamo le bottiglie che non sappiamo cosa troviamo dentro  purtroppo.

E cos’è questo treppijt che hai nominato?

Dove si macinano le olive

Ah! Era uno strumento che avevano i contadini?

Sì, andavano tutti i contadini a portare le olive, si schiacciavano e usciva l’olio extravergine, l’olio buono che un poco ne mettevi e si sentiva il profumo.

E quindi voi vi affidavate a questi contadini?

E per forza quando si ha fiducia di una persona bisogna averne fino in fondo.

Ed ecco qui il piatto che abbiamo fatto, l’abbiamo coperto un poco, ora mettiamo l’olio crudo ed ecco qui pronto da mangiare.

Raccontami le tue abitudini alimentari rispetto a quando eri piccola, sono cambiate?

Sì sono cambiate di parecchio, perché prima si mangiavano cose naturali ora sono tutte cose artificiali… io cerco di prendere le cose dai contadini perché sono sicura che sono un po’ più naturali… però ai tempi di oggi andiamo avanti così… non si può fare altro… mi sono abituata da piccola a mangiare sempre cose naturali perché mio padre faceva il fornaio e i clienti gli davano due ceci… sapendo sicuro che erano naturali… e siamo cresciuti con le cose naturali.

Quindi voi non avete un orticello?

No.

Ve li portavano i contadini? 

No, li aveva regalati mio padre dai contadini perché andava a consegnare il pane. Mio padre orfano di guerra si è messo a lavorare da piccolo e i contadini si chiamavano proprietari di terreni perché coltivavano il grano o legumi (tutto il bene di Dio)…e mio padre era orfano e gli regalavano le cose… andando avanti poi li portava a casa e noi li mangiavamo… eravamo tranquilli e sicuri.

Però voi avevate degli animali?

Sì, noi giù ai sassi avevamo galline, conigli, un maiale che poi ammazzavamo e ci facevamo la salsiccia! … tutto naturale!

Quindi dal maiale ricavate la salsiccia, dalle gallina le uova?

Sì, mangiavamo sempre cose naturali e cosi ce ne andiamo grazie a dio che siamo arrivati a questa età… però non ci troviamo con questo mondo moderno che ci fanno mangiare tutti coloranti e medicinali.

Quindi ti piacerebbe ad esempio tornare a vivere giù ai sassi come si viveva una volta?

Beh… giù ai sassi no perché non c’era acqua, la fognatura… Mi piacerebbe come ambiente.

Ti piacerebbe solo la cucina di una volta? 

Ecco, le comodità non sono come quelle che adesso abbiamo.

Però la cucina forse non è più la stessa di una volta e quindi ti piacerebbe tornare a quelle abitudini?

Ecco.

E oggi ci sono delle pietanze che non si cucinano più? 

Eh sì… I piatti come per esempio le fave noi le facevamo senza della scorza (le fave bianche), si potevano fare con la pasta, si potevano fare con il pane arrostito. Si facevano tutti legumi oppure la verdura: le rape, i cavoli, tutta roba della campagna ma sapevamo che erano originali, erano naturali e purtroppo ci dobbiamo adeguare a questi tempi che corrono.

E cosa ti piacerebbe di più cucinare? 

Oggi quello che mi piace di più cucinare sono le orecchiette con il ragù.  A me la pasta in bianco non piace!

Ti piacciono le cose ben condite?

Si si… il formaggio, il ragù. Deve stare sempre il pomodoro o la salsa… faccio il possibile per fare le cose più tradizionali all’uso mio e dei miei tempi… quello che riesco a fare faccio quello che no mi arrangio.

E nella tua famiglia chi cucinava di più? Tuo padre o tua madre? 

Eh… mio padre quando tornava se vedeva che il pane era duro facevamo il pane cotto o la cialledda. Poi mia madre cucinava a mezzogiorno, mio padre invece cucinava la sera quando tornava, mia madre preparava sempre pasta e rape, pasta e cavoli. Era sempre questa la minestra tradizionale. Solo la domenica mangiavamo la pasta asciutta perché diceva mio padre “se la domenica non mangio una braciola non è domenica per me!” e solo la domenica mio padre voleva la braciola di cavallo che era la carne più naturale, più saporita, più sostanziosa.

E’ importante per te dare un sapore alle tue ricette?

E come no! Si per forza! io voglio… lo cerco (sapore). Ma io mangio la frutta, ma non è più quella di una volta… questa frutta che portano mo è insipida, non ha più sapore perché viene tutto medicinato, tutto fatto con le medicine e io ne faccio a meno di comprarla… perché che devo mangiare? Medicine? Allora preferisco un piatto di pomodori, insalata con i caroselli e no queste cose artificiali. L’uva artificiale, le pesche, tutto… non hanno più sapore perché si fanno grandi con le medicine, non sono naturali!

E tu hai imparato da sola a cucinare oppure sei stata costretta dai tuoi genitori? 

No no, non sono stata costretta perché io mi sono sposata piccola… ho dovuto cucinare perché grazie a Dio ho avuto un marito che pure lui sapeva cucinare e cucinavamo insieme le cose che ci piacevano e così siamo andati avanti.

E quindi tua madre cucinava per tutti e dove mangiavate? In che piatti ad esempio?

Ah si! Questo è un altro problema perché noi in famiglia eravamo 5 persone: io, mio padre, mia madre e due fratelli. Avevamo un solo piatto e quindi mangiavamo tutti in questo piatto e dovevamo bere tutti dallo stesso bicchiere. Adesso con la modernità ognuno ha il suo piatto, ognuno il suo bicchiere, e noi mangiavamo li e siamo cresciuti sani e salvi! Adesso tutti con questo magistero!

Va bene ok, Grazie!

 

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Polpette di carne mista al sugo (Bernalda)

Polpette di carne mista al sugo (Bernalda) preparate da Anna Maria Greco intervistata da Angelica Madio

Buongiorno

Ciao Ciao Angelica!

Già sei pronta ai fornelli stamattina. Ti sei alzata presto?

No, non tanto presto in tempo utile per poter fare le cose comunque in maniera decente. Tu lo sai che io non amo improvvisare, fare quelle cose che si risolvono in due secondi.

Vedo tanta roba buona qui sul tavolo, carne. Che ci prepari?

Sono gli ingredienti che mi serviranno più per il sugo, per il secondo, per insaporire, rendere gustosa la pasta che andrò a cuocere. Si tratta di pasta e fagiolini, non quelli tondi, comuni tondi, ma quelli che sono denominati ‘pinti’, quelli nostrani che costano l’ira di Dio ma che comunque sono saporiti. Sono proprio prodotti della nostra terra, la nostra Lucania straordinaria, magica che ha una varietà di prodotti molto buoni.

E poi con questa carne cosa vuoi fare?

Dicevo che se condivo pasta e fagiolini col sugo semplice avrei fatto solo il sugo con cipolla, un po’ d’aglio, tutto insieme, olio e sale, ma dal momento che ho deciso di fare le polpette, che a voi piacciono tantissimo e pure a me, ne sono ghiotta, faccio le polpette di carne. Allora innanzitutto il primo ingrediente base è la carne mista.

Macinata, no?

Quando parlo di carne macinata parlo di bovino e suino per renderla più saporita, per rendere l’impasto più saporito e che solo ultimamente, veramente, se ne fa più uso in tutta l’Italia che prima sempre per via della povertà, il piatto tipico della tradizione povera, erano le polpette di pane che andavano fatte con mollica, un po’ di sale, formaggio e qualche uovo. E’ quanto possedevano le persone prima e andavano fatte con il cucchiaio non come le farò io, a palline con le mani. Andavano fritte oppure poi dopo passate nel sugo e quello diventava un secondo al posto della carne. Addirittura ricordo quando mamma poi ha aperto il negozio e vendeva la Simmenthal, etc. etc., ci aggiungeva, ma questo dopo tanto tempo, ci aggiungeva una scatoletta di Simmenthal per dare quella sensazione che fosse un po’ anche di carne ma non lo erano. La vera polpetta di carne è quella che andrò a fare io in questo momento.

Gli ingredienti volevamo sapere. Cosa ci metti?

Io sto facendo ‘ad occhio’ intanto per quattro persone; come l’ho sempre fatto e cerco di mettere del mio meglio, facendo leva sul pizzico della creatività che è in me e ogni momento cambio.  Insomma non è da dirsi che se uno mi chiede pure  la ricetta, come voi sapete, pure dopo dieci minuti l’ho già dimenticata.

Quindi non prendi dai ricettari?

Quasi, quasi mai perché sono d’accordo che il ricettario non deve sostituirsi a me. Posso prendere uno spunto però poi sono io che devo far funzionare il mio cervello per rendere più gustosa, più saporita una pietanza.

E che intendi per saporito poi?

Ovviamente devo far leva sull’accostamento dei prodotti, devo sapere se una cosa va con l’altra. Non è poi tanto tanto semplice stare in cucina!

Però ti piace cucinare no?

Si sì moltissimo solo che quando non mi sento bene diventa un po’problematico per me stare troppo tempo in piedi…

Quando hai imparato a cucinare? Chi ti ha insegnato?

Da piccola se vogliamo, per un duplice motivo: mamma era sempre impegnata per via del commercio, commerciava etc. etc., poi aveva mio fratello piccolo a cui bisognava pure accudire, stare attenta e poi perché io volevo sempre le brodaglie la sera. Spesso desideravo il brodino e quindi mi diceva: “Se vuoi questa minestra, te la fai”. Io avevo il terrore del gas, della bombola non mi volevo proprio avvicinare, però poi lentamente mi sono approcciata, ho preso dimestichezza e ho cominciato quasi quasi giocando, diciamo.

La spesa l’hai fatta stamattina o la fai in settimana?

No, io la faccio settimanalmente, veramente. Mi trovo meglio così perché qualsiasi cosa succeda io devo avere tutto in casa solo ovviamente se mi serve roba fresca, qualcosa può sorgere al momento, allora il supermercato è a due passi e non mi costa niente andare.

E quindi hai dei fornitori fissi? Hai delle persone di fiducia dove vai vero?

No veramente se ci penso. Per la frutta e la verdura sì e tante volte magari vado dai privati e vado a trovarli in casa, però per quel che riguarda tutto il resto, se io trovo roba fresca e si vede quando la roba è fresca l’acquisto un po’ ovunque,  anche perché è pure  per ottimizzare il tempo dove mi trovo, ripeto, sempre se è roba fresca.

Ci dicevi gli ingredienti che metti.

In questo momento io nell’impasto  ho messo: formaggio, sto mettendo l’aglio, non eccessivamente perché ha un sapore molto forte e potrebbe non essere gradito a tutti i commensali. Questo è l’impasto che poi andrò a realizzare in polpette. Diciamo che è un piatto buono, appetitoso, però al tempo stesso non dico faticoso, ma laborioso lo è.

Ma che pensi: la dieta è cambiata? La dieta alimentare da come era prima a com’è adesso? Tu la personalizzi la ricetta?

Ti ho detto che personalizzo sempre, cerco di adeguarla alle esigenze della famiglia, ai gusti della famiglia e poi proprio perché così mi sento realizzata, mi sento contenta, se la faccio come voglio io e se cerco di accontentare i bisogni della famiglia. Infatti nel momento in cui si alzano da tavola e lasciano il piatto pulito, sia i miei, che gli ospiti, io sono ben felice perché ciò significa che la cosa è gradita e questo mi capita quasi sempre e sono fiera di questo perché a me piace che gli altri dicano come sei brava, buono questo, tante volte anzi, mi è successo (qui non si apre) mi è successo di aver persone a pranzo che dicevano “poco poco perché sono in dieta…poco poco perché devo mantenere la linea” però poi facevano bis e tris; il che significa che erano buoni piatti , no?! in qualche modo.

E quindi fai tutto da sola? Nessuno ti aiuta in cucina?

Si si perché sono il classico tipo che non amo fare mettere le mani da nessuno perché non sono contenta ed è una gran pecca questa perché mi stanco terribilmente e non do spazio agli altri e non è certamente una cosa bella però preferisco così.

Senti e per quanto riguarda il modo di mangiare, la dieta alimentare è cambiata, hai detto nel tempo? In che senso? Come?

Sì,  se pensi che pure a me,  ultimamente,  i medici hanno detto di mangiare più sano, nel senso di eliminare tanto sale, di  eliminare i grassi. Quindi già tutte le parti, faccio un esempio, del maiale che prima mangiavamo spesso, più che la carne bianca, ora si è cercato di eliminare il più possibile lo strutto, la pancetta, che ne so, del maiale, il lardo, tante altre cose…

E quindi se togli tutte queste cose significa che è poco genuina poi  la roba?

No assolutamente. Io penso che la bontà del cibo sta in ben altro, non è dovuto a queste cose ma al prodotto fresco, sicuro che non è stato contaminato: ecco perché si va dal contadino tante volte, dalla persona di fiducia, dalla persona che tu sai che magari ha un pezzetto di terra che ha coltivato per conto suo e quindi sicuramente non ha messo, non ha intaccato niente insomma.

E quindi nello specifico qui, cosa ci ha messo?

Allora ho messo un po’ di basilico che dovrebbe sostituire il prezzemolo, che oggi non ce l’ho, che comunque è profumato e forse rende ancora più buono la pietanza. Metto io, amo mettere molto parmigiano, mollica, poco poco d’aglio e qualche uova; cioè giusto giusto un uovo per assorbire, per amalgamare, un po’ di pepe. Poi una volta che ho fatto l’impasto, se ho tempo, se non mi serve subito, l’impasto lo faccio pure riposare un pochino, cosi si amalgama meglio, s’insaporisce meglio, i sapori si amalgamano.

E la carne è mista?

La carne è mista e contrariamente a quello che ti ho detto prima che si faceva con le uova perché erano poveri, non c’erano alternative, le polpette di uova erano quelle che andavano a sostituire. Ora siccome ci sono più soldi, la società è più ricca, allora si fa molto spesso la polpetta di carne, anzi direi un po’ tutti i giorni, non si aspetta la festa come era una volta, per usare la carne.

Quindi non è una ricetta proprio del nostro paese? Tipica? Si fa anche altrove?

Penso che si fa ovunque in tutta Italia, però so pure che dicono,  cioè, che l’Italia è terra varia, bella, ricca per la presenza dei suoi prodotti; ogni regione ha una varietà di cose, però dicono pure che ‘chi mangia italiano mangia lucano’ perché le cose nostre sono delle eccellenze e tante volte prodotte da mani esperte di artigiani, a cominciare dalle mozzarelle.

Sono proprio belle perfette queste polpette. Come le hai ottenute? Come si fanno?

Vedi, sto prendendo un pochino di pasta del macinato e le sto arrotolando, per poi passarle nell’aceto e nel pangrattato e poi andarle a friggere a differenza di quelle con il cucchiaio che si facevano prima come ti ho detto. Ora le metto nell’aceto sempre per il discorso di renderle più saporite e poi nel pangrattato.

Ma questa è una cosa che hai aggiunto più tu?

Si infatti. C’è gente che anziché passarle nel pangrattato le infarinano ma a me non piace la farina, piace più nel pangrattato che da quel senso di croccantezza.

Sono pronte allora queste polpette o no?

Eh le sto friggendo! Il tempo che cuociono e…

Senti ma tra tutta questa roba ci sarà qualcosa che non saprai cucinare o no?

Eh… questa fase la odio proprio, quindi ciò che riguarda la frittura perché strizza ovunque però se si pensa che sono buone, il risultato è quello che conta, uno le fa pure queste cose.

Invece che cosa ti piace cucinare? Cosa ti riesce meglio?

Mah… mi riesce quasi sempre tutto però il calzone con la cipolla, la ‘spinzala’, volgarmente detta nell’ uso nostro bernaldese che poi sarà il porro sicuramente, perchè non è solo spinzala, io ci aggiungo pure le acciughe sott’ olio, i capperi, il tonno; quindi il mio è un calzone elaborato, è più che moderno, poi le fave con le cicorie che ci piacciono tantissimo e le faccio bene.

Insomma, se ne vanno leccandosi i baffi gli ospiti?

Sì, sicuramente perché ti ho detto è il risultato è quello che conta, cioè il piatto vuoto, le “scarpette” che fanno, quindi…

Et voilà, il gioco è fatto e se il gioco vale la candela e vi assicuro, professo, che ne è valsa la pena, favorite. Quando volete venire a casa, vi preparo un bel piatto di polpette. “Che buone!”, dicono a Bernalda “ e ce t mangije!”.

 

 

 

 

 

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Zucchine e patate (Matera)

Zucchine e patate (Matera)

preparata da Teresa Salvatore
intervistata da Valentina Giancola

Buonasera signora Teresa, cosa ci cucina oggi?

Zucchine e patate

E come si fa zucchine e patate?

Ci serve la cipolla, l’olio, le patate e le zucchine.

Per quante persone cucina zucchine e patate?

Per 6 persone.

Come la cuciniamo?

Allora prima di tutto prendiamo la cipolla e la facciamo a pezzettini, la facciamo soffriggere, poi mettiamo le zucchine e le patate insieme e alla fine metto un po’ di salsa o il pomodoro quello che si vuole. Poi aggiungiamo un po’ d’acqua e facciamo cucinare per un’oretta. Quando è cotto si può mangiare.

Cosa sta facendo?

Ho messo la cipolla, ora metto l’olio. Dopo lavo le zucchine e le faccio a fettine come le patate, in seguito metto affetto le patate e si cucinano, aggiungo il pomodoro, il sale e una foglia di basilico alla fine.

Adesso lavo le zucchine.

Dove le ha comprate queste zucchine?

Le ho comprate in piazza da un fruttivendolo di cui mi fido e ci vado da tanti anni.

Sempre là va a fare la spesa?

Sì.

E cosa compra?

Tutto. Verdura, frutta, insalata.

E va sempre dalla stessa persona?

Sì sì sempre dalla stessa persona perché mi fido di lui. Ora tagliamo le zucchine e le facciamo a fette.  Adesso le metto nella pentola e le facciamo cucinare.

Ora pulisco le patate.

Quante patate usa per sei persone?

4-5, dipende dalla grandezza delle patate.

Signora Teresa ma questo piatto è una ricetta del suo paese?

Sì sì di Potenza.

Lei è nata a Potenza?

Sì in un paese lì vicino, a Tito.

E adesso vive a Matera?

Sì, da circa 41 anni.

Chi le ha insegnato a cucinare?

Mia nonna, mia madre e anche mio padre che cucinava.

Adesso lavo le patate e ora le faccio a fette e le aggiungo alle zucchine. Poi lavo i pomodori.

Quanti pomodori deve mettere in questa ricetta?

Una decina, anche quindici, dipende.

Questo piatto prevede un sugo?

Come si vuole.  Si può fare un sugo con la salsa o con il pelato oppure un sughetto con i pomodori, solo per colorare il piatto.

E perché lei usa i pomodori?

Perché mia nonna metteva i pomodori.

Quindi, questa ricetta lei l’ha mai cambiata?

No no mai, perché mi piace così com’è.

Adesso faccio a pezzettini piccoli i pomodori e li aggiungo alle zucchine e patate.

Cosa sta facendo adesso?

Ora sto mischiando tutto così le zucchine e le patate prendono il sapore dei pomodori. Ora aggiungiamo un po’ di sale e lasciamo cucinare. Prima però aggiungiamo un po’ d’acqua. Mescoliamo di nuovo e se si vuole si aggiunge la salsa. Mettiamo il coperchio e lasciamo cucinare.

Per quanto tempo?

Almeno per un’oretta e aggiungiamo acqua quando serve.

Com’è il sapore di questo piatto?

È molto buono ed è importante che si sentano tutti i sapori degli ingredienti. Infine, aggiungiamo una foglia di basilico.

Ecco zucchine e patate sono quasi pronte, tra poco possiamo spegnere il fornello.

Quando possiamo dire che il piatto è pronto?

Assaggiamo e quando le patate e le zucchine sono cotte possiamo spegnare e poi si può mangiare.

Grazie signora Teresa per la sua disponibilità.

 

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La scarcella (Abriola)

La scarcella (Abriola) preparata da Vincenza Dapoto, intervistata da Maria Lombardi

Ti piace cucinare?

Sì.

Ti alzi presto la mattina per cucinare?

Sì.

Quanto tempo impieghi per la cucina?

A seconda di che fai, se fai la pasta di casa ci vuole più di un’ora, se fai la pasta una mezz’oretta.

Dove vai a fare la spesa?

Al negozio.

Hai qualche negozio preferito?

Il più vicino.

Oppure qualche negozio dove ci sono prodotti più buoni?

Si un po’ più lontano.

C’è qualcuno che ha dei prodotti più buoni?

Si qualcuno che è amico.

Quali sono le ricette che sai cucinare meglio?

Patate al sugo, tagliatelle, orecchiette, fusilli.

Quindi preferisci la pasta fatta in casa?

Si, ogni domenica la pasta fatta in casa. I ravioli.

Chi ti ha insegnato a cucinare?

Da sola, i genitori.

Guardavi tua mamma?

Sì sì.

Quanti anni avevi quando hai iniziato a cucinare?

10-12 anni.

Quando eri bambina chi cucinava in famiglia?

Mamma.

Tu la aiutavi?

Si, quando venivamo dalla campagna. Noi andavamo in campagna a guardare le pecorelle, i maialetti, le mucche. Questo facevamo.

Quanti eravate a mangiare?

Quattro persone: io, mio fratello, mio padre e mia madre.

In qualche occasione, quando era festa?

Quando ammazzavamo il maiale eravamo tutta la famiglia, erano 8 figli, ci raccoglievamo tutti quanti, mangiavamo e bevevamo.

Quando eri piccola cosa si mangiava di più?

Sempre la stessa pasa: pasta e fagioli, pasta e cavoli, la cotica del maiale, un poco di salame, quello ci mangiavamo di più.

Ma si mangiavano cose diverse da oggi?

Eh sempre roba nostra.  Ammazzavamo il maiale, il vino lo tenevamo perché avevamo tante vigne. Tutto questo era tutta proprietà nostra.

Ma oggi è un po’ diversa la cucina?

Oggi è tutto comprato con i soldi. Si consumano tanti soldi ma non si mangia niente.

Secondo te le cose che si consumano adesso hanno lo stesso sapore di quelle che si cucinavano prima?

E no! Questa è roba comprata, roba congelata, che fa schifo proprio. Vai a comprare lo speck, vai a comprare la mortadella, vai a comprare il prosciutto crudo che quando è troppo alto è pure che non si può mangiare.

La “scarcella” che prepariamo è una ricetta del paese, di Abriola?

Sì, sì.

È una ricetta tipica?

Sì, sì. Vecchia, antica antica.

Ma questo termine tipico si usava anche prima?

Sì, sempre.

Che cosa significava?

La tradizione di Pasqua. La tradizione.

Questa ricetta della “scarcella” si prepara anche in modi diversi oppure solo come la fai tu?

C’è quella che la fa solo con il formaggio duro e formaggio fresco e c’è quella che la fa con la ricotta, con le uova cotte, con un po’ di salame. Ognuno la fa come gli piace. Chi se la può pure mangiare.

Ti fa piacere quando ti dicono che sai cucinare bene?

Beh, certamente. Per i fatti miei mi piace, poi gli altri se se la vogliono fare meglio se la fanno per i fatti loro.

Hai un garage o una tavernetta che usi per conservare le cose da magiare?

Sì, ho un garage.

Che ci metti?

I barattoli del salame, la roba fresca. Il formaggio si mette sopra il soffitto “a mezzaria”, là si secca il formaggio.

Là si tiene meglio perché è comunque più fresco?

Non si fa la muffa perché vuole stare all’aria. Lo metti davanti alla finestra, non entrano le mosche. La ricotta l’abbiamo fatta per i fatti nostri. La facevo io. Il formaggio l’ho fatto io. Quindi ora non abbiamo più animali e non si fa più il formaggio e compriamo il parmigiano.

Quindi prima avevi tutte le cose per fare la ricotta, i formaggi?

Sì ce l’ho ancora, qualche volta te le devo far vedere.

E poi dopo che facevi, la portavi nei negozi?

Sì al negozio sì, l’ho portata sempre da Mimma.

La facevi la mattina presto?

La mattina presto, alle dieci e mezza era già nel negozio.

La mattina ti svegliavi presto?

Eh sì, le  cinque e mezza sei sennò il latte faceva acido, lo dovevamo trattare per consumarlo. Tutte queste cose le abbiamo fatte tutte con le nostre mani e la nostra proprietà

Nonna che cosa cuciniamo oggi?

La scarcella.

Quali sono gli ingredienti?

Acqua, burro, sale e le uova.

Quante uova devi mettere?

Due. Ecco qua. Un po’ di sale. Anzi mettiamo un altro uovo.

Questa che cos’è?

La sugna. Prendi un po’ di sale e mettine così. Metti un altro po’. Adesso si impasta.

Ma questa si prepara per Pasqua?

Sì per Pasqua.

Che cos’è questo strumento?

Questa paletta è “a rasol”.

Ora che fai la dividi?

Sì la divido per fare la sfoglia. Ora la mettiamo qui dentro sennò si secca.

In italiano la chiamiamo sfoglia, ma noi la chiamiamo “a lajn”

Di che forma deve essere?

Rotonda.

Quante ne devi fare?

Due sfoglie.

Ma l’hai sempre fatta questa?

Sempre, eh quante ne ho fatte dal dottore?

Ma quando eri più piccola?

Quando ero già sposata.

Ne facevate tante o poche?

Eh una sola secondo te? Erano belle grandi.

Perché la copri?

Perché secca. Allora qua c’è la tuma.

Questa per cosa serve?

Per l’impasto.

Per il ripieno?

Sì. Questo è il formaggio, questo è il salame, questo è il prezzemolo e ora mettiamo le uova.

Com’è?

Ci vuole un po’ di sale. Poco salata non è buona.

Adesso che fai?

La metto sopra.

Così la chiudi?

Sì.

Cosa sono questi?

Confettini colorati, si usano anche sui dolci.

Più o meno quando deve stare in forno?

Mezz’ora.

Ora è pronta?

Sì sì è pronta.

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Spaghetti alla chitarra con funghi cardoncelli, fave e peperoni cruschi  (Matera)

Spaghetti alla chitarra con funghi cardoncelli,  fave e peperoni cruschi  (Matera)

preparata da Giuseppe Carbone
intervistato da Carbone Francesca il 29 settembre 2017

Buongiorno Signor Giuseppe, so che lei è uno Chef. Da quando tempo svolge questo mestiere?

Svolgo questa attività lavorativa da ben 35 anni

Qual è la ricetta che andremo a preparare oggi?

La ricetta che preparerò è: Chitarrid con purea di fave e cardoncelli, cruschi e briciole dorate di pane di Matera.

Ti sei alzato presto per cucinare? Quanto tempo impieghi per la cucina?

I tempi li stabilisco io stesso in base alla preparazione.

 Sei andato a fare la spesa? Che cosa hai comprato?

Certamente si. Ho acquistato tutti gli ingredienti necessari.

Quali sono le ricette che sai cucinare? Cosa invece non ti piace cucinare e perché?

Essendo uno chef completo le mie ricette vanno dall’ antipasto al dolce. Preferisco non preparare gli antipasti poiché li trovo troppo banali e necessitano di più tempo.

 Chi ti ha insegnato a cucinare?

Nessuno, ho imparato da solo.

 Quando hai cucinato per la prima volta? Per chi? In quale occasione?

Ho cucinato per la primissima volta in occasione del 25° anno di matrimonio dei miei genitori.  Per tale occasione preparai un buffet.

Hai imparato per gioco o sei stato costretto?

Ho imparato a cucinare per gioco.  Per gioco infatti mi sono ritrovato in un laboratorio di cucina, e di lì è nata la mia grande passione per la cucina.

 Come impari nuove ricette?

Le nuove ricette le apprendo attraverso riviste, giornali e corsi di aggiornamento.

Come è cambiata la dieta alimentare rispetto al passato? ci sono pietanze che oggi non si preparano più?

Certamente sì. Oggi infatti ritroviamo diverse problematiche nel campo dell’alimentazione anche a seguito dell’insorgenza di intolleranze ecc… Oggi rispetto al passato non si segue più un regime secondo cui a ogni giorno si dedica una specifica pietanza, e anche gli stessi cibi di cui ci cibiamo spesso non sono più salutari.

La ricetta che preparerai oggi è una ricetta del tuo paese?

Sì, è una ricetta o meglio un piatto tipico del mio paese da me rivisitato.

Si cucina anche in altri posti?

Sì.

Qual è la cosa più importante di questa ricetta?

I prodotti, perché attraverso l’uso di buoni prodotti si esalta il gusto e il sapore del piatto stesso.

Quale sapore deve avere la ricetta per essere buona?

Certamente il gusto e l’assemblaggio del piatto. È importante presentare il piatto in maniera perfetta.

Come si deve presentare nel piatto la pietanza? A cosa presti particolare attenzione?

Presto particolare attenzione oltre che al gusto anche alla presentazione del piatto.

È importante saper cucinare e ti fa piacere sentirti dire che sai cucinare bene?

È importante sì e la migliore gratificazione arriva proprio dai clienti i quali ti ringraziano dopo aver pranzato o cenato.

Hai un garage o una tavernetta che usi per cucinare o mangiare?

No.

Quali sono gli ingredienti principali per la preparazione di questo piatto?

Chittarid , purea di fave, mollica dorata di pane di Matera, cruschi e cicoriella campestre.

Durante l’intervista mi hai riferito che questa ricetta è un piatto tipico del tuo paese da te rivisitato. Che cosa significa per te tipico? È un  termine nuovo o esisteva anche da quando eri bambino?  Dove e da chi hai imparato a cucinare questa pietanza? Che cosa hai cambiato nella ricetta?

Il termine tipico significa caratteristico del posto, legato alla terra. È un termine che esisteva da sempre. La caratteristica di noi chef è senz’altro quella di rivisitare i piatti per dare lustro a nuove innovazioni pur rimanendo nella tipicità del prodotto e della ricetta.

Nella preparazione di una pietanza, come si regola nella quantità di prodotti da acquistare?

In base al numero delle persone e ci si regola nella quantità di ogni prodotto.

Questa pietanza ch tempi di cottura prevede?

4/5 minuti per la pasta e 6 minuti circa per il fungo che deve rimanere calloso.

Hai dei fornitori abituali da cui acquisti la merce? Perché acquisti da quei determinati fornitori?

È importante avere dei fornitori abituali da cui poter acquistare la merce poiché ti garantiscono sempre la qualità dei prodotti.

Come disporrà i vari ingredienti nel piatto per la sua preparazione? Qual è la cosa più importante?

Per la preparazione del piatto è fondamentale la predisposizione oltre al gusto stesso della pietanza.

La pietanza è pronta per essere impiattata. Può ritenersi soddisfatto?

Certamente si.

Bene Giuseppe io la ringrazio per la sua disponibilità. Buon lavoro

 

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Parmigiana di Melanzane (Matera)

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Cenone della vigilia di Natale (Montalbano Jonico)

Cenone della vigilia di Natale (Montalbano Jonico)
preparato da Rosaria Anna Vincenza Lopatriello intervistata da Tiziana Stoja il 2 dicembre 2014

Ti sei alzata presto stamattina per cucinare?
Mi sono alzata presto, come tutte le mattine, perché è una mia abitudine. Lo faccio da molti anni, perché lavoro nella scuola e i ritmi della scuola fanno si che non possa permettermi il lusso di rimanere a letto per troppo tempo, di alzarmi tardi, per cui per abitudine, da anni, mi alzo prestissimo.

Quanto tempo dedichi alla cucina?
Il tempo che ci vuole, a seconda dei piatti, delle minestre, delle cose che devo preparare. Non mi dispiace, perché è una cosa che faccio volentieri, lo faccio con piacere, perché lo faccio da sempre, da piccola e continuo a farlo.

Sei andata tu a fare la spesa, stamattina?
Io veramente, stamattina, no, perché non mi è stato possibile. L’ho fatta ieri e anche qualche giorno fa e mi sono organizzata in base alle cose che dovevo preparare.

Dove sei andata a fare la spesa?
Dal fruttivendolo di fiducia e dal signore che ogni mattina passa davanti a casa mia e che porta, soprattutto per quanto riguarda le verdure, quelle più fresche e genuine e so, siccome lo conosco da anni, che le coltiva nel suo orto, nella sua campagna e quindi preferisco prenderle da lui e non in un supermercato, anche se da noi i prodotti sono locali, provengono dai paesi vicini, come Scanzano, Policoro, Metaponto, però, diciamo, che preferisco i prodotti delle campagne del nostro paese, Montalbano.

Hai parlato di fiducia, cosa intendi per fiducia?
Fiducia nel senso che so che questa persona, non usa prodotti chimici e lavora il terreno cercando di utilizzare fertilizzanti naturali come il letame, prodotti completamente diversi da quelli chimici. Non usa antiparassitari, non usa prodotti che possono contaminare e nello stesso tempo aumentare quelle che sono le malattie di questo secolo, soprattutto, tumori, che aumentano sempre di più anche nelle nostre zone.

Cosa hai comprato da questi “fornitori di fiducia”?
Dal fruttivendolo ho preso le verdure: la rosa bianca, il cavolo nero, l’insalata, la rucola e i finocchi, perché queste erano le cose che mi servivano.

Hai comprato solo quello che ti serviva oggi?
Sì, sì.

Quali sono le ricette che sai cucinare meglio?
In genere me la cavo. Un po’ tutte. Alcune le prediligo di più, anche, perché piacciono ai miei familiari, alle persone che sono vicine, nel mio contesto familiare: mio marito, le mie figlie. Non hanno delle richieste, perché loro mi conoscono e anzi per loro è sempre una sorpresa gradita quando preparo un piatto nuovo, un piatto diverso, perché amo cambiare, sono un tipo creativo e anche per le piccole cose (le cose semplici) cambio sempre ricetta, perché mi piace farlo e qualcosa che non mi pesa assolutamente. La cucina mi piace ed essendo creativa invento anche dei piatti in base agli ingredienti che ho, in quella giornata o a quelli che mi sono avanzati e quindi cambio ricetta facilmente.

Cosa cucinerai oggi per pranzo?
Oggi, per pranzo, preparerò “rape e rascatjedd”, perché è una cosa che io sin da piccola mangio, apprezzo, mi piace e piace anche ai miei familiari.

Chi ti ha insegnato a cucinare?
Veramente non ho avuto una maestra, che mi ha detto impara a cucinare. Da piccola ho sempre guardato, perché passavo molto tempo a casa di mia nonna, abitando “sopra e sotto”, lei al piano terra e noi al primo piano. La maggior parte del tempo, se non andavo a scuola, lo trascorrevo a casa dei miei nonni e quindi ho visto molto, ho imparato molto, ho visto, da questa persona più che da mia madre, tutto quello che lei preparava, anche perché era una donna svelta, dinamica, inventava, creava, faceva di tutto e quindi da piccola ho imparato ad assaporare tutte le cose più genuine, che ancora conservo. Mi piace rifarle, ripeterle e le faccio con piacere.

Quando hai cucinato per la prima volta?
Per la prima volta, dopo i quindici anni, inseguito alla morte di mio padre, perché mia madre lo faceva, a casa nostra, più per dovere nei confronti del marito e di noi figlie, però dopo la morte di mio padre, una persona molto giovane che è venuta a mancare all’età di quarantatre anni, allora mia madre si è lasciata un po’ andare. Il lutto l’aveva così travolta, che non amava più cucinare e si mangiava quasi “asciutto”, si cercava di recuperare le cose secche pur di non cucinare, al che io mi sono messa, perché avevo guardato, avevo osservato, avevo imparato, pur non facendo. Avevo imparato più cose e allora piano, piano, ho iniziato io. Non sapevo dosare bene il sale e altre cose, però, piano, piano, poi, ho “affinato la mano”, ho imparato a fare molto, ma da sola e questo ha fatto anche molto piacere a mia madre. Il tempo le “ha dato ragione” (l’ha guarita) e poi, piano, piano, lei ha ripreso a cucinare.

Chi cucinava in famiglia, quando eri bambina?
Mia madre lo faceva, cucinava lei, perché lo doveva fare, per la sua famiglia, per i suoi.

Hai imparato a cucinare, quindi, perché sei stata costretta?
Sì, sì.

Ora invece come impari nuove ricette?
Mi piace leggere giornali, guardo la televisione e anche da un confronto con i miei parenti, con le mie colleghe, con i miei amici riesco ad apprendere cose nuove, che mi piace anche provare. Se è una ricetta collaudata, io la ripeto volentieri.

Chi ti aiuta a cucinare?
In genere lo faccio da sola, anche perché le mie figlie sono lontane e non hanno molto tempo da dedicarmi e cucino sempre io.

Cucinare è un obbligo secondo te?
No, no, per me è un piacere, assolutamente no. Un obbligo, no, almeno per me.

Tuo marito o le tue figlie ti chiedono di cucinare qualcosa in particolare?
No, si fidano di quello che io preparo e sono contenti, perché sperimento sempre ricette nuove e alcune che mi piacciono le ripeto volentieri.

Segui una dieta settimanale?
No, a meno che non ci sia una problematica.

Ci sono dei giorni in cui prepari le stesse pietanze, nella settimana?
No, no, cambio sempre.

La dieta alimentare, secondo te, è cambiata nel tempo?
Io penso di si, proprio perché la società moderna ha portato il progresso, è andata avanti e si trovano molti prodotti confezionati, in scatola, per cui non tutti conservano le tradizioni di una volta. Preferiscono comprare le cose già pronte, perché non hanno tempo, addirittura anche le verdure già tagliuzzate, le insalate, qualsiasi cosa già preparata.

Ci sono pietanze che non cucini più?
Non saprei. Quelle di una volta le rifaccio ancora, perché le ricordo benissimo, ricordo i sapori, mi piacevano e le ripeto, anche, durante l’anno, se sono legate ad una festività, se sono legate ad una ricorrenza, se sono legate ad un avvenimento piacevole.

Cosa cucini la domenica?
La domenica, a casa mia, è sacra la pasta asciutta, perché piace ai miei e la preparo con il ragù, che si faceva a casa mia e che ripropongo. Lo faccio sempre.

Usi il congelatore?
Sì.

Dove lo hai collocato?
Nel garage che ho sotto casa, per cui facilmente posso recuperare le cose che mi servono e poi ne ho anche uno piccolo sopra il frigorifero.

Cosa ci congeli?
In genere congelo cose che sono in più o perché mi sono state regalate oppure perché le ho comprate. Se è una cosa che mi piace e vedo che è fresca allora la pulisco, l’asciugo per bene in un canovaccio e la sistemo nel congelatore e al momento giusto la prendo. Se non posso uscire, allora, utilizzo quel prodotto, quella verdura, perché in genere sono più le verdure che congelo: le cicorie, le “cicorielle”, che raccolgo quando vado in campagna; le melanzane, se sono in più; i peperoni freschi.

Congeli anche gli alimenti cotti?
Poco, perché preferisco cucinarli al momento, anche per la mia organizzazione. Soprattutto se si tratta di legumi, allora, preferisco cucinarli al momento. Rare volte l’ho fatto, ma solo se erano in più, ma di proposito farli e metterli nel congelatore, no.

Hai parlato di prodotti che raccogli in campagna, quindi hai della terra che coltivi?
Si abbiamo dei “giardini” vicini e altri terreni un poco più lontani e quando vado siccome è un posto pulito, vicino alla casetta, quello che riesco a trovare lo raccolgo. Sono le cicorielle e le biete, le bietole selvatiche e poi se c’è il finocchietto. Lo porto, perché diciamo che è una spezia che mi piace e la uso molto, la uso nei legumi e, infatti, l’aggiungo, soprattutto la parte quella verde, la “barbetta”, che è attaccata allo stelo del finocchio e che poi nei mesi autunnali ci darà i semi del finocchietto. Lo utilizzo nelle olive quando le preparo, per metterle nei barattoli da mettere sotto vuoto e utilizzo ancora questi semini se faccio i taralli fatti in casa con il finocchietto e poi a seconda delle varie situazioni. Della barbetta, invece, di solito metto alcuni rametti nella pasta, perché da un sapore particolare, un’ aroma diverso e nei legumi soprattutto nei fagioli, ma anche nelle lenticchie se non trovo l’alloro, perché per le lenticchie uso di più l’alloro e, invece, per il resto dove credo possa dare un sapore e un aroma diverso, allora lo metto. Lo metto, perché mi piace,perché so che è un buon digestivo e, infatti, facendo un infuso con pochi grammi risulta molto efficace e poi per me è il simbolo del ringiovanimento.

Questi prodotti li coltivi tu o li trovi in natura?
Coltivarli no, perché nascono spontaneamente e quindi li trovo nella campagna, perché so che là non sono stati usati pesticidi, è pulito, mi posso fidare, perché sono delle verdure che io posso consumare tranquillamente, senza avere dubbi e non sono neanche contaminate dal passaggio delle macchine, perché diciamo, la casetta, il posto dove le prendo, è collocato abbastanza lontano dalla strada, quindi non parliamo di smog, di inquinamento, però l’unico inquinamento può essere dovuto all’aria, alla stagionalità, alle condizioni atmosferiche, però inquinamenti di altro genere no.

Ci sono, invece, dei prodotti che coltivi tu o che coltiva qualcun’ altro della tua famiglia?
Io in particolare non ho il tempo e non ho la possibilità di fare l’orto, però lo fanno molti miei parenti, che portano avanti i nostri terreni, che li seguono. Loro a seconda della stagione continuano a farlo e coltivano soprattutto pomodori, melanzane, peperoni, zucca gialla, zucca verde, zucca lunga, prezzemolo, rosmarino, timo. Tutto questo loro lo coltivano e molte volte, spontaneamente me lo portano, perché sanno che a me fa piacere, che lo utilizzo. Il basilico, il basilico fresco anche coltivano e io d’estate lo utilizzo molto, per fare il pesto. Anche il basilico è una spezia molto profumata che mi piace. Mi piace il profumo, mi piace il sapore che da dove lo utilizzo, se lo utilizzo nel sugo, nella pasta con il pomodoro fresco “p’ fa’ duj rascatjedd” ( per fare due cavatelli), soprattutto d’estate, quindi, è una cosa che mi piace.

Cosa stai per preparare?
In questo momento dovrei fare duj’ scarpedd.

Ti servono per accompagnare il pranzo o per i prossimi giorni?
Mi servono per la cena di stasera e anche, se sono pronte, se riesco a prepararle, le assaggeremo a pranzo.

Questo alimento lo cucini spesso o solo in particolari circostanze?
Io lo faccio, in genere nel periodo natalizio, però se qualche volta mi viene richiesto dai miei lo ripeto oppure spontaneamente, se un giorno decido di farlo, mi alzo la mattina e anche con una piccola quantità, pur di farle assaggiare, di far contenti i miei lo faccio.

È un piatto legato alla tradizione?
Alla tradizione e alla devozione, perché secondo mia nonna, tutto quello che si faceva a Natale e che si preparava, era per lei per conservare la tradizione che le era stata trasmessa dalla mamma, che era una panettiera e lei ha seguito questo mestiere, perché avevano un forno e servivano il paese e quindi ho visto preparare tutte le specialità legate al pane, perché ero piccola e stavo con mia nonna, quindi lei lo faceva e io ho visto come lo faceva e poi lo distribuiva portando “un piccolo tumbagn sop’ a test” (una piccola spianatoia sopra la testa) e infatti lei si lamentava, diceva “ehi figghja mj tuccm tuccm vjr quand vuozz si so fatt sop a cap” (toccami toccami vedi quanti bernoccoli si sono creati sulla mia testa), questo dovuto a l’ tant cos che ho portato per servire le famiglie più importanti del paese”, che non facevano il pane e lei lo portava in queste case. C’era sempre per gli altri, c’era per il povero, c’era per chi passava in quel momento e dava loro, dava qualsiasi cosa, da un pezzo di focaccia liscia, a un pezzo di focaccia, a ‘iranator ( focaccia con pezzi di lardo e sugna), le cose più svariate che lei poteva preparare, secondo le risorse e le cose che aveva in quel periodo.

A quale tradizione è legata questa pietanza delle pettole?
L’scarpedd? Da noi si chiamano scarpedd, in altri posti della Lucania sono chiamati in modi diversi, però, a Montalbano le chiamiamo l’ scarpedd. Non lo so, lei diceva che lo faceva per la tradizione che le era stata trasmessa dai suoi e lo faceva per devozione, perché doveva nascere Gesù e questa devozione, per lei, era quella che siccome in un paese come Montalbano si iniziava qualche giorno prima del Natale, addirittura una settimana, ( a prepararle) e quindi non tutti facevano st’ scarpedd nello stesso giorno, lo facevano in giorni diversi e allora c’era la distribuzione. Loro non ne facevano poche, ne facevano come minimo due o tre “sport’” (ceste di vimini). Io ero piccola e mi ricordo che la nonna mi chiamava e diceva vieni, vieni, porta questo piattino alla signora Giuseppina, tornavo e mi dava un altro piatto da portare ad un’altra famiglia, ad un’ altra signora, sempre del vicinato, perché erano calde e le doveva fare assaggiare e poi soprattutto mi faceva portare qualcosa dove c’era stato un lutto in famiglia, perché là non si poteva far sentire “la puzza dell’olio”, diceva lei e allora era il modo per farle assaggiare e per far sentire la sua presenza e la sua vicinanza a questa famiglia.

Questa ricetta, che stai per preparare, è una ricetta tipica del tuo paese?
Sì, sì, è una ricetta tipica del mio paese e la sto facendo proprio come la faceva mia nonna e infatti lei preparava il giorno prima il lievito madre, preparava u’ luat discja jedd (il lievito madre diceva lei), “beh figghja mj preparam u’ luat” (figlia mia prepariamo il lievito madre) e questo luat, che diceva lei, veniva fatto con acqua, farina e conservava, lei, nei giorni precedenti un pizzico d’ luat e se non lo teneva mi mandava da una signora o andava lei a prenderlo e diceva “damm nu pizzic d’ luat” ( potresti darmi un po’ del tuo lievito madre?), per preparare questo lievito madre, che poi veniva usato il giorno dopo per fare qualsiasi cosa dal pane alle focacce e pure nel periodo natalizio, p’ l’ scarpedd.

L’hai preparato tu, quindi? Come lo hai preparato?
Io l’ho preparato ieri pomeriggio e quindi l’ho lasciato tutta la notte in questa coppa, un poco, non tanto, in base alla quantità che dovevo fare di queste scarpedd. Ora lo aggiungerò alla farina per preparare un impasto, che poi metterò a lievitare.

Cosa significa per te tipico, dato che abbiamo parlato di tipicità?
Per me tipica è questa farina, perché so che, ancora, c’è la possibilità di macinarla in qualche mulino nei pressi del nostro paese, con il grano che noi trebbiamo d’estate, allora si porta e si fanno secondo le esigenze, piccole quantità, che vengono consumate, mentre prima se ne portava di più, si faceva diciamo il mezzo quintale di farina, che poi veniva usata proprio per fare il pane nella famiglia, però dopo abbiamo eliminato questa usanza, invece, io ho imparato a prepararlo e infatti aiutavo mia madre e mia nonna a “trumbà” (impastare), “s’trumbà sop’ a spianatoia” e si preparava questo pane.

È un termine nuovo per te quello di tipico?
No, io l’ho sempre sentito da piccola. “Chess è na cos tipca du pajis nuostr, chess è na cos, che teniamo noi” (questa è una cosa tipica del nostro paese, questa è una cosa che produciamo noi).

Conosci qualcuno che prepara questa pietanza (l’ scarpedd), in modo diverso da come la prepari tu?
No, in genere cerchiamo di rispettare la tradizione, però ho sentito qualcuna delle mie colleghe che usa il lievito normale, il lievito di birra, ma invece di scioglierlo nell’acqua, lo scioglie nel latte, ha cambiato. Io no, non lo faccio, perché preferisco conservare la tradizione. Se lo devo fare è per provare, però in genere preferisco conservare quello che mi è stato trasmesso.

Da chi hai imparato a cucinare questa pietanza?
Dalla nonna e anche da mia madre, che l’ aiutava, anche se a lei non piaceva, però un po’, anche per ripiego, quando le toccava.

Tu la cucini in modo diverso da come te l’hanno insegnata?
Si senz’altro, perché non ho più il caminetto. Io per trent’anni, a casa di mia madre e ancora ho continuato per altri anni, perché ci andavo sempre e avevamo il caminetto in casa (la cucinavo in maniera tradizionale).

Cosa significa per te “originale”, visto che abbiamo parlato di originalità della ricetta?
Originale è qualche cosa che non è stata modificata. È originale una cosa che tu non vai a cambiare, non vai a modificare. Questo significa per me originale.

Della ricetta originale, hai cambiato solo il tipo di cottura o hai cambiato, anche, qualche ingrediente?
Allora, il lievito madre l’ho conservato, l’unico ingrediente che ho cambiato e che ora metterò è una bustina di purè, per non fare una patata lessa. Di solito mettevo una patata lessa, però sta volta non ho avuto molto tempo e allora mi è più facile fare così. È l’unica cosa che ho cambiato, per il resto userò il sale sciolto nell’acqua, che aggiungerò piano, piano, alla farina.

Qual’ è la cosa più importante per questa ricetta affinché risulti buona, secondo te?
Il lievito. Per me è importante il lievito e la lavorazione. La lavorazione, perché diciamo va lavorata in un certo modo. Non va fatta velocemente, però va fatta con i tempi dovuti e va fatta in maniera diversa da come vedo fare altre signore quando preparano anche la pizza. Io cerco di conservare il modo che mi è stato trasmesso, che mi è stato insegnato.

Puoi dirmi altre ricette tipiche del tuo paese?
Quello che io ho imparato erano rape e rascatjedd (rape e cavatelli), tagghjarjedd e cicr ( tagliolini con i caci), a lajanedd ( la lasagna), le quadratin’ p’ fa’ ‘u brod’ (quadretti di pasta in brobo), l’frzzul e l’orecchiett’. Queste sono le cose che si sono sempre fatte a casa mia.

Riguardo alla ricetta che stai preparando, quali ingredienti stai utilizzando o utilizzerai?
Allora la farina, l’acqua con il sale, il lievito madre e al posto della patata ho messo la bustina di purè e adesso la devo lavorare.

Come ti regoli sulle quantità?
Allora per ogni chilo di farina, secondo quanto mi è stato insegnato, metto un cucchiaio di sale, sciolto nell’acqua e per quanto riguarda il lievito su un chilo, io mi sono regolata e ho preparato trecento grammi di farina, ieri nel primo pomeriggio e quindi l’ho lasciato poi lievitare, tutta la notte e stamattina lo sto utilizzando.

Hai acquistato tutti gli ingredienti?
La farina si. Si tutte le cose, a parte l’acqua, perché utilizziamo quella del rubinetto, quella che scorre a casa nostra.

Nel tuo dialetto come si chiama il supporto su cui stai lavorando l’impasto?
U’ tumbagn’ (la spianatoia). A Montalbano si dice beh pigghj u tumbagn ch’amma fa duj rascatjedd (beh prendi la spianatoia, perché dobbiamo preparare un po’ di cavatelli), pigghj u tumbagn ch’amma fa na penn’ d’ lajanedd (prendi la spianatoia, perché dobbiamo preparare un piano di lasagna), pigghj u tumbagn ch’amma fa du taghhjarjedd p’ l’ cicr (prendi la spianatoia, perché dobbiamo preparare un po’ di tagliolini per i ceci). È così!

Come ti accorgi che l’impasto è pronto?
Quando incomincia a “scuccà” (scoppiettare), “quann a mass scocc” (quando l’impasto scoppietta), quando crea tipo delle bolle.

Una volta pronto l’impasto, deve riposare?
Sì, lo lascio riposare almeno un paio d’ore in una coppa, avvolto in una coperta. Metto la coperta oppure, anticamente, la nonna mia lo metteva in una tovaglia grande, quando loro facevano il pane e “u mttjern ‘nda sport’ ” (poggiavano l’impasto nella cesta di vimini). Mettevano tutto questo impasto nella tovaglia e poi ‘nda sport’, in un luogo caldo, dove non c’erano correnti e rimaneva a lievitare il tempo giusto, il tempo dovuto, quello che ci voleva.

Tu, invece, come lo metterai a riposare?
Io, ora, lo metterò in una coppa e poi in un plaid, una copertina di lana.

Per quanto tempo lo fai riposare?
Due ore.

Una volta pronto l’impasto, come lo utilizzi?
Una volta pronto devo prendere “a sartascn” (padella con un manico lungo), metterò l’olio e sul gas piano, piano, quando l’olio sarà pronto, ma non bruciato, non con il fumo, solamente caldo al punto giusto, metterò tre chicchi di sale grosso, quando vedo che fa le bollicine, l’olio è pronto e incomincerò a friggere, bagnandomi piano, piano, le mani in un po’ di acqua tiepida, perché l’impasto non si attacchi alle mani e friggerò “st’ scarpedd”.

L’impasto lo utilizzi solo per la frittura o lo utilizzi anche per altre preparazioni?
Allora, lo userò pe’ l’ scarpedd, poi, con un po’ di uva passa, che ho comprato, perché ora non ho tanto tempo, diciamo, per poterla preparare io, però mi ricordo che mia nonna quando era il periodo dell’uva, alla fine di agosto o agli inizi di settembre, i grappoli più belli, li attaccava ad un filo e ad un ferro e stavano tutti appesi questi grappoli e li lasciava curare piano, piano, lentamente, fin quando l’uva non si appassiva e allora quella che rimaneva più soda veniva messa a tavola per il cenone, veniva conservata, mentre gli altri chicchi, quelli che si erano appassiti “l’ mettja sop a na spas” (li collocava su di una spas, piano di vimini per l’essiccazione della frutta). Quando si rendeva conto che erano pronti li faceva a uno a uno, li metteva sop a spas e li lasciava ancora asciugare, poi dopo li prendeva, perché erano stati così, si erano potuti ricoprire di polvere e venivano lavati per bene, venivano tolti tutti i noccioli, infatti, io facevo questo lavoro, quello di togliere tutti i noccioli e poi prendevano un po’ di zucchero e li passavano dentro, perché poi avendo messo l’uva nell’acqua aveva perso un pochino di zucchero e venivano messi in questo impasto de l’scarpedd e non venivano fatti a carchi, ma venivano messi a pezzettini, se no l’uva passa usciva fuori, se tu allargavi l’impasto, però io il più delle volte riesco a farle anche tipo scarpedd, che ho visto che si poteva fare.

Queste scarpedd le stai preparando, perché, oggi, è un’occasione particolare?
Oggi è il cenone, quindi non devono mancare sulla tavola del cenone sia quelle salate e sia dolci, aggiungendo l’uva passa. Poi una parte di questo impasto lo utilizzerò per friggere il baccalà. Diluirò un poco l’impasto, lo allenterò, lo farò più lento, più liquido e verrà utilizzato per friggere il baccalà.

Quali sono le altre pietanze che preparerai per il cenone?
Allora, questa volta voglio fare le cose che facevano a casa mia, quindi farò gli spaghetti olio e aglio, con il peperoncino. Farò il baccalà fritto e in umido, con la cipolla, pomodoro, una foglia di alloro, due olive nere e solo questo perché, poi, anticamente, mi diceva mia nonna che non avevano tutti la possibilità o potevano permettersi questo baccalà anche perché arrivava dal mare e solo poche famiglie, quelle che avevano i soldi, potevano farlo e allora quel poco che compravano, che prendevano cercavano di utilizzarlo in molti modi. Se qualcuno non aveva niente facevano l’acqua sale al baccalà. Allora, una volta che l’avevano messo a bagno o lo avevano comprato già pronto, facevano tanti pezzettini, mettevano l’olio “n’da na cazzarol” (casseruola con due manici), poi aggiungevano la cipolla e la facevano rosolare per bene, poi ci aggiungevano una foglia di prezzemolo, due pomodorini e un po’ di acqua, poi ci versavano il baccalà ed era importante, siccome tenevano il caminetto, diceva mia nonna, prendere un pezzo di pane, arrostirlo e metterne una fetta per ogni piatto, su cui poi versavano l’acqua sale al baccalà. Chi poteva farne di più lo faceva fritto, perché aveva l’olio, ma chi non aveva l’olio, purtroppo, doveva accontentarsi di una ricetta un po’ diversa e poi alcuni utilizzavano le patate, perché il baccalà era poco e allora diciamo nella preparazione, se era quello con la cipolla, al baccalà, per farlo aumentare, aggiungevano pezzettini di patate oppure facevano tipo “a tortier” (la tortiera), affettavano le patate, anche perché loro le mettevano in campagna, quindi le patate ce n’erano di più, mentre il baccalà lo dovevano comprare e non era facile che tutti quanti potessero avere questa possibilità e allora aggiungevano altri ingredienti per soddisfare le esigenze soprattutto se era una famiglia numerosa.

Non tutti, quindi, preparavano le stesse pietanze per il Cenone?
No, no, non era possibile. Mia nonna diceva che dovevano essere nove cose, però le famiglie povere non contavano gli alimenti, contavano anche l’olio, il sale, l’ scarpedd o perché gli erano state regalate o perché l’avevano fatte loro, poi il baccalà chi poteva fritto, il baccalà in umido, il baccalà con la cipolla, vari tipi a seconda di quello che potevano fare, poi, contavano, diciamo, il finocchio. Facevano la rosa bianca, la lessavano o facevano il cavolo nero oppure i cappucci sfritti e non dovevano mancare, diceva lei, le noci. Le noci per loro erano qualcosa di sacro, quindi ci dovevano essere, per forza, sulla tavola, il giorno del Cenone e un’altra cosa, ma erano sempre cose che loro avevano conservato,erano le melagrane, che le appendevano ad un filo. Per quanto riguarda le mele loro le conservavano, diceva, nella paglia e in ogni casa c’era “u’ ndumbiat” (il soppalco), che serviva per due usi. Nella parte vuota, diciamo, d’estate quando si trebbiava mettevano il grano, mentre sopra che c’era una specie di tavola, ad un angolo, mettevano la paglia e sulla paglia poggiavano queste mele e quindi per Natale loro tenevano le mele, poi, se qualcuno non aveva proprio niente, se veniva regalata una cassetta di arance, diceva mia nonna che prendevano una coperta, la mettevano sotto il letto e le poggiavano ad una ad una vicine, queste arance, per farle mantenere prima che arrivasse il freddo, perché si conservavano fino a Giugno. “Sop’ u cannizz” (un piano di canne), poi, una cosa che facevano erano i fichi secchi, quindi al cenone di Natale, c’erano pure i fichi, che non mancavano, le mandorle, perché avevano qualche albero in campagna e poi loro facevano le varie preparazioni con i fichi e le mandorle.

Dato che non tutti avevano gli stessi alimenti per il Cenone, si scambiavano qualche alimento?
Si, c’era l’abitudine di dare, di dare molto, soprattutto da parte di coloro che avevano, perché la campagna produceva, produceva molto e quindi c’era questo scambio sia tra le famiglie che nel parentado, tra di loro se lo facevano, ma se lo facevano anche con gli amici e davano soprattutto a chi non aveva niente, ai poveretti.

Questo scambio si faceva, anche, per mantenere un rapporto di vicinato o solo tra parenti?
Nei paesi erano tutti “cumbar” (compari) e amisc, quindi si conoscevano tutti, perché, poi, la popolazione non era tanta, erano un numero tale per cui tutti si conoscevano.

Come si chiama lo strumento di metallo che hai usato per sollevare la massa?
A rasol (la spatola per raschiare via la massa dalla spianatoia), questa mi serve se no come faccio. A rasol, questa veniva utilizzata.

La consistenza dell’impasto, come risulterà alla fine della lavorazione?
Morbido, morbido e come senti il rumore delle mie mani che scattn, così è la massa, “adda scattà ‘nda l’ man” (deve scoppiettare sotto le mani che la lavorano).

Questo secondo te è fondamentale per il risultato finale?
Sì, sì, perché è un modo diverso di preparazione, non va fatta subito, subito e messa a riposare, ma ha bisogno di questa preparazione particolare.

Per quanto tempo la lavori in questo modo?
Mi regolo, me ne accorgo quando è pronta.

Cosa stai utilizzando per impastarla con questa preparazione?
Solo l’acqua ora, l’acqua e la lavoro con le mani. Sotto devo aggiungere sempre l’acqua.

Secondo te, cosa significa “tradizionale”?
Tradizionale è qualcosa che portato nel tempo si conserva. Non può essere tradizionale una cosa che tu vai a comprare e che è surgelata. Tradizionale, proprio, perché, anche se sono passati tanti anni, tanti mesi, addirittura qualche secolo, ancora c’è qualcuno che ha, diciamo, la buona volontà, la capacità di conservare questa tradizione.

Per te, quindi, la tradizione è solo qualcosa che deve essere trasmesso agli altri?
Sì, sì. Diciamo, è tradizione quello che viene trasmesso, quello che viene ricordato, la memoria di tutto quello che tanti anni fa i nostri nonni, i nostri bisnonni hanno fatto e che a qualcuno è stato trasmesso così bene, che ancora qualcuno ci crede in quei valori, in quelle cose e conserva questa tradizione, perché in molte famiglie è sparita (questa tradizione di preparare le scarpedd in casa) e, infatti, ci sono molte persone che amano comprare, vanno al forno, comprano le cose. ma non le fanno più loro. Non le fanno, perché non le sanno fare; non le fanno, perché non le hanno conosciute; non le fanno, perché si stancano e amano le cose già pronte.

La trasmissione delle tradizioni, secondo te, avviene solo oralmente
No, per me è importante vedere, perché se tu non vedi, non fai, non puoi ricordare. È importante, allora, vedere, fare, conservare e ripetere.

Ti hanno lasciato qualcosa di scritto nella tua famiglia, per trasmetterti le tradizioni nell’ambito della cucina?
No, no, di scritto no, so, perché ho visto e ho fatto. Io non ho niente di scritto, cioè ora scrivo, per non dimenticare e per far conoscere a qualcuno dei miei, che apprezza certamente queste cose.

Cosa significa, per te, “locale”?
Locale, del posto, al massimo come lontananza cinquanta chilometri, quindici chilometri, trenta chilometri, non di più. Non può essere locale una cosa che rispetto al nostro paese viene da Potenza o da un altro posto. Sarà anche buona da apprezzare, per la genuinità, per il modo in cui sono stati coltivati, però per me locale è tutto quello che si produce sul posto.

Cosa significa, per te, “naturale”?
Naturale, può essere qualcosa che è nata spontaneamente, ma può essere naturale, anche, qualcosa che viene coltivato ancora in una certa maniera.

Cosa significa “genuino”?
È qualcosa che ti fa ricordare, così buono, che non è stato modificato geneticamente o con tutte le cose che ci sono ora, con la chimica, con la sperimentazione. È qualcosa che è stato conservato nel tempo, addirittura dalle piante, ai semi. Tutto quello che ancora ci fa ricordare i vecchi sapori, le vecchie tradizioni.

Secondo te, quindi c’è stata una modificazione dei prodotti nel tempo?
Per me sì. Sì, infatti ci stanno le zucche ad ombrellino. Ci sono delle cose che sicuramente prima non esistevano, c’erano quelle e basta, invece, ora, avendole modificate, anche i semi, ci danno delle qualità diverse: zucchine striate, zucchine con forme particolari, perché i semi sono comunque diversi, non conservano sicuramente quelli di cento anni fa, cinquant’anni fa, assolutamente.

Il cambiamento è avvenuto solo nella coltivazione o anche nella conservazione?
Secondo me è avvenuto sia nella produzione, nella conservazione, un po’ in tutte le cose. Questo cambiamento si vede, si nota e anche nel modo di rapportarsi con le persone che non hanno conosciuto né i sapori né la trasmissione delle tradizioni, della tipicità, del locale dei vari prodotti.

C’è un cambiamento, anche, nel gusto secondo te?
Sì, sì.

È il gusto che cambia, secondo te o sono i sapori dei prodotti?
I sapori cambiano e quindi cambiando i sapori, tu non ricordi i gusti di una volta, perché comunque sono diversi. Le cose “so cchiu sciapit” (sono più insipidi).

Cosa intendi per “sciapit’”?
Che non ha sapore, no ha niente, sembra una cosa artefatta, una cosa che non porta da nessuna parte, a mio avviso.

Secondo te, quali sono i modi migliori per conservare un alimento?
Allora per quanto riguarda le cose che io conservo e che cerco di fare, soprattutto l’estate, come melanzane, peperoni, le conservo nei barattoli, sempre in una maniera genuina con sale o aceto. Vengono bolliti, rimangano per più ore nel sale, a seconda della preparazione che io devo fare e, poi, vengono messi nei barattoli e coperti con l’olio. Se si tratta delle olive, le conservo nei modi più svariati, se si tratta delle olive nere, ad esempio, prima vengono trattate con il sale, poi, dopo i giorni che sono necessari, perché si possano mangiare, vengono lavate, asciugate e messe pure “sopa na spas’” [spas’: piano di vimini per l’essicazione della frutta], che io ancora conservo, perché ce l’ho queste cose di mia madre oppure nelle cassettine vuote e vengono messe ad asciugare e poi io preparo qualche bustina da mettere nel congelatore, per farle mantenere di più.

Questi metodi di conservazione li usi solo tu?
No, li usavano anche mia madre e mia nonna. Io non faccio tutto quello che potevano fare loro, perche ora tu trovi i prodotti in tutti i mesi, anche se non sono di stagione, mentre anticamente, mi ricordo che loro facevano l’orto estivo e l’orto invernale, allora quando arrivava il mese di settembre, non toglievano subito, per esempio i peperoni, le melanzane, i pomodori, per mettere le rape, le cicorie o altre verdure come i finocchi, ma lasciavano quell’orto estivo ancora fino a quando non arrivava la neve o il freddo, per cui raccoglievano sempre, anche nel periodo di Natale l’ cimarul, l’puntarul d’ l’ piparul (tipi di peperoni piccoli, gli ultimi nati nella stagione autunnale), le melanzane e anche se erano più piccole, arrivavano fino a Natale, qualche pomodoro e solamente con il freddo, diciamo, non c’era più produzione, però cercavano di recuperare al massimo fino all’inizio dell’inverno. Quando, poi, arrivava il freddo forte le piante si bruciavano e non producevano più. Anticamente, siccome non tutti avevano i frigoriferi e avendo la possibilità di avere fino a Natale questi prodotti, prendevano le melanzane, diceva mia nonna, le affettavano, prendevano un filo con l’ago, un filo bianco e mettevano una fetta accanto all’altra, poi le appendevano e le facevano asciugare al sole, queste fette, che poi utilizzavano durante l’inverno, le lavavano e poi le facevano con la cipolla, con il pomodoro. Aggiungevano, per dare un po’ di sapore: formaggio, uova e cercavano di mangiare, perché non è che avevano molte cose a disposizione o tenevano frigoriferi e congelatori, allora dovevano cercare di inventare e di attrezzarsi in maniera diversa rispetto a noi.

Oltre alle olive essiccate sotto sale e nell’acqua, cos’altro prepari come conserva?
Allora, d’estate: la salsa; i barattoli dei pomodori, con i pomodori così normali, solo spaccati e messi nei barattoli; i pomodori piccoli; i pomodori pelati. Faccio tutte queste conserve. Le faccio ancora, anche se non sono, poi, per le quantità che facciamo, eccessive, anche perché io l’orto non lo faccio, ma cerco di comprare da un venditore, da un paesano, che io conosco e di cui mi posso fidare, almeno per il 70-80%, per avere una garanzia in più, rispetto alle aziende che usano grossi quantitativi di pomodori e che sono più soggetti a trattamenti.

Prepari anche confetture o delle conserve di frutta?
Si, soprattutto confetture. Di marmellate, soprattutto quella di arance, perché diciamo ci vuole molto tempo, infatti, il più delle volte io non uso la pectina, le bustine quelle confezionate, ma aggiungo ad ogni chilo di albicocche, di pesche, due mele, le mele fatte a pezzettini e cerco di sostituirle alla pectina e di conservare la frutta come faceva mia nonna, che metteva le mele per addensare.
Beh! Mi sembra proprio fatta. È il momento di metterla a riposare.

Cosa stai preparando?
Sto preparando nella pignatta, il baccalà con la cipolla, il pomodoro e una foglia di prezzemolo. Una volta che ho fatto imbiondire nell’olio la cipolla, ci aggiungerò il pomodoro, insieme ad una foglia di prezzemolo, in più stavolta rispetto alla ricetta tradizionale voglio aggiungere due olive nere con qualche foglia di alloro, che mi piace sia come aroma che come profumo.

Per quale occasione lo stai preparando?
Lo sto preparando per il cenone di stasera, insieme a due patate fatte a tocchetti, che dopo andrò a condire con un po’ di peperoncino, con uno spicchio d’aglio fatto a pezzettini e con un po’di prezzemolo.

Sono piatti della tradizione che si preparavano anche quando tu eri giovane?
Sì, si facevano, diceva sempre mia nonna, perché dovevano contare, durante il cenone, nove cose e non tutti avevano la possibilità di avere baccalà, pesce, cioè le cose che ci sono ora e allora inserivano anche le patate, inserivano “u cappucc’ sfritt”, inserivano la rosa bianca e i peperoni, quelli cruschi e poi facevano i peperoni fritti e i peperoni arrostiti, perché ancora loro riuscivano a recuperarli nell’orto estivo, che avevano fatto, perché lo portavano fino all’inizio dell’inverno, fino a quando non arrivava il freddo per cui riuscivano a recuperare l’cimarul, l’puntarul (vedi sopra), che erano i peperoni, qualche piccola melanzana ed altre cose.

Cucini questi alimenti in modo diverso rispetto alla tradizione?
Solo nel baccalà ho detto che aggiungerò le olive nere e l’alloro, mentre per il resto no, erano le cose che venivano fatte così, con il peperoncino e con l’aglio a pezzettini e un po’ di prezzemolo.

Conosci qualcuno che cucina questi alimenti in modo diverso da come li cucini tu?
Qualcuno al posto delle patate fatte così con il peperoncino o perché non gli piacciono o perché non le può mangiare fa le patate a purè, perché ama cambiare, ma nella tradizione venivano fatte proprio in questo modo.

Da chi hai imparato a preparare questi alimenti?
La maggior parte delle cose le ho imparate dalla nonna, perché mia madre faceva ben poco. Non amava tanto fare queste cose, per cui io stando di più con mia nonna ho imparato a fare la maggior parte delle cose, perché le ho viste fare e quindi insieme a lei … , guardando, più che facendo io. La memoria mi porta a questi ricordi, che per me sono importanti, mi piace rifare e quindi mi piace anche tramandarle in famiglia.

Qual è la cosa più importante da fare per la buona riuscita di queste ricette?
Conservare i sapori, i profumi, gli aromi, le cose che mi fanno ricordare il passato.

Come mai hai scelto questo tipo di pentola per la cottura di questa pietanza?
Perché mi ricorda quella che usava mia nonna, un po’ diversa, un po’ più bassa, che noi ancora teniamo conservata e dove lei faceva di solito delle minestre particolari, i legumi o il brodo, che venivano fatti vicino al fuoco. “Iusà u pignatjedd” (usava una piccola pignatta, un’ anfora di terracotta con due manici) e che sono questi dal più grande al più piccolo, a seconda delle cose che dovevano cucinare. La maggior parte delle cose che venivano cucinate vicino al fuoco erano legumi, però facevano anche le cose del maiale, il brodo con gli avanzi del maiale, che venivano messi in salamoia “ ‘ndu vasett” (un vaso di terracotta), sotto sale “a ‘ncantarat s’chiamàie” e loro poi facevano con questi pezzi, che poi erano solo, più che carne erano appena, appena, qualche filo di carne che si vedeva, erano gli ossi e facevano questo brodo un po’ particolare, perché diciamo non è che potevano permettersi il lusso di comprare altre cose, anche se poi avendo la campagna usavano anche i polli, i conigli.

La cottura era sul fuoco?
Sì, sì, la maggior parte della cottura veniva fatta sempre sul fuoco o “ ‘nda cazzarol” (nella casseruola con due manici) o “ ‘nda sartascn” (nella padella con un manico), a seconda di quello che dovevano preparare o “ ‘nda pignat” ( nell’anfora di coccio grande) o “ ‘ndu pignatjedd” (nell’ anfora di coccio piccola).

Cucini spesso questi alimenti che stai preparando?
Il baccalà si, spesso lo faccio, perché è una cosa che piace in famiglia e di tanto in tanto, anche se non siamo nel periodo natalizio, siccome arriva al mercatino, al mercato grande o nei negozi, io riesco a prenderlo e quindi lo cucino.

Non lo cucini, quindi, solo in occasioni particolari come quella di oggi?
No, lo faccio in maniera diversa. Posso farlo al forno o posso farlo allo stesso modo, però anche in periodi diversi da quello natalizio.

Lo leghi ad una dieta?
No, lo faccio perché ci piace.

Tutti gli ingredienti che hai usato li hai comprati?
No i pomodori no, perché li ho fatti io questa estate e poi li ho messi sotto vuoto. Sono stati bolliti nella caldaia “ ‘nda caurar”, che ancora io tengo, perché la usava mia madre e quindi queste provviste io continuo a farle sia che siano la salsa, i “boccacci” ( i pomodori tagliati e metà e inseriti nei barattoli), i pomodori pelati, i pomodorini, tutte queste cose.

Gli altri alimenti che stai utilizzando, invece, li hai acquistati?
La rosa bianca si dal fruttivendolo, le patate al supermercato e il baccalà al mercato, però, l’ho messo io a bagno, ho fatto io un procedimento. L’ho tenuto per quattro o cinque giorni nell’acqua, in una coppa nel frigorifero, fino a quando ha perduto tutto il sale, cambiando due volte al giorno l’acqua, la mattina e la sera.

Acquisti spesso questi prodotti?
Se mi piace, li prendo, il baccalà, le patate.

Ti capita di riceverli in dono?
L’unica cosa, le verdure di più, ma per il resto no. Il baccalà non mi viene regalato lo devo comprare io.

Per quanto riguarda la preparazione del baccalà, vedo che hai lasciato la pelle?
Perché per questa ricetta veniva lasciata la pelle del baccalà, mentre per fare quello fritto, l’ho tolta tutta, l’ho fatto a tocchetti e dopo andranno in questa pastella, che è sempre ricavata dall’impasto delle scarpedd, un po’ diluito con l’acqua e che poi andrò a friggere.

Cosa stai preparando?
Sto preparando i peperoni cruschi.

Anche i peperoni cruschi fanno parte della tradizione del cenone?
Sì, sì.

Questi peperoni da dove vengono?
Questi veramente mi sono stati regalati da un mio cugino, che fa l’orto in campagna e me li ha portati. Allora io li ho appesi durante l’estate, li ho lasciati nel garage in un luogo fresco e asciutto e li ho fatti curare.

Li hai essiccati tu, quindi?
Sì, sì.

Li cucini spesso?
Si perché da noi si usano, soprattutto, quando faccio le rape “p’ l’ rascatjedd” (con i cavatelli) o con le orecchiette, allora mi piacciono, come contorno per questo piatto.

In quali altri modi si possono preparare oltre che fritti?
Allora oltre che farli così, di solito mi piace allargarli, controllarli per bene, poi, preparo l’uovo sbattuto, il pane grattugiato e li cucino come se fossero delle cotolette di peperoni ed è un modo diverso. Altrimenti li faccio a pezzettini, li lavo e con un filo di olio, un goccino di acqua, un po’ di sale, li faccio cuocere, metto anche il prezzemolo e poi ci aggiungo solamente il formaggio e l’uovo sbattuto, mi piace pure così e se c’è qualche pomodorino di quelli secchi lo metto insieme ai peperoni, in questa ricetta.

La cottura per i peperoni cruschi deve essere abbastanza veloce?
Deve essere velocissima, altrimenti rischiano di bruciarsi, perché non ti da il tempo, l’olio diventa bollente e sono delicati per cui o li fai subito o niente. Di solito, anticamente, la nonna mi diceva che andavano anche cucinati in giornate particolari, quando c’era il vento di tramontana, perché se era scirocco, rimanevano umidi e non si sentiva quel trick track, che è tipico del peperone crusco.

Hai intenzione di friggere anche altre cose per il cenone?
Si, ora sto facendo i peperoni verdi e anche questi mi sono stati regalati, però avendoli messi nel congelatore, ora senti scoppiettare l’olio, proprio per questo motivo.

Cosa stai preparando?
L’ scarpedd. Essendo lievitata la massa, al punto giusto, ora le sto friggendo, nell’olio.

L’olio che usi per la frittura lo hai comprato?
No, veramente è di mia produzione, in quanto avendo alcuni oliveti, di solito, lo facciamo noi. Lo faccio io, per la mia famiglia.

Quindi è olio d’oliva, perché utilizzi l’olio d’oliva per friggere?
Si è olio d’oliva. Veramente lo utilizzo, perché il sapore è completamente diverso e lo uso, veramente, per tutte le fritture. A parte che per l’ scarpedd lo uso anche per la frittura di pesce, per le zucchine, per le melanzane, qualsiasi cosa anche, perché, noi lo teniamo e allora lo preferisco agli altri oli, anche se possono sembrare più leggeri o diversi.

Anche quando eri giovane si usava l’olio d’oliva, per friggere?
A casa mia abbiamo sempre usato l’olio d’oliva, l’olio di semi lo uso per qualche dolce, qualche volta se è richiesto nella ricetta, ma per le fritture prettamente preferisco l’olio d’oliva.

Come capisci che l’olio è pronto per friggere?
Veramente, sempre per un’antica tradizione, mi è stata trasmesso di mettere tre pezzettini di sale, quello grosso e nel momento in cui li vedo friggere, l’olio è pronto e posso proseguire.

Come si chiama la pentola in cui stai friggendo?
A sartasc’n’.

Perché preferisci friggere in questo tipo di pentola?
Perché, anticamente, l’scarpedd si friggevano sul fuoco, nella sartascn, solo che non era certamente come questa di rama latta, ma quella era proprio adatta, specifica per fare l’scarpedd e poi bisognava avere, diceva sempre mia nonna, il fuoco sempre bello allegro, allegro, sott’ a sartascn e diciamo la legna che veniva bruciata eran l’ tjerr (legnetti sottili e secchi che sembrano i rami della vite), che venivano presi apposta, perché erano più sottili e tenevano sempre la fiamma al punto giusto, per poter avere una buona riuscita del prodotto.

Secondo te il tipo di pentola che usi, cambia il sapore del prodotto finale?
È quella giusta e senz’altro sì. Sicuramente sì.

E il tipo di cottura che scegli?
Sì, per me, sì. L’ho sempre fatto in questo modo, per me va bene e continuo a farlo.

Secondo te, dato che hai assaggiato l’scarpedd cotte sul fuoco, il sapore di questo alimento è diverso se cucinato sul gas?
Sì è molto, ma molto diverso. A parte il fatto che essendoci una fiamma , vivace e allegra, vengono più rosse, vengono completamente diverse. Queste, nonostante penso che l’olio sia al punto giusto, non riescono ad avere la doratura del prodotto, che si riesce ad avere sul fuoco.

Ma il sapore di questo prodotto, secondo te, è cambiato solo a causa del diverso tipo di cottura o è cambiato, anche, il tuo modo di assaporare i cibi?
Facendoli in una maniera diversa, anche il sapore non è quello dei miei ricordi di infanzia, lo trovo alquanto diverso.

È possibile che questo dipenda anche da un cambiamento dei prodotti che usi per preparare l’alimento da friggere?
Un po’ sì, ad iniziare dalle farine, che non sempre sono quelle garantite, se non provengono dal grano genuino, di un terreno di tua conoscenza in cui è stato coltivato. La farina, la cottura, l’olio, se non sono quelli giusti, non si riesce ad avere una buona riuscita del prodotto che stai preparando.

Come capisci che l’scarpedd sono pronte per essere tolte dall’olio?
Quando sono dorate. Devono essere dorate, però essendo molto lenta la fiamma del gas, anche se è il fornello quello più grande, perché non è quella del fuoco, non vengono proprio rosse e sono anche costretta a girarle più volte rispetto a come si faceva prima, quando bastava girarle una sola volta e il fuoco riusciva a tenere la temperatura dell’olio sempre giusta, invece, qui sul gas si abbassa.

Come si chiama l’attrezzo che usi per togliere l’scarpedd pronte dall’olio?
Questo era, proprio una cosa che usavano a casa mia e che io mi sono portata ora da me ed è a fricigghjedd’, che serve proprio per prendere l’ scarpedd.

Lo trovi più comodo rispetto ad uno strumento moderno?
Sì, per me è più comodo. Sì, sì, mi trovo benissimo. É da anni che la uso, per cui va bene così.

Come riesci a dare la forma all’impasto da friggere? In cosa ti bagni le mani?
Allora, mi bagno le mani nell’acqua e poi prendo un pezzetto di massa e cerco di allargarla piano, piano, con le dita e poi la immergo nell’olio bollente. L’acqua permette che l’impasto non si attacchi alle dita. Non bagnandomi le mani, l’impasto mi rimarrebbe incollato alle dita e rischierei di scottarmi.

Anche prima si preparavano in questo modo?
Sì lo facevano così, tenevano vicino al fuoco una coppetta, sempre pronta, con l’acqua e ogni volta che prendevano un pezzettino di massa, bagnavano le mani.

Friggerai qualche altro alimento, dopo aver preparato l’scarpedd?
Si, prima passerò a friggere l’scarpedd con l’uva passa, ottenute aggiungendo allo stesso impasto l’uva. L’uva essendo dolce dava la possibilità di creare proprio un dolce, che veniva aggiunto agli altri che si preparavano per il cenone, durante i giorni che precedevano il Natale, l’arrivo della nascita di Gesù.

Quali erano gli altri dolci che si preparavano?
Allora, a Montalbano si usavano fare le “incartellate” ( pastafrolla arricciata, da un lato, a cui si dava una forma circolare dopo averla allungata, resa sottile e tagliata a striscioline con un attrezzo, che ha in cima una rotella girevole dentellata e che venivano fritte e poi ricoperte di zucchero a velo, di vin santo o di decotto di fichi ) e l’ “cauznjedd” ( panzerotti dolci di pasta morbida, ripieni di ceci, cioccolato e cannella o altri aromi, che venivano, poi, fritti).

Ci sono sempre stati questi dolci, anche quando eri bambina?
Sè, sè, sè, io me li ricordo. L’ “cauznjedd”, che venivano riempiti con un impasto a base di ceci, a cui si aggiungeva un poco di cioccolato, di cacao e i vari profumi, la scorza del limone, la scorza del mandarino e, se c’era, un po’ di liquore: l’anice o qualche altro liquore che si preferiva.

Tu hai preparato qualcuno di questi dolci o ne hai preparati altri?
Veramente quest’anno non ho avuto la possibilità di preparare quelli tradizionali, però ho preparato dei dolcetti che piacciono ai miei familiari, come dei dolcetti con le mandorle, dei sempre freschi con l’uva passa e altre cose che non riguardano la tradizione, perché mi è mancato proprio il tempo materiale per dedicarmi alla realizzazione di questi prodotti, tipici di Montalbano.

Oltre alle scarpedd e alle scarpedd con l’uva passa quale altro alimento friggerai?
Il baccalà nella pastella, fatta sempre dalla massa d’ l’ scarpedd e poi farò i “lmbasciun” (le cipolline selvatiche).

Le cuocerai tutte nello stesso olio?
Sì, si possono fare nello stesso olio, perché siccome veniva messo abbondantemente, ti dava la possibilità di friggere più alimenti, però, seguendo un certo iter, cioè prima l’scarpedd, poi l’scarpedd con l’uva passa, poi il baccalà e se era il caso, che uno riteneva, poteva friggere qualche altra cosa, forse non è corretto, però questa era la tradizione. Prima si faceva così, anche perché non avevano tanto olio a disposizione e quindi utilizzavano lo stesso. Ora si invita a cambiare, per ogni prodotto, l’olio, però essendo che rimane pulito si può fare.

Il fatto di friggere alimenti diversi nello stesso olio, secondo te, altera il sapore dei prodotti finali? C’è una contaminazione di sapori?
No, perché l’olio rimane pulito, non penso che ci possa essere una contaminazione, perché rimane abbastanza pulito, trasparente e, infatti, se ti avvicini puoi vedere come l’olio rimane pulito, trasparente e non ha di queste problematiche, non subisce variazioni notevoli.

Cosa stai preparando?
Veramente sto preparando gli spaghetti olio e aglio, che era proprio la classica ricetta tradizionale che si faceva la sera del cenone della vigilia di Natale, tanti e tanti anni fa e io la sto riproponendo.

Come si dice nel dialetto montalbanese che la pasta è scotta? Esiste un termine per dire che la pasta è troppo cotta?
Si esiste un termine, ma in questo momento mi sta sfuggendo. “Spappulat”. Si credo che il termine sia “spappulat”.

È quando, invece, la pasta è cruda?
No, non si usa molto il termine crudo per la pasta, perché secondo me loro usavano molto la pasta fatta in casa, dato che non esisteva la pasta confezionata e appena messa la pasta fresca faceva subito “u vugghj”, il bollore, per cui il termine crudo, secondo me, non c’era. Non mi ricordo di averlo sentito molto.

Esiste un termine per dire troppo brodoso?
Schuttulend. Sì, sì, questo me lo ricordo, perché quando un piatto era troppo brodoso loro dicevano: “Eh! A fatt tropp schuttulend”.

Se, invece era troppo asciutta una pietanza?
Troppo asciutta: è jars.

Come viene definita una pietanza con troppo olio?
Precisamente non me lo ricordo, penso che ci siano più espressioni come “navighiamo nell’olio”, “ci facciamo un bagno nell’olio”. Preciso, preciso, no

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Cavatelli con fagioli (Montalbano Jonico)

Cavatelli con fagioli (Montalbano Jonico)
preparati da Filomena Celano intervistata da Rosanna Manolio il 12 gennaio 2009

Che cos’hai preparato oggi per pranzo?
Cavatelli con fagioli
Per fare questo piatto avevi già tutti gli ingredienti a casa oppure sei andata a fare la spesa? Avevo tutti gli ingredienti a casa
Quanto tempo impieghi per la cucina?
Dipende da cosa preparo
Quali sono i piatti che ti riescono meglio?
I primi
E in particolare c’è uno che ti piace preparare?
No
Che cosa invece non ti piace preparare?
Le verdure
Come impari le ricette?
Dai libri e in televisione
La pietanza che preparerai ora è una ricetta tipica?

Che significa “tipico” per te?
Piatto caratteristico
Questo termine esisteva pure quando eri bambina?

Si cucina anche in altri posti?
Credo soprattutto al sud
Visto che sei brava a preparare i cavatelli con fagioli mi faresti vedere come si preparano?

Allora gli ingredienti quali sono?
Si mette l’olio, si mette un po’ di cipolla, soffriggere un po’, dopo mettere un po’ di pomodoro, deve cuocere un po’, mettere un po’ di acqua, un po’ di sale e deve cuocere… nel frattempo prepariamo la pasta…
Mi fai vedere come si prepara?

Cosa si mette?
Farina, un po’ di acqua… ecco, si prepara così
Hai imparato a cucinare questo piatto da sola oppure te l’ha insegnato qualcuno?
Non ricordo… ah! Mia madre
Quand’è stata la prima volta che lo hai cucinato?
Da ragazza
Quando eri piccola chi cucinava in famiglia?
Mia madre
Tu ti occupavi del pranzo o della cena?
Entrambi
Ma ti piaceva cucinare o era soltanto un dovere?
Mi piaceva
Rispetto al passato ora cucini in maniera diversa?

Ti ritieni brava in cucina?

Ti fa piacere sapere di essere brava?
Sì certo
Sono in tanti a dirtelo?

Cucini anche per altre persone se te lo chiedono?
Se me lo chiedono sì
In famiglia ci sono altre persone che cucinano bene?
No
Oltre a cucinare cosa ti piace fare?
Ricamare… poi si fanno a pezzettini e poi si fanno cosi… nel frattempo quà si mettono i fagioli e devono cuocere un altro po’… l’acqua bolle… prendere i cavatelli metterli nel piatto, si mette un po’ di sale…quando vengono a galla sono pronti
Quanto tempo ci vuole per cucinare?
5/10 minuti… i cavatelli sono pronti, si scolano per bene, si mettono nel piatto, si mettono i fagioli. Il piatto è pronto… cavatelli con fagioli.

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PER SALSA RICEVUTA. PACCHI DI CIBO IN VIAGGIO

PER SALSA RICEVUTA. PACCHI DI CIBO IN VIAGGIO

Matera, 11-26 giugno 2016
Orari di apertura della mostara: 11-13.30 /17-21

A cura di Francesco Marano

Con Dessy Ariyanti, Angela Calocero, Lucia Cuniglio, Xenia D’Allegra, Anastasia Kokhan, Mariangela Lapadula, Marica Melone, Fabiana Pizzulli, Rossella Primo

La pratica di inviare pacchi di cibo ai figli emigrati, lavoratori o studenti, è molto diffusa in Italia meridionale. Il cibo contenuto nella scatola assume significati diversi per chi lo prepara e per chi lo riceve.
Il cibo proveniente dai genitori rievoca il paesaggio sensoriale della famiglia e del luogo d’origine: gli odori della cucina di casa, le pietanze, i termini/suoni dialettali di denominare le pietanze, le presenze della madre e della nonna in cucina e il loro “modo di fare le cose”, le occasioni di commensalità festiva.
La capacità del cibo di attivare queste memorie sensoriali si deve in particolare al fatto che con esso si ha un contatto diretto, non soltanto visivo, ma anche olfattivo, tattile, insomma è un fatto socio-sensoriale totale. Esso è l’unico simbolo che si può materialmente ingerire: mangiando determinati cibi, le relazioni con luoghi e persone vengono letteralmente incorporate e rivissute.

RICHIEDI L’ALLESTIMENTO DELLA MOSTRA NELLA TUA CITTA’
La mostra sarà allestita con i prodotti del tuo territorio. Contatta Francesco Marano per maggiori informazioni.

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Tagliatelle con le cicerchie (Montescaglioso)

Tagliatelle con le cicerchie (Montescaglioso)
preparate da Anna Di Taranto
Video realizzato da Maria Sassone

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A’ Cucchej (Irsina)

A’ cucchej (Irsina) preparata da Isabella Molinari Intervistata a Irsina (MT) il 20 gennaio 2015 da Grazia Maria Favale.

Buongiorno Isa,cosa ci prepari oggi?
Buongiorno e benvenuti nella mia cucina, oggi prepariamo un piatto tipico irsinese che in dialetto si chiama “a cucchej” ed è un piatto che si cucina nel periodo natalizio.

Cosa significa “tipico”?
Significa che si usava già precedentemente, negli anni passati e che si è tramandato fino ad oggi.

In cosa consiste la ricetta?
Allora, il grano viene messo a bagno per 12 ore perché deve ammorbidirsi, successivamente viene lavato bene parecchie volte e messo a cucinare per 7 ore.

Ti ritieni brava in cucina?
Diciamo abbastanza, passo parecchio tempo a cucinare per la famiglia.

Una volta cucinato il grano, cosa si fa?
Dopo che il grano ha cucinato, viene tolto dalla pentola e messo in un piatto e, con l’aggiunta del vincotto ottenuto dai fichi essiccati e cucinati per diverse ore, viene amalgamato bene. E’ un piatto che fa servito freddo.

Quali sono altri piatti irsinesi?
Le pettole, “a lag’n” un tipo di pasta riccia e lunga condita sempre con il vincotto.

Questo piatto che abbiamo cucinato oggi si prepara anche in altri posti?
Non credo, è un piatto che si cucina solo ad Irsina.

Va bene Isa, grazie per questa ricetta.
Grazie a te, arrivederci.

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Tagliatelle ricce con pomodori secchi (Grottole)

Tagliatelle ricce con pomodori secchi (Grottole)
preparate da Antonietta Rinaldi, intervistata da Giovanni Quaranta il 1 settembre 2007

Sono le dodici meno un quarto, l’orario giusto per cucinare?
Sì, il tempo di preparare la pasta fatta in casa e condirla con i frutt della terra.

Sei andata a fare spesa questa mattina?
Non necessariamente per la ricetta che dobbiamo presentare, perchè ci vuole la farina per la pasta, quindi la farina di solito c’è sempre in casa, delle uova fresche e i pomodori che si fanno d’estate e si conservano poi nei barattoli sott’olio.

Sai cucinare?

Ti ritieni esperta?
Non proprio, però me la cavo.

Cosa ti piace cucinare particolarmente?
Particolarmente la pasta, perché è bello da preparare e cucinare proprio dall’inizio.

Quindi cosa ti riesce meglio da cucinare?
Penso la pasta.

Che cosa non ti piace cucinare?
Non c’è niente che non mi piace cucinare.

Quindi la ricetta di oggi è una ricetta semplice?
Sì, molto semplice.

Sai dirmi qualcosa di questa ricetta?
Questa ricetta diciamo che è la ricetta della nonna, perché veniva preparata anticamente e dalla nonna e perché ci sono preprio degli elementi semplici: la farina, che c’era sempre ed era una cosa che non doveva mai mancare in casa; i pomodori che si raccoglievano in campagna e poi si conservavano. Si facevano essiccare al sole e poi si conservavano nei barattoli sott’olio, che potevano servire per l’inverno, per quando e ce n’è fosse bisogno, anche perché si potevano usare in diversi modi, con la pasta, con il pane oppure con le uova, quindi potevano essere un primo, un secondo o un contorno.

Quindi sono ingredienti che fanno parte della cucina tradizionale grottolese?
Sì.

Allora passiamo alla preparazione vera e propria di questo piatto. Innanzitutto come si chiama questo piatto?
Sono le tagliatelle ricce con i pomodori essiccati.

E a Grottole?
Nel nostro dialetto a sagntedda rezz ch l’ pmmdur’ adacciat’.

Era un piatto che si faceva sempre durante l’anno o c’erano dei periodi particolari?
Il periodo in cui si faceva era soprattutto l’inverno, proprio perché i pomodori venivano conservati per l’inverno, fatti essiccare e poi conservati nei barattoli sott’olio con un pò d’aglio e basilico per dare un pò d’odore.

Ci fai vedere che cosa ti serve?
Sì, allora abbiamo la farina, le uova, i pomodori, basilico e aglio per condire e poi qui abbiamo le alici, usate per dare più sapore al piatto.

Bene, passiamo alla preparazione vera e propria del piatto. Per quante pesone stiamo cucinando?
Questo piatto va bene per circa quattro persone. Innanzi tutto mettiamo la farina.

Che fai adesso?
Adesso dobbiamo impastare la farina. Quindi prendiamo l’acqua che abbiamo fatto riscaldare con del sale per amalgamare meglio. Impastiamo la farina con l’acqua e poi aggiungiamo le uova.

Chi ti ha insegnato queste cose?
Mia nonna, perché questo era il piatto che veniva fatto la domenica, perché le signore la domenica restavano a casa, non andavano in campagna e quindi facevano la pasta fatta in casa.

Ma tu hai mai cucinato insieme a lei?
Sì, a volte quando ero bambina.

Ma ti piace cucinare, è una cosa che fai con gusto?
Sì, è una cosa che faccio con vero piacere. Ecco, mettiamo le uova.

Quanto tempo va impastata?
Va impastata finché non si amalgama tutta la farina, finché non si asciuga.

Quindi per quanto tempo?
Circa un quarto d’ora.

Vedo che l’impasto è quasi pronto.
Si, adesso dobbiamo stendere la pasta per poi tagliare le tagliatelle.

Perché metti la farina?
Per non far attaccare la pasta al tagliere. Dobbiamo tirare una sfoglia abbastanza sottile.

Adesso la sfoglia è pronta?
Sì, è stesa e ora procediamo al taglio. Mettimo la farina per evitare che si attacchi.

Che si attacchi agli strumenti che utilizzi?
Sì.

Adesso che fai?
Adesso iniziamo a tagliarla, la tagliamo prima a striscioline.

Si chiama “riccia” perché utilizzi questo strumento?
Sì, perché c’è questa rotella che taglia in questo modo.

C’è una dimensione fissa per le tagliatelle?
No, non è una dimensione stabilita.

Dipende dai gusti?
Sì, si può fare più larga o più stretta.

Tu come la preferisci?
A me piace così come la sto facendo ora.

Ci vuole impegno in cucina però?
E sì, soprattutto per questi piatti in cui dobbiamo cucinare la pasta e la pasta va fatta a mano.

Hai fatto qualche variante rispetto alla ricetta iniziale?
No, per la pasta sto rispettando la ricetta che veniva fatta anticamente, poi vedremo per il condimento. Ecco ora abbiamo finito di tagliare le tagliatelle e le dividiamo, perché così lunghe non si possono cucinare. Come potete notare non sono venute tutte uguali, proprio perché sono state fatte a mano, quindi non c’è una macchina con una misura ben precisa.

Quindi adesso le rimpicciolisci?
Sì, le divido perché sono molto lunghe.

C’è un motivo per cui fai questa cosa?
No, per cucinarle meglio. Ecco le nostre tagliatelle sono pronte. Ora prima di cucinarle passiamo al condimento. Qui abbiamo i pomodori che stavano nel barattolo sott’olio. Ora prendiamo un tegamino.

Adesso che fai?
Adesso versiamo un filo d’olio nel tegamino perché dobbiamo mettere i pomodori. mettiamo a fuoco basso e versiamo i pomodori.

Quanti grammi erano?
Il boccaccino da trecento grammi. sempre a fuoco basso facciamo soffriggere.

Per quanto tempo?
Finché diventano più rosolati.

Ci sono spezie lì in mezzo?
Sì, c’è l’aglio che era stato messo nel barattolo, ed il basilico, però aggiungiamo comunque uno spicchio d’aglio fresco.

Perché?
Per dare più odore, dopo, naturalmente, l’aglio viene tolto.

Cucini spesso?
Sì.

Ti piace cucinare?
Sì. Come detto prima, questo piatto veniva preparato così, però si possono aggiungere anche delle alici.

Quindi questa è la preparazione base con il pomodoro?
Sì, questa è la preparazione povera di un piatto molto semplice.

La variante che invece tu adotti qual’è?
Si possono aggiungere delle alici. Una volta soffritto il pomodoro, naturalmente il pomodoro si versa prima, dopo vengono aggiunte le alici per rendere il piatto più ricco. Il soffritto è pronto, nel frattempo abbiamo già messo la pentola dell’acqua. Controlliamo se bolle. Si, bolle, raccogliamo la pasta.

Quanta pasta abbiamo realizzato?
Questo è un chilo di farina. caliamo la pasta, saliamo.

Quanto sale ci vuole?
Non c’è una dose ben precisa. Facciamo cuocere la pasta.

Per quanto tempo?
Pochissimo perché è pasta fatta in casa, quindi ci vogliono dieci minuti, un quarto d’ora a al massimo. Ora la scoliamo, la versiamo qui dentro. Versiamo il composto di pomodori e alici. La faccimo insaporire e prepariamo i piatti. Il nostro piatto è pronto, si può decorare con una foglia di basilico e, per chi vuole, anche con del piccante.

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