Cenone della vigilia di Natale (Montalbano Jonico)
preparato da Rosaria Anna Vincenza Lopatriello intervistata da Tiziana Stoja il 2 dicembre 2014
Ti sei alzata presto stamattina per cucinare?
Mi sono alzata presto, come tutte le mattine, perché è una mia abitudine. Lo faccio da molti anni, perché lavoro nella scuola e i ritmi della scuola fanno si che non possa permettermi il lusso di rimanere a letto per troppo tempo, di alzarmi tardi, per cui per abitudine, da anni, mi alzo prestissimo.
Quanto tempo dedichi alla cucina?
Il tempo che ci vuole, a seconda dei piatti, delle minestre, delle cose che devo preparare. Non mi dispiace, perché è una cosa che faccio volentieri, lo faccio con piacere, perché lo faccio da sempre, da piccola e continuo a farlo.
Sei andata tu a fare la spesa, stamattina?
Io veramente, stamattina, no, perché non mi è stato possibile. L’ho fatta ieri e anche qualche giorno fa e mi sono organizzata in base alle cose che dovevo preparare.
Dove sei andata a fare la spesa?
Dal fruttivendolo di fiducia e dal signore che ogni mattina passa davanti a casa mia e che porta, soprattutto per quanto riguarda le verdure, quelle più fresche e genuine e so, siccome lo conosco da anni, che le coltiva nel suo orto, nella sua campagna e quindi preferisco prenderle da lui e non in un supermercato, anche se da noi i prodotti sono locali, provengono dai paesi vicini, come Scanzano, Policoro, Metaponto, però, diciamo, che preferisco i prodotti delle campagne del nostro paese, Montalbano.
Hai parlato di fiducia, cosa intendi per fiducia?
Fiducia nel senso che so che questa persona, non usa prodotti chimici e lavora il terreno cercando di utilizzare fertilizzanti naturali come il letame, prodotti completamente diversi da quelli chimici. Non usa antiparassitari, non usa prodotti che possono contaminare e nello stesso tempo aumentare quelle che sono le malattie di questo secolo, soprattutto, tumori, che aumentano sempre di più anche nelle nostre zone.
Cosa hai comprato da questi “fornitori di fiducia”?
Dal fruttivendolo ho preso le verdure: la rosa bianca, il cavolo nero, l’insalata, la rucola e i finocchi, perché queste erano le cose che mi servivano.
Hai comprato solo quello che ti serviva oggi?
Sì, sì.
Quali sono le ricette che sai cucinare meglio?
In genere me la cavo. Un po’ tutte. Alcune le prediligo di più, anche, perché piacciono ai miei familiari, alle persone che sono vicine, nel mio contesto familiare: mio marito, le mie figlie. Non hanno delle richieste, perché loro mi conoscono e anzi per loro è sempre una sorpresa gradita quando preparo un piatto nuovo, un piatto diverso, perché amo cambiare, sono un tipo creativo e anche per le piccole cose (le cose semplici) cambio sempre ricetta, perché mi piace farlo e qualcosa che non mi pesa assolutamente. La cucina mi piace ed essendo creativa invento anche dei piatti in base agli ingredienti che ho, in quella giornata o a quelli che mi sono avanzati e quindi cambio ricetta facilmente.
Cosa cucinerai oggi per pranzo?
Oggi, per pranzo, preparerò “rape e rascatjedd”, perché è una cosa che io sin da piccola mangio, apprezzo, mi piace e piace anche ai miei familiari.
Chi ti ha insegnato a cucinare?
Veramente non ho avuto una maestra, che mi ha detto impara a cucinare. Da piccola ho sempre guardato, perché passavo molto tempo a casa di mia nonna, abitando “sopra e sotto”, lei al piano terra e noi al primo piano. La maggior parte del tempo, se non andavo a scuola, lo trascorrevo a casa dei miei nonni e quindi ho visto molto, ho imparato molto, ho visto, da questa persona più che da mia madre, tutto quello che lei preparava, anche perché era una donna svelta, dinamica, inventava, creava, faceva di tutto e quindi da piccola ho imparato ad assaporare tutte le cose più genuine, che ancora conservo. Mi piace rifarle, ripeterle e le faccio con piacere.
Quando hai cucinato per la prima volta?
Per la prima volta, dopo i quindici anni, inseguito alla morte di mio padre, perché mia madre lo faceva, a casa nostra, più per dovere nei confronti del marito e di noi figlie, però dopo la morte di mio padre, una persona molto giovane che è venuta a mancare all’età di quarantatre anni, allora mia madre si è lasciata un po’ andare. Il lutto l’aveva così travolta, che non amava più cucinare e si mangiava quasi “asciutto”, si cercava di recuperare le cose secche pur di non cucinare, al che io mi sono messa, perché avevo guardato, avevo osservato, avevo imparato, pur non facendo. Avevo imparato più cose e allora piano, piano, ho iniziato io. Non sapevo dosare bene il sale e altre cose, però, piano, piano, poi, ho “affinato la mano”, ho imparato a fare molto, ma da sola e questo ha fatto anche molto piacere a mia madre. Il tempo le “ha dato ragione” (l’ha guarita) e poi, piano, piano, lei ha ripreso a cucinare.
Chi cucinava in famiglia, quando eri bambina?
Mia madre lo faceva, cucinava lei, perché lo doveva fare, per la sua famiglia, per i suoi.
Hai imparato a cucinare, quindi, perché sei stata costretta?
Sì, sì.
Ora invece come impari nuove ricette?
Mi piace leggere giornali, guardo la televisione e anche da un confronto con i miei parenti, con le mie colleghe, con i miei amici riesco ad apprendere cose nuove, che mi piace anche provare. Se è una ricetta collaudata, io la ripeto volentieri.
Chi ti aiuta a cucinare?
In genere lo faccio da sola, anche perché le mie figlie sono lontane e non hanno molto tempo da dedicarmi e cucino sempre io.
Cucinare è un obbligo secondo te?
No, no, per me è un piacere, assolutamente no. Un obbligo, no, almeno per me.
Tuo marito o le tue figlie ti chiedono di cucinare qualcosa in particolare?
No, si fidano di quello che io preparo e sono contenti, perché sperimento sempre ricette nuove e alcune che mi piacciono le ripeto volentieri.
Segui una dieta settimanale?
No, a meno che non ci sia una problematica.
Ci sono dei giorni in cui prepari le stesse pietanze, nella settimana?
No, no, cambio sempre.
La dieta alimentare, secondo te, è cambiata nel tempo?
Io penso di si, proprio perché la società moderna ha portato il progresso, è andata avanti e si trovano molti prodotti confezionati, in scatola, per cui non tutti conservano le tradizioni di una volta. Preferiscono comprare le cose già pronte, perché non hanno tempo, addirittura anche le verdure già tagliuzzate, le insalate, qualsiasi cosa già preparata.
Ci sono pietanze che non cucini più?
Non saprei. Quelle di una volta le rifaccio ancora, perché le ricordo benissimo, ricordo i sapori, mi piacevano e le ripeto, anche, durante l’anno, se sono legate ad una festività, se sono legate ad una ricorrenza, se sono legate ad un avvenimento piacevole.
Cosa cucini la domenica?
La domenica, a casa mia, è sacra la pasta asciutta, perché piace ai miei e la preparo con il ragù, che si faceva a casa mia e che ripropongo. Lo faccio sempre.
Usi il congelatore?
Sì.
Dove lo hai collocato?
Nel garage che ho sotto casa, per cui facilmente posso recuperare le cose che mi servono e poi ne ho anche uno piccolo sopra il frigorifero.
Cosa ci congeli?
In genere congelo cose che sono in più o perché mi sono state regalate oppure perché le ho comprate. Se è una cosa che mi piace e vedo che è fresca allora la pulisco, l’asciugo per bene in un canovaccio e la sistemo nel congelatore e al momento giusto la prendo. Se non posso uscire, allora, utilizzo quel prodotto, quella verdura, perché in genere sono più le verdure che congelo: le cicorie, le “cicorielle”, che raccolgo quando vado in campagna; le melanzane, se sono in più; i peperoni freschi.
Congeli anche gli alimenti cotti?
Poco, perché preferisco cucinarli al momento, anche per la mia organizzazione. Soprattutto se si tratta di legumi, allora, preferisco cucinarli al momento. Rare volte l’ho fatto, ma solo se erano in più, ma di proposito farli e metterli nel congelatore, no.
Hai parlato di prodotti che raccogli in campagna, quindi hai della terra che coltivi?
Si abbiamo dei “giardini” vicini e altri terreni un poco più lontani e quando vado siccome è un posto pulito, vicino alla casetta, quello che riesco a trovare lo raccolgo. Sono le cicorielle e le biete, le bietole selvatiche e poi se c’è il finocchietto. Lo porto, perché diciamo che è una spezia che mi piace e la uso molto, la uso nei legumi e, infatti, l’aggiungo, soprattutto la parte quella verde, la “barbetta”, che è attaccata allo stelo del finocchio e che poi nei mesi autunnali ci darà i semi del finocchietto. Lo utilizzo nelle olive quando le preparo, per metterle nei barattoli da mettere sotto vuoto e utilizzo ancora questi semini se faccio i taralli fatti in casa con il finocchietto e poi a seconda delle varie situazioni. Della barbetta, invece, di solito metto alcuni rametti nella pasta, perché da un sapore particolare, un’ aroma diverso e nei legumi soprattutto nei fagioli, ma anche nelle lenticchie se non trovo l’alloro, perché per le lenticchie uso di più l’alloro e, invece, per il resto dove credo possa dare un sapore e un aroma diverso, allora lo metto. Lo metto, perché mi piace,perché so che è un buon digestivo e, infatti, facendo un infuso con pochi grammi risulta molto efficace e poi per me è il simbolo del ringiovanimento.
Questi prodotti li coltivi tu o li trovi in natura?
Coltivarli no, perché nascono spontaneamente e quindi li trovo nella campagna, perché so che là non sono stati usati pesticidi, è pulito, mi posso fidare, perché sono delle verdure che io posso consumare tranquillamente, senza avere dubbi e non sono neanche contaminate dal passaggio delle macchine, perché diciamo, la casetta, il posto dove le prendo, è collocato abbastanza lontano dalla strada, quindi non parliamo di smog, di inquinamento, però l’unico inquinamento può essere dovuto all’aria, alla stagionalità, alle condizioni atmosferiche, però inquinamenti di altro genere no.
Ci sono, invece, dei prodotti che coltivi tu o che coltiva qualcun’ altro della tua famiglia?
Io in particolare non ho il tempo e non ho la possibilità di fare l’orto, però lo fanno molti miei parenti, che portano avanti i nostri terreni, che li seguono. Loro a seconda della stagione continuano a farlo e coltivano soprattutto pomodori, melanzane, peperoni, zucca gialla, zucca verde, zucca lunga, prezzemolo, rosmarino, timo. Tutto questo loro lo coltivano e molte volte, spontaneamente me lo portano, perché sanno che a me fa piacere, che lo utilizzo. Il basilico, il basilico fresco anche coltivano e io d’estate lo utilizzo molto, per fare il pesto. Anche il basilico è una spezia molto profumata che mi piace. Mi piace il profumo, mi piace il sapore che da dove lo utilizzo, se lo utilizzo nel sugo, nella pasta con il pomodoro fresco “p’ fa’ duj rascatjedd” ( per fare due cavatelli), soprattutto d’estate, quindi, è una cosa che mi piace.
Cosa stai per preparare?
In questo momento dovrei fare duj’ scarpedd.
Ti servono per accompagnare il pranzo o per i prossimi giorni?
Mi servono per la cena di stasera e anche, se sono pronte, se riesco a prepararle, le assaggeremo a pranzo.
Questo alimento lo cucini spesso o solo in particolari circostanze?
Io lo faccio, in genere nel periodo natalizio, però se qualche volta mi viene richiesto dai miei lo ripeto oppure spontaneamente, se un giorno decido di farlo, mi alzo la mattina e anche con una piccola quantità, pur di farle assaggiare, di far contenti i miei lo faccio.
È un piatto legato alla tradizione?
Alla tradizione e alla devozione, perché secondo mia nonna, tutto quello che si faceva a Natale e che si preparava, era per lei per conservare la tradizione che le era stata trasmessa dalla mamma, che era una panettiera e lei ha seguito questo mestiere, perché avevano un forno e servivano il paese e quindi ho visto preparare tutte le specialità legate al pane, perché ero piccola e stavo con mia nonna, quindi lei lo faceva e io ho visto come lo faceva e poi lo distribuiva portando “un piccolo tumbagn sop’ a test” (una piccola spianatoia sopra la testa) e infatti lei si lamentava, diceva “ehi figghja mj tuccm tuccm vjr quand vuozz si so fatt sop a cap” (toccami toccami vedi quanti bernoccoli si sono creati sulla mia testa), questo dovuto a l’ tant cos che ho portato per servire le famiglie più importanti del paese”, che non facevano il pane e lei lo portava in queste case. C’era sempre per gli altri, c’era per il povero, c’era per chi passava in quel momento e dava loro, dava qualsiasi cosa, da un pezzo di focaccia liscia, a un pezzo di focaccia, a ‘iranator ( focaccia con pezzi di lardo e sugna), le cose più svariate che lei poteva preparare, secondo le risorse e le cose che aveva in quel periodo.
A quale tradizione è legata questa pietanza delle pettole?
L’scarpedd? Da noi si chiamano scarpedd, in altri posti della Lucania sono chiamati in modi diversi, però, a Montalbano le chiamiamo l’ scarpedd. Non lo so, lei diceva che lo faceva per la tradizione che le era stata trasmessa dai suoi e lo faceva per devozione, perché doveva nascere Gesù e questa devozione, per lei, era quella che siccome in un paese come Montalbano si iniziava qualche giorno prima del Natale, addirittura una settimana, ( a prepararle) e quindi non tutti facevano st’ scarpedd nello stesso giorno, lo facevano in giorni diversi e allora c’era la distribuzione. Loro non ne facevano poche, ne facevano come minimo due o tre “sport’” (ceste di vimini). Io ero piccola e mi ricordo che la nonna mi chiamava e diceva vieni, vieni, porta questo piattino alla signora Giuseppina, tornavo e mi dava un altro piatto da portare ad un’altra famiglia, ad un’ altra signora, sempre del vicinato, perché erano calde e le doveva fare assaggiare e poi soprattutto mi faceva portare qualcosa dove c’era stato un lutto in famiglia, perché là non si poteva far sentire “la puzza dell’olio”, diceva lei e allora era il modo per farle assaggiare e per far sentire la sua presenza e la sua vicinanza a questa famiglia.
Questa ricetta, che stai per preparare, è una ricetta tipica del tuo paese?
Sì, sì, è una ricetta tipica del mio paese e la sto facendo proprio come la faceva mia nonna e infatti lei preparava il giorno prima il lievito madre, preparava u’ luat discja jedd (il lievito madre diceva lei), “beh figghja mj preparam u’ luat” (figlia mia prepariamo il lievito madre) e questo luat, che diceva lei, veniva fatto con acqua, farina e conservava, lei, nei giorni precedenti un pizzico d’ luat e se non lo teneva mi mandava da una signora o andava lei a prenderlo e diceva “damm nu pizzic d’ luat” ( potresti darmi un po’ del tuo lievito madre?), per preparare questo lievito madre, che poi veniva usato il giorno dopo per fare qualsiasi cosa dal pane alle focacce e pure nel periodo natalizio, p’ l’ scarpedd.
L’hai preparato tu, quindi? Come lo hai preparato?
Io l’ho preparato ieri pomeriggio e quindi l’ho lasciato tutta la notte in questa coppa, un poco, non tanto, in base alla quantità che dovevo fare di queste scarpedd. Ora lo aggiungerò alla farina per preparare un impasto, che poi metterò a lievitare.
Cosa significa per te tipico, dato che abbiamo parlato di tipicità?
Per me tipica è questa farina, perché so che, ancora, c’è la possibilità di macinarla in qualche mulino nei pressi del nostro paese, con il grano che noi trebbiamo d’estate, allora si porta e si fanno secondo le esigenze, piccole quantità, che vengono consumate, mentre prima se ne portava di più, si faceva diciamo il mezzo quintale di farina, che poi veniva usata proprio per fare il pane nella famiglia, però dopo abbiamo eliminato questa usanza, invece, io ho imparato a prepararlo e infatti aiutavo mia madre e mia nonna a “trumbà” (impastare), “s’trumbà sop’ a spianatoia” e si preparava questo pane.
È un termine nuovo per te quello di tipico?
No, io l’ho sempre sentito da piccola. “Chess è na cos tipca du pajis nuostr, chess è na cos, che teniamo noi” (questa è una cosa tipica del nostro paese, questa è una cosa che produciamo noi).
Conosci qualcuno che prepara questa pietanza (l’ scarpedd), in modo diverso da come la prepari tu?
No, in genere cerchiamo di rispettare la tradizione, però ho sentito qualcuna delle mie colleghe che usa il lievito normale, il lievito di birra, ma invece di scioglierlo nell’acqua, lo scioglie nel latte, ha cambiato. Io no, non lo faccio, perché preferisco conservare la tradizione. Se lo devo fare è per provare, però in genere preferisco conservare quello che mi è stato trasmesso.
Da chi hai imparato a cucinare questa pietanza?
Dalla nonna e anche da mia madre, che l’ aiutava, anche se a lei non piaceva, però un po’, anche per ripiego, quando le toccava.
Tu la cucini in modo diverso da come te l’hanno insegnata?
Si senz’altro, perché non ho più il caminetto. Io per trent’anni, a casa di mia madre e ancora ho continuato per altri anni, perché ci andavo sempre e avevamo il caminetto in casa (la cucinavo in maniera tradizionale).
Cosa significa per te “originale”, visto che abbiamo parlato di originalità della ricetta?
Originale è qualche cosa che non è stata modificata. È originale una cosa che tu non vai a cambiare, non vai a modificare. Questo significa per me originale.
Della ricetta originale, hai cambiato solo il tipo di cottura o hai cambiato, anche, qualche ingrediente?
Allora, il lievito madre l’ho conservato, l’unico ingrediente che ho cambiato e che ora metterò è una bustina di purè, per non fare una patata lessa. Di solito mettevo una patata lessa, però sta volta non ho avuto molto tempo e allora mi è più facile fare così. È l’unica cosa che ho cambiato, per il resto userò il sale sciolto nell’acqua, che aggiungerò piano, piano, alla farina.
Qual’ è la cosa più importante per questa ricetta affinché risulti buona, secondo te?
Il lievito. Per me è importante il lievito e la lavorazione. La lavorazione, perché diciamo va lavorata in un certo modo. Non va fatta velocemente, però va fatta con i tempi dovuti e va fatta in maniera diversa da come vedo fare altre signore quando preparano anche la pizza. Io cerco di conservare il modo che mi è stato trasmesso, che mi è stato insegnato.
Puoi dirmi altre ricette tipiche del tuo paese?
Quello che io ho imparato erano rape e rascatjedd (rape e cavatelli), tagghjarjedd e cicr ( tagliolini con i caci), a lajanedd ( la lasagna), le quadratin’ p’ fa’ ‘u brod’ (quadretti di pasta in brobo), l’frzzul e l’orecchiett’. Queste sono le cose che si sono sempre fatte a casa mia.
Riguardo alla ricetta che stai preparando, quali ingredienti stai utilizzando o utilizzerai?
Allora la farina, l’acqua con il sale, il lievito madre e al posto della patata ho messo la bustina di purè e adesso la devo lavorare.
Come ti regoli sulle quantità?
Allora per ogni chilo di farina, secondo quanto mi è stato insegnato, metto un cucchiaio di sale, sciolto nell’acqua e per quanto riguarda il lievito su un chilo, io mi sono regolata e ho preparato trecento grammi di farina, ieri nel primo pomeriggio e quindi l’ho lasciato poi lievitare, tutta la notte e stamattina lo sto utilizzando.
Hai acquistato tutti gli ingredienti?
La farina si. Si tutte le cose, a parte l’acqua, perché utilizziamo quella del rubinetto, quella che scorre a casa nostra.
Nel tuo dialetto come si chiama il supporto su cui stai lavorando l’impasto?
U’ tumbagn’ (la spianatoia). A Montalbano si dice beh pigghj u tumbagn ch’amma fa duj rascatjedd (beh prendi la spianatoia, perché dobbiamo preparare un po’ di cavatelli), pigghj u tumbagn ch’amma fa na penn’ d’ lajanedd (prendi la spianatoia, perché dobbiamo preparare un piano di lasagna), pigghj u tumbagn ch’amma fa du taghhjarjedd p’ l’ cicr (prendi la spianatoia, perché dobbiamo preparare un po’ di tagliolini per i ceci). È così!
Come ti accorgi che l’impasto è pronto?
Quando incomincia a “scuccà” (scoppiettare), “quann a mass scocc” (quando l’impasto scoppietta), quando crea tipo delle bolle.
Una volta pronto l’impasto, deve riposare?
Sì, lo lascio riposare almeno un paio d’ore in una coppa, avvolto in una coperta. Metto la coperta oppure, anticamente, la nonna mia lo metteva in una tovaglia grande, quando loro facevano il pane e “u mttjern ‘nda sport’ ” (poggiavano l’impasto nella cesta di vimini). Mettevano tutto questo impasto nella tovaglia e poi ‘nda sport’, in un luogo caldo, dove non c’erano correnti e rimaneva a lievitare il tempo giusto, il tempo dovuto, quello che ci voleva.
Tu, invece, come lo metterai a riposare?
Io, ora, lo metterò in una coppa e poi in un plaid, una copertina di lana.
Per quanto tempo lo fai riposare?
Due ore.
Una volta pronto l’impasto, come lo utilizzi?
Una volta pronto devo prendere “a sartascn” (padella con un manico lungo), metterò l’olio e sul gas piano, piano, quando l’olio sarà pronto, ma non bruciato, non con il fumo, solamente caldo al punto giusto, metterò tre chicchi di sale grosso, quando vedo che fa le bollicine, l’olio è pronto e incomincerò a friggere, bagnandomi piano, piano, le mani in un po’ di acqua tiepida, perché l’impasto non si attacchi alle mani e friggerò “st’ scarpedd”.
L’impasto lo utilizzi solo per la frittura o lo utilizzi anche per altre preparazioni?
Allora, lo userò pe’ l’ scarpedd, poi, con un po’ di uva passa, che ho comprato, perché ora non ho tanto tempo, diciamo, per poterla preparare io, però mi ricordo che mia nonna quando era il periodo dell’uva, alla fine di agosto o agli inizi di settembre, i grappoli più belli, li attaccava ad un filo e ad un ferro e stavano tutti appesi questi grappoli e li lasciava curare piano, piano, lentamente, fin quando l’uva non si appassiva e allora quella che rimaneva più soda veniva messa a tavola per il cenone, veniva conservata, mentre gli altri chicchi, quelli che si erano appassiti “l’ mettja sop a na spas” (li collocava su di una spas, piano di vimini per l’essiccazione della frutta). Quando si rendeva conto che erano pronti li faceva a uno a uno, li metteva sop a spas e li lasciava ancora asciugare, poi dopo li prendeva, perché erano stati così, si erano potuti ricoprire di polvere e venivano lavati per bene, venivano tolti tutti i noccioli, infatti, io facevo questo lavoro, quello di togliere tutti i noccioli e poi prendevano un po’ di zucchero e li passavano dentro, perché poi avendo messo l’uva nell’acqua aveva perso un pochino di zucchero e venivano messi in questo impasto de l’scarpedd e non venivano fatti a carchi, ma venivano messi a pezzettini, se no l’uva passa usciva fuori, se tu allargavi l’impasto, però io il più delle volte riesco a farle anche tipo scarpedd, che ho visto che si poteva fare.
Queste scarpedd le stai preparando, perché, oggi, è un’occasione particolare?
Oggi è il cenone, quindi non devono mancare sulla tavola del cenone sia quelle salate e sia dolci, aggiungendo l’uva passa. Poi una parte di questo impasto lo utilizzerò per friggere il baccalà. Diluirò un poco l’impasto, lo allenterò, lo farò più lento, più liquido e verrà utilizzato per friggere il baccalà.
Quali sono le altre pietanze che preparerai per il cenone?
Allora, questa volta voglio fare le cose che facevano a casa mia, quindi farò gli spaghetti olio e aglio, con il peperoncino. Farò il baccalà fritto e in umido, con la cipolla, pomodoro, una foglia di alloro, due olive nere e solo questo perché, poi, anticamente, mi diceva mia nonna che non avevano tutti la possibilità o potevano permettersi questo baccalà anche perché arrivava dal mare e solo poche famiglie, quelle che avevano i soldi, potevano farlo e allora quel poco che compravano, che prendevano cercavano di utilizzarlo in molti modi. Se qualcuno non aveva niente facevano l’acqua sale al baccalà. Allora, una volta che l’avevano messo a bagno o lo avevano comprato già pronto, facevano tanti pezzettini, mettevano l’olio “n’da na cazzarol” (casseruola con due manici), poi aggiungevano la cipolla e la facevano rosolare per bene, poi ci aggiungevano una foglia di prezzemolo, due pomodorini e un po’ di acqua, poi ci versavano il baccalà ed era importante, siccome tenevano il caminetto, diceva mia nonna, prendere un pezzo di pane, arrostirlo e metterne una fetta per ogni piatto, su cui poi versavano l’acqua sale al baccalà. Chi poteva farne di più lo faceva fritto, perché aveva l’olio, ma chi non aveva l’olio, purtroppo, doveva accontentarsi di una ricetta un po’ diversa e poi alcuni utilizzavano le patate, perché il baccalà era poco e allora diciamo nella preparazione, se era quello con la cipolla, al baccalà, per farlo aumentare, aggiungevano pezzettini di patate oppure facevano tipo “a tortier” (la tortiera), affettavano le patate, anche perché loro le mettevano in campagna, quindi le patate ce n’erano di più, mentre il baccalà lo dovevano comprare e non era facile che tutti quanti potessero avere questa possibilità e allora aggiungevano altri ingredienti per soddisfare le esigenze soprattutto se era una famiglia numerosa.
Non tutti, quindi, preparavano le stesse pietanze per il Cenone?
No, no, non era possibile. Mia nonna diceva che dovevano essere nove cose, però le famiglie povere non contavano gli alimenti, contavano anche l’olio, il sale, l’ scarpedd o perché gli erano state regalate o perché l’avevano fatte loro, poi il baccalà chi poteva fritto, il baccalà in umido, il baccalà con la cipolla, vari tipi a seconda di quello che potevano fare, poi, contavano, diciamo, il finocchio. Facevano la rosa bianca, la lessavano o facevano il cavolo nero oppure i cappucci sfritti e non dovevano mancare, diceva lei, le noci. Le noci per loro erano qualcosa di sacro, quindi ci dovevano essere, per forza, sulla tavola, il giorno del Cenone e un’altra cosa, ma erano sempre cose che loro avevano conservato,erano le melagrane, che le appendevano ad un filo. Per quanto riguarda le mele loro le conservavano, diceva, nella paglia e in ogni casa c’era “u’ ndumbiat” (il soppalco), che serviva per due usi. Nella parte vuota, diciamo, d’estate quando si trebbiava mettevano il grano, mentre sopra che c’era una specie di tavola, ad un angolo, mettevano la paglia e sulla paglia poggiavano queste mele e quindi per Natale loro tenevano le mele, poi, se qualcuno non aveva proprio niente, se veniva regalata una cassetta di arance, diceva mia nonna che prendevano una coperta, la mettevano sotto il letto e le poggiavano ad una ad una vicine, queste arance, per farle mantenere prima che arrivasse il freddo, perché si conservavano fino a Giugno. “Sop’ u cannizz” (un piano di canne), poi, una cosa che facevano erano i fichi secchi, quindi al cenone di Natale, c’erano pure i fichi, che non mancavano, le mandorle, perché avevano qualche albero in campagna e poi loro facevano le varie preparazioni con i fichi e le mandorle.
Dato che non tutti avevano gli stessi alimenti per il Cenone, si scambiavano qualche alimento?
Si, c’era l’abitudine di dare, di dare molto, soprattutto da parte di coloro che avevano, perché la campagna produceva, produceva molto e quindi c’era questo scambio sia tra le famiglie che nel parentado, tra di loro se lo facevano, ma se lo facevano anche con gli amici e davano soprattutto a chi non aveva niente, ai poveretti.
Questo scambio si faceva, anche, per mantenere un rapporto di vicinato o solo tra parenti?
Nei paesi erano tutti “cumbar” (compari) e amisc, quindi si conoscevano tutti, perché, poi, la popolazione non era tanta, erano un numero tale per cui tutti si conoscevano.
Come si chiama lo strumento di metallo che hai usato per sollevare la massa?
A rasol (la spatola per raschiare via la massa dalla spianatoia), questa mi serve se no come faccio. A rasol, questa veniva utilizzata.
La consistenza dell’impasto, come risulterà alla fine della lavorazione?
Morbido, morbido e come senti il rumore delle mie mani che scattn, così è la massa, “adda scattà ‘nda l’ man” (deve scoppiettare sotto le mani che la lavorano).
Questo secondo te è fondamentale per il risultato finale?
Sì, sì, perché è un modo diverso di preparazione, non va fatta subito, subito e messa a riposare, ma ha bisogno di questa preparazione particolare.
Per quanto tempo la lavori in questo modo?
Mi regolo, me ne accorgo quando è pronta.
Cosa stai utilizzando per impastarla con questa preparazione?
Solo l’acqua ora, l’acqua e la lavoro con le mani. Sotto devo aggiungere sempre l’acqua.
Secondo te, cosa significa “tradizionale”?
Tradizionale è qualcosa che portato nel tempo si conserva. Non può essere tradizionale una cosa che tu vai a comprare e che è surgelata. Tradizionale, proprio, perché, anche se sono passati tanti anni, tanti mesi, addirittura qualche secolo, ancora c’è qualcuno che ha, diciamo, la buona volontà, la capacità di conservare questa tradizione.
Per te, quindi, la tradizione è solo qualcosa che deve essere trasmesso agli altri?
Sì, sì. Diciamo, è tradizione quello che viene trasmesso, quello che viene ricordato, la memoria di tutto quello che tanti anni fa i nostri nonni, i nostri bisnonni hanno fatto e che a qualcuno è stato trasmesso così bene, che ancora qualcuno ci crede in quei valori, in quelle cose e conserva questa tradizione, perché in molte famiglie è sparita (questa tradizione di preparare le scarpedd in casa) e, infatti, ci sono molte persone che amano comprare, vanno al forno, comprano le cose. ma non le fanno più loro. Non le fanno, perché non le sanno fare; non le fanno, perché non le hanno conosciute; non le fanno, perché si stancano e amano le cose già pronte.
La trasmissione delle tradizioni, secondo te, avviene solo oralmente
No, per me è importante vedere, perché se tu non vedi, non fai, non puoi ricordare. È importante, allora, vedere, fare, conservare e ripetere.
Ti hanno lasciato qualcosa di scritto nella tua famiglia, per trasmetterti le tradizioni nell’ambito della cucina?
No, no, di scritto no, so, perché ho visto e ho fatto. Io non ho niente di scritto, cioè ora scrivo, per non dimenticare e per far conoscere a qualcuno dei miei, che apprezza certamente queste cose.
Cosa significa, per te, “locale”?
Locale, del posto, al massimo come lontananza cinquanta chilometri, quindici chilometri, trenta chilometri, non di più. Non può essere locale una cosa che rispetto al nostro paese viene da Potenza o da un altro posto. Sarà anche buona da apprezzare, per la genuinità, per il modo in cui sono stati coltivati, però per me locale è tutto quello che si produce sul posto.
Cosa significa, per te, “naturale”?
Naturale, può essere qualcosa che è nata spontaneamente, ma può essere naturale, anche, qualcosa che viene coltivato ancora in una certa maniera.
Cosa significa “genuino”?
È qualcosa che ti fa ricordare, così buono, che non è stato modificato geneticamente o con tutte le cose che ci sono ora, con la chimica, con la sperimentazione. È qualcosa che è stato conservato nel tempo, addirittura dalle piante, ai semi. Tutto quello che ancora ci fa ricordare i vecchi sapori, le vecchie tradizioni.
Secondo te, quindi c’è stata una modificazione dei prodotti nel tempo?
Per me sì. Sì, infatti ci stanno le zucche ad ombrellino. Ci sono delle cose che sicuramente prima non esistevano, c’erano quelle e basta, invece, ora, avendole modificate, anche i semi, ci danno delle qualità diverse: zucchine striate, zucchine con forme particolari, perché i semi sono comunque diversi, non conservano sicuramente quelli di cento anni fa, cinquant’anni fa, assolutamente.
Il cambiamento è avvenuto solo nella coltivazione o anche nella conservazione?
Secondo me è avvenuto sia nella produzione, nella conservazione, un po’ in tutte le cose. Questo cambiamento si vede, si nota e anche nel modo di rapportarsi con le persone che non hanno conosciuto né i sapori né la trasmissione delle tradizioni, della tipicità, del locale dei vari prodotti.
C’è un cambiamento, anche, nel gusto secondo te?
Sì, sì.
È il gusto che cambia, secondo te o sono i sapori dei prodotti?
I sapori cambiano e quindi cambiando i sapori, tu non ricordi i gusti di una volta, perché comunque sono diversi. Le cose “so cchiu sciapit” (sono più insipidi).
Cosa intendi per “sciapit’”?
Che non ha sapore, no ha niente, sembra una cosa artefatta, una cosa che non porta da nessuna parte, a mio avviso.
Secondo te, quali sono i modi migliori per conservare un alimento?
Allora per quanto riguarda le cose che io conservo e che cerco di fare, soprattutto l’estate, come melanzane, peperoni, le conservo nei barattoli, sempre in una maniera genuina con sale o aceto. Vengono bolliti, rimangano per più ore nel sale, a seconda della preparazione che io devo fare e, poi, vengono messi nei barattoli e coperti con l’olio. Se si tratta delle olive, le conservo nei modi più svariati, se si tratta delle olive nere, ad esempio, prima vengono trattate con il sale, poi, dopo i giorni che sono necessari, perché si possano mangiare, vengono lavate, asciugate e messe pure “sopa na spas’” [spas’: piano di vimini per l’essicazione della frutta], che io ancora conservo, perché ce l’ho queste cose di mia madre oppure nelle cassettine vuote e vengono messe ad asciugare e poi io preparo qualche bustina da mettere nel congelatore, per farle mantenere di più.
Questi metodi di conservazione li usi solo tu?
No, li usavano anche mia madre e mia nonna. Io non faccio tutto quello che potevano fare loro, perche ora tu trovi i prodotti in tutti i mesi, anche se non sono di stagione, mentre anticamente, mi ricordo che loro facevano l’orto estivo e l’orto invernale, allora quando arrivava il mese di settembre, non toglievano subito, per esempio i peperoni, le melanzane, i pomodori, per mettere le rape, le cicorie o altre verdure come i finocchi, ma lasciavano quell’orto estivo ancora fino a quando non arrivava la neve o il freddo, per cui raccoglievano sempre, anche nel periodo di Natale l’ cimarul, l’puntarul d’ l’ piparul (tipi di peperoni piccoli, gli ultimi nati nella stagione autunnale), le melanzane e anche se erano più piccole, arrivavano fino a Natale, qualche pomodoro e solamente con il freddo, diciamo, non c’era più produzione, però cercavano di recuperare al massimo fino all’inizio dell’inverno. Quando, poi, arrivava il freddo forte le piante si bruciavano e non producevano più. Anticamente, siccome non tutti avevano i frigoriferi e avendo la possibilità di avere fino a Natale questi prodotti, prendevano le melanzane, diceva mia nonna, le affettavano, prendevano un filo con l’ago, un filo bianco e mettevano una fetta accanto all’altra, poi le appendevano e le facevano asciugare al sole, queste fette, che poi utilizzavano durante l’inverno, le lavavano e poi le facevano con la cipolla, con il pomodoro. Aggiungevano, per dare un po’ di sapore: formaggio, uova e cercavano di mangiare, perché non è che avevano molte cose a disposizione o tenevano frigoriferi e congelatori, allora dovevano cercare di inventare e di attrezzarsi in maniera diversa rispetto a noi.
Oltre alle olive essiccate sotto sale e nell’acqua, cos’altro prepari come conserva?
Allora, d’estate: la salsa; i barattoli dei pomodori, con i pomodori così normali, solo spaccati e messi nei barattoli; i pomodori piccoli; i pomodori pelati. Faccio tutte queste conserve. Le faccio ancora, anche se non sono, poi, per le quantità che facciamo, eccessive, anche perché io l’orto non lo faccio, ma cerco di comprare da un venditore, da un paesano, che io conosco e di cui mi posso fidare, almeno per il 70-80%, per avere una garanzia in più, rispetto alle aziende che usano grossi quantitativi di pomodori e che sono più soggetti a trattamenti.
Prepari anche confetture o delle conserve di frutta?
Si, soprattutto confetture. Di marmellate, soprattutto quella di arance, perché diciamo ci vuole molto tempo, infatti, il più delle volte io non uso la pectina, le bustine quelle confezionate, ma aggiungo ad ogni chilo di albicocche, di pesche, due mele, le mele fatte a pezzettini e cerco di sostituirle alla pectina e di conservare la frutta come faceva mia nonna, che metteva le mele per addensare.
Beh! Mi sembra proprio fatta. È il momento di metterla a riposare.
Cosa stai preparando?
Sto preparando nella pignatta, il baccalà con la cipolla, il pomodoro e una foglia di prezzemolo. Una volta che ho fatto imbiondire nell’olio la cipolla, ci aggiungerò il pomodoro, insieme ad una foglia di prezzemolo, in più stavolta rispetto alla ricetta tradizionale voglio aggiungere due olive nere con qualche foglia di alloro, che mi piace sia come aroma che come profumo.
Per quale occasione lo stai preparando?
Lo sto preparando per il cenone di stasera, insieme a due patate fatte a tocchetti, che dopo andrò a condire con un po’ di peperoncino, con uno spicchio d’aglio fatto a pezzettini e con un po’di prezzemolo.
Sono piatti della tradizione che si preparavano anche quando tu eri giovane?
Sì, si facevano, diceva sempre mia nonna, perché dovevano contare, durante il cenone, nove cose e non tutti avevano la possibilità di avere baccalà, pesce, cioè le cose che ci sono ora e allora inserivano anche le patate, inserivano “u cappucc’ sfritt”, inserivano la rosa bianca e i peperoni, quelli cruschi e poi facevano i peperoni fritti e i peperoni arrostiti, perché ancora loro riuscivano a recuperarli nell’orto estivo, che avevano fatto, perché lo portavano fino all’inizio dell’inverno, fino a quando non arrivava il freddo per cui riuscivano a recuperare l’cimarul, l’puntarul (vedi sopra), che erano i peperoni, qualche piccola melanzana ed altre cose.
Cucini questi alimenti in modo diverso rispetto alla tradizione?
Solo nel baccalà ho detto che aggiungerò le olive nere e l’alloro, mentre per il resto no, erano le cose che venivano fatte così, con il peperoncino e con l’aglio a pezzettini e un po’ di prezzemolo.
Conosci qualcuno che cucina questi alimenti in modo diverso da come li cucini tu?
Qualcuno al posto delle patate fatte così con il peperoncino o perché non gli piacciono o perché non le può mangiare fa le patate a purè, perché ama cambiare, ma nella tradizione venivano fatte proprio in questo modo.
Da chi hai imparato a preparare questi alimenti?
La maggior parte delle cose le ho imparate dalla nonna, perché mia madre faceva ben poco. Non amava tanto fare queste cose, per cui io stando di più con mia nonna ho imparato a fare la maggior parte delle cose, perché le ho viste fare e quindi insieme a lei … , guardando, più che facendo io. La memoria mi porta a questi ricordi, che per me sono importanti, mi piace rifare e quindi mi piace anche tramandarle in famiglia.
Qual è la cosa più importante da fare per la buona riuscita di queste ricette?
Conservare i sapori, i profumi, gli aromi, le cose che mi fanno ricordare il passato.
Come mai hai scelto questo tipo di pentola per la cottura di questa pietanza?
Perché mi ricorda quella che usava mia nonna, un po’ diversa, un po’ più bassa, che noi ancora teniamo conservata e dove lei faceva di solito delle minestre particolari, i legumi o il brodo, che venivano fatti vicino al fuoco. “Iusà u pignatjedd” (usava una piccola pignatta, un’ anfora di terracotta con due manici) e che sono questi dal più grande al più piccolo, a seconda delle cose che dovevano cucinare. La maggior parte delle cose che venivano cucinate vicino al fuoco erano legumi, però facevano anche le cose del maiale, il brodo con gli avanzi del maiale, che venivano messi in salamoia “ ‘ndu vasett” (un vaso di terracotta), sotto sale “a ‘ncantarat s’chiamàie” e loro poi facevano con questi pezzi, che poi erano solo, più che carne erano appena, appena, qualche filo di carne che si vedeva, erano gli ossi e facevano questo brodo un po’ particolare, perché diciamo non è che potevano permettersi il lusso di comprare altre cose, anche se poi avendo la campagna usavano anche i polli, i conigli.
La cottura era sul fuoco?
Sì, sì, la maggior parte della cottura veniva fatta sempre sul fuoco o “ ‘nda cazzarol” (nella casseruola con due manici) o “ ‘nda sartascn” (nella padella con un manico), a seconda di quello che dovevano preparare o “ ‘nda pignat” ( nell’anfora di coccio grande) o “ ‘ndu pignatjedd” (nell’ anfora di coccio piccola).
Cucini spesso questi alimenti che stai preparando?
Il baccalà si, spesso lo faccio, perché è una cosa che piace in famiglia e di tanto in tanto, anche se non siamo nel periodo natalizio, siccome arriva al mercatino, al mercato grande o nei negozi, io riesco a prenderlo e quindi lo cucino.
Non lo cucini, quindi, solo in occasioni particolari come quella di oggi?
No, lo faccio in maniera diversa. Posso farlo al forno o posso farlo allo stesso modo, però anche in periodi diversi da quello natalizio.
Lo leghi ad una dieta?
No, lo faccio perché ci piace.
Tutti gli ingredienti che hai usato li hai comprati?
No i pomodori no, perché li ho fatti io questa estate e poi li ho messi sotto vuoto. Sono stati bolliti nella caldaia “ ‘nda caurar”, che ancora io tengo, perché la usava mia madre e quindi queste provviste io continuo a farle sia che siano la salsa, i “boccacci” ( i pomodori tagliati e metà e inseriti nei barattoli), i pomodori pelati, i pomodorini, tutte queste cose.
Gli altri alimenti che stai utilizzando, invece, li hai acquistati?
La rosa bianca si dal fruttivendolo, le patate al supermercato e il baccalà al mercato, però, l’ho messo io a bagno, ho fatto io un procedimento. L’ho tenuto per quattro o cinque giorni nell’acqua, in una coppa nel frigorifero, fino a quando ha perduto tutto il sale, cambiando due volte al giorno l’acqua, la mattina e la sera.
Acquisti spesso questi prodotti?
Se mi piace, li prendo, il baccalà, le patate.
Ti capita di riceverli in dono?
L’unica cosa, le verdure di più, ma per il resto no. Il baccalà non mi viene regalato lo devo comprare io.
Per quanto riguarda la preparazione del baccalà, vedo che hai lasciato la pelle?
Perché per questa ricetta veniva lasciata la pelle del baccalà, mentre per fare quello fritto, l’ho tolta tutta, l’ho fatto a tocchetti e dopo andranno in questa pastella, che è sempre ricavata dall’impasto delle scarpedd, un po’ diluito con l’acqua e che poi andrò a friggere.
Cosa stai preparando?
Sto preparando i peperoni cruschi.
Anche i peperoni cruschi fanno parte della tradizione del cenone?
Sì, sì.
Questi peperoni da dove vengono?
Questi veramente mi sono stati regalati da un mio cugino, che fa l’orto in campagna e me li ha portati. Allora io li ho appesi durante l’estate, li ho lasciati nel garage in un luogo fresco e asciutto e li ho fatti curare.
Li hai essiccati tu, quindi?
Sì, sì.
Li cucini spesso?
Si perché da noi si usano, soprattutto, quando faccio le rape “p’ l’ rascatjedd” (con i cavatelli) o con le orecchiette, allora mi piacciono, come contorno per questo piatto.
In quali altri modi si possono preparare oltre che fritti?
Allora oltre che farli così, di solito mi piace allargarli, controllarli per bene, poi, preparo l’uovo sbattuto, il pane grattugiato e li cucino come se fossero delle cotolette di peperoni ed è un modo diverso. Altrimenti li faccio a pezzettini, li lavo e con un filo di olio, un goccino di acqua, un po’ di sale, li faccio cuocere, metto anche il prezzemolo e poi ci aggiungo solamente il formaggio e l’uovo sbattuto, mi piace pure così e se c’è qualche pomodorino di quelli secchi lo metto insieme ai peperoni, in questa ricetta.
La cottura per i peperoni cruschi deve essere abbastanza veloce?
Deve essere velocissima, altrimenti rischiano di bruciarsi, perché non ti da il tempo, l’olio diventa bollente e sono delicati per cui o li fai subito o niente. Di solito, anticamente, la nonna mi diceva che andavano anche cucinati in giornate particolari, quando c’era il vento di tramontana, perché se era scirocco, rimanevano umidi e non si sentiva quel trick track, che è tipico del peperone crusco.
Hai intenzione di friggere anche altre cose per il cenone?
Si, ora sto facendo i peperoni verdi e anche questi mi sono stati regalati, però avendoli messi nel congelatore, ora senti scoppiettare l’olio, proprio per questo motivo.
Cosa stai preparando?
L’ scarpedd. Essendo lievitata la massa, al punto giusto, ora le sto friggendo, nell’olio.
L’olio che usi per la frittura lo hai comprato?
No, veramente è di mia produzione, in quanto avendo alcuni oliveti, di solito, lo facciamo noi. Lo faccio io, per la mia famiglia.
Quindi è olio d’oliva, perché utilizzi l’olio d’oliva per friggere?
Si è olio d’oliva. Veramente lo utilizzo, perché il sapore è completamente diverso e lo uso, veramente, per tutte le fritture. A parte che per l’ scarpedd lo uso anche per la frittura di pesce, per le zucchine, per le melanzane, qualsiasi cosa anche, perché, noi lo teniamo e allora lo preferisco agli altri oli, anche se possono sembrare più leggeri o diversi.
Anche quando eri giovane si usava l’olio d’oliva, per friggere?
A casa mia abbiamo sempre usato l’olio d’oliva, l’olio di semi lo uso per qualche dolce, qualche volta se è richiesto nella ricetta, ma per le fritture prettamente preferisco l’olio d’oliva.
Come capisci che l’olio è pronto per friggere?
Veramente, sempre per un’antica tradizione, mi è stata trasmesso di mettere tre pezzettini di sale, quello grosso e nel momento in cui li vedo friggere, l’olio è pronto e posso proseguire.
Come si chiama la pentola in cui stai friggendo?
A sartasc’n’.
Perché preferisci friggere in questo tipo di pentola?
Perché, anticamente, l’scarpedd si friggevano sul fuoco, nella sartascn, solo che non era certamente come questa di rama latta, ma quella era proprio adatta, specifica per fare l’scarpedd e poi bisognava avere, diceva sempre mia nonna, il fuoco sempre bello allegro, allegro, sott’ a sartascn e diciamo la legna che veniva bruciata eran l’ tjerr (legnetti sottili e secchi che sembrano i rami della vite), che venivano presi apposta, perché erano più sottili e tenevano sempre la fiamma al punto giusto, per poter avere una buona riuscita del prodotto.
Secondo te il tipo di pentola che usi, cambia il sapore del prodotto finale?
È quella giusta e senz’altro sì. Sicuramente sì.
E il tipo di cottura che scegli?
Sì, per me, sì. L’ho sempre fatto in questo modo, per me va bene e continuo a farlo.
Secondo te, dato che hai assaggiato l’scarpedd cotte sul fuoco, il sapore di questo alimento è diverso se cucinato sul gas?
Sì è molto, ma molto diverso. A parte il fatto che essendoci una fiamma , vivace e allegra, vengono più rosse, vengono completamente diverse. Queste, nonostante penso che l’olio sia al punto giusto, non riescono ad avere la doratura del prodotto, che si riesce ad avere sul fuoco.
Ma il sapore di questo prodotto, secondo te, è cambiato solo a causa del diverso tipo di cottura o è cambiato, anche, il tuo modo di assaporare i cibi?
Facendoli in una maniera diversa, anche il sapore non è quello dei miei ricordi di infanzia, lo trovo alquanto diverso.
È possibile che questo dipenda anche da un cambiamento dei prodotti che usi per preparare l’alimento da friggere?
Un po’ sì, ad iniziare dalle farine, che non sempre sono quelle garantite, se non provengono dal grano genuino, di un terreno di tua conoscenza in cui è stato coltivato. La farina, la cottura, l’olio, se non sono quelli giusti, non si riesce ad avere una buona riuscita del prodotto che stai preparando.
Come capisci che l’scarpedd sono pronte per essere tolte dall’olio?
Quando sono dorate. Devono essere dorate, però essendo molto lenta la fiamma del gas, anche se è il fornello quello più grande, perché non è quella del fuoco, non vengono proprio rosse e sono anche costretta a girarle più volte rispetto a come si faceva prima, quando bastava girarle una sola volta e il fuoco riusciva a tenere la temperatura dell’olio sempre giusta, invece, qui sul gas si abbassa.
Come si chiama l’attrezzo che usi per togliere l’scarpedd pronte dall’olio?
Questo era, proprio una cosa che usavano a casa mia e che io mi sono portata ora da me ed è a fricigghjedd’, che serve proprio per prendere l’ scarpedd.
Lo trovi più comodo rispetto ad uno strumento moderno?
Sì, per me è più comodo. Sì, sì, mi trovo benissimo. É da anni che la uso, per cui va bene così.
Come riesci a dare la forma all’impasto da friggere? In cosa ti bagni le mani?
Allora, mi bagno le mani nell’acqua e poi prendo un pezzetto di massa e cerco di allargarla piano, piano, con le dita e poi la immergo nell’olio bollente. L’acqua permette che l’impasto non si attacchi alle dita. Non bagnandomi le mani, l’impasto mi rimarrebbe incollato alle dita e rischierei di scottarmi.
Anche prima si preparavano in questo modo?
Sì lo facevano così, tenevano vicino al fuoco una coppetta, sempre pronta, con l’acqua e ogni volta che prendevano un pezzettino di massa, bagnavano le mani.
Friggerai qualche altro alimento, dopo aver preparato l’scarpedd?
Si, prima passerò a friggere l’scarpedd con l’uva passa, ottenute aggiungendo allo stesso impasto l’uva. L’uva essendo dolce dava la possibilità di creare proprio un dolce, che veniva aggiunto agli altri che si preparavano per il cenone, durante i giorni che precedevano il Natale, l’arrivo della nascita di Gesù.
Quali erano gli altri dolci che si preparavano?
Allora, a Montalbano si usavano fare le “incartellate” ( pastafrolla arricciata, da un lato, a cui si dava una forma circolare dopo averla allungata, resa sottile e tagliata a striscioline con un attrezzo, che ha in cima una rotella girevole dentellata e che venivano fritte e poi ricoperte di zucchero a velo, di vin santo o di decotto di fichi ) e l’ “cauznjedd” ( panzerotti dolci di pasta morbida, ripieni di ceci, cioccolato e cannella o altri aromi, che venivano, poi, fritti).
Ci sono sempre stati questi dolci, anche quando eri bambina?
Sè, sè, sè, io me li ricordo. L’ “cauznjedd”, che venivano riempiti con un impasto a base di ceci, a cui si aggiungeva un poco di cioccolato, di cacao e i vari profumi, la scorza del limone, la scorza del mandarino e, se c’era, un po’ di liquore: l’anice o qualche altro liquore che si preferiva.
Tu hai preparato qualcuno di questi dolci o ne hai preparati altri?
Veramente quest’anno non ho avuto la possibilità di preparare quelli tradizionali, però ho preparato dei dolcetti che piacciono ai miei familiari, come dei dolcetti con le mandorle, dei sempre freschi con l’uva passa e altre cose che non riguardano la tradizione, perché mi è mancato proprio il tempo materiale per dedicarmi alla realizzazione di questi prodotti, tipici di Montalbano.
Oltre alle scarpedd e alle scarpedd con l’uva passa quale altro alimento friggerai?
Il baccalà nella pastella, fatta sempre dalla massa d’ l’ scarpedd e poi farò i “lmbasciun” (le cipolline selvatiche).
Le cuocerai tutte nello stesso olio?
Sì, si possono fare nello stesso olio, perché siccome veniva messo abbondantemente, ti dava la possibilità di friggere più alimenti, però, seguendo un certo iter, cioè prima l’scarpedd, poi l’scarpedd con l’uva passa, poi il baccalà e se era il caso, che uno riteneva, poteva friggere qualche altra cosa, forse non è corretto, però questa era la tradizione. Prima si faceva così, anche perché non avevano tanto olio a disposizione e quindi utilizzavano lo stesso. Ora si invita a cambiare, per ogni prodotto, l’olio, però essendo che rimane pulito si può fare.
Il fatto di friggere alimenti diversi nello stesso olio, secondo te, altera il sapore dei prodotti finali? C’è una contaminazione di sapori?
No, perché l’olio rimane pulito, non penso che ci possa essere una contaminazione, perché rimane abbastanza pulito, trasparente e, infatti, se ti avvicini puoi vedere come l’olio rimane pulito, trasparente e non ha di queste problematiche, non subisce variazioni notevoli.
Cosa stai preparando?
Veramente sto preparando gli spaghetti olio e aglio, che era proprio la classica ricetta tradizionale che si faceva la sera del cenone della vigilia di Natale, tanti e tanti anni fa e io la sto riproponendo.
Come si dice nel dialetto montalbanese che la pasta è scotta? Esiste un termine per dire che la pasta è troppo cotta?
Si esiste un termine, ma in questo momento mi sta sfuggendo. “Spappulat”. Si credo che il termine sia “spappulat”.
È quando, invece, la pasta è cruda?
No, non si usa molto il termine crudo per la pasta, perché secondo me loro usavano molto la pasta fatta in casa, dato che non esisteva la pasta confezionata e appena messa la pasta fresca faceva subito “u vugghj”, il bollore, per cui il termine crudo, secondo me, non c’era. Non mi ricordo di averlo sentito molto.
Esiste un termine per dire troppo brodoso?
Schuttulend. Sì, sì, questo me lo ricordo, perché quando un piatto era troppo brodoso loro dicevano: “Eh! A fatt tropp schuttulend”.
Se, invece era troppo asciutta una pietanza?
Troppo asciutta: è jars.
Come viene definita una pietanza con troppo olio?
Precisamente non me lo ricordo, penso che ci siano più espressioni come “navighiamo nell’olio”, “ci facciamo un bagno nell’olio”. Preciso, preciso, no
Il video mostra la preparazione della ricetta, mentre l’intervista verte sul cibo delle feste a Montescaglioso.
Read morePasta con il vincotto proveniente da Irsina (Matera) preparata da Irene Mavillonio e residente a Irsina (MT). Intervistata ad Irsina il 22 maggio 2014 da Romilda Centola.
Intervista a Irene Mavillonio
Ciao Irene, cosa ci prepari oggi?
A past pu mr’cutt
In italiano?
La pasta col vinocotto
Che ci vuole per fare questo piatto?
Allora, ci vuole il pane vecchio di tre, quattro giorni, significa pane raffermo. Si taglia una pagnotta di pane, si toglie la mollica da dentro….
è un piatto tipico questo?
Sì, tipico di Irsina
Che significa piatto tipico?
Locale…
è fatto solo ad Irsina oppure è cucinato anche in altri luoghi?
Mah, io dico solo ad Irsina
Quindi il pane non è fresco?
No… di tre, quattro giorni
E perché deve essere vecchio?
Per grattugiare la mollica, sennò quando è fresca non si può grattugiare
Che pasta viene utilizzata per fare questo piatto?
Si chiamano…”a lag’na recc” diciamo noi… è una pasta riccia; sulla carta c’è scritto Mafelline (Mafaldine)… a lag’na recc in dialetto
e qui abbiamo anche il vino cotto? Questo l’hai comprato o ce l’avevi già?
Me l’hanno regalato
è fatto a mano? (frase dialettale per dire “fatto in casa”)
Si… si fa col mosto dell’uva e si fa coi fichi
e questo com’è fatto?
Questo è fatto di fichi
Più o meno come si prepara il vino cotto?
Si cucinano i fichi, quando so’ ben cotti si mettono in una pressa e si fa scendere a poco a poco il liquido (il succo), poi si rimette sul fuoco e si fa consumare fino a quando diventa come una marmellata. E così è il procedimento di quello del vino.
da chi hai imparato a cucinare questo piatto?
da mia madre; si faceva da tanti anni…io c’ho settant’ anni e l’ho visto fare da mia madre che ero piccola
quando hai cucinato per la prima volta?
beh cucinato dopo sposata perchè prima era tutto mia madre che faceva in casa.
quindi hai cucinato per gioco o perchè sei stata costretta?
costretta….perchè quando c’hai la famiglia…
è importante saper cucinare?
si, si si
tu ti ritieni brava?
insomma…la sufficiente (sufficienza)…non tanto
Adesso bisogna “grattare” la mollica, si toglie tutta la mollica da dentro…ecco vedi, così…poi con questo pane se si fa duro noi facciamo il “pane cotto”
come si fa il “pane cotto”? Anche questo è un piatto locale?
no locale no, però penso d’ a (della) regione; ehm…si fa in due modi, si fa con le rape e si fa con le patate, cipolla, cicorie tutti insieme…si cucinano tutti questi ingredienti, poi si fa il pane a pezzettini, si mette dentro, si gira ed fatto. Non si butta niente. Ecco adesso grattugiamo la mollica
secondo te cucinare è un obbligo?
Obbligo… se c’è la famiglia sì
decidi tu cosa cucinare oppure tuo marito per esempio ti richiede dei piatti in particolare?
no, no decido io…si cambia ogni giorno
qual’è il tuo piatto preferito? Che ti piace cucinare di più?
tutto
non c’è nessun piatto che magari preferisci?
la pasta al forno…”il Timballo” (espressione dialettale “u tumben)
è impegnativa?
è un po impegnativa
Allora la mollica è già grattugiata; adesso abbiamo messo a friggere l’olio e dobbiamo friggere la mollica
quanto tempo ci impiega più o meno?
una decina di minuti…quando diventa bella dorata è già fatta (è già pronta)
non abbiamo detto una cosa importante ovvero quando si cucina questo piatto?
Il giorno delle palme
e perchè proprio il giorno delle palme? C’è un motivo?
il motivo non lo so…l’ho visto fare a mia madre, ma il motivo non lo so….Tante volte si gira fino a quando diventa bella dorata
Quanto tempo impieghi per la cucina più o meno in un giorno?
dipende dalle pietanze che si fanno. Un paio d’ore..preparo di mezzogiorno poi preparo qualcosa per la sera, così la sera per la cena è già tutto apposto
cosa prepari di solito per la cena?
per la cena verdure o qualche bistecca di carne, qualche volta i legumi…insomma dipende
è cambiata l’alimentazione nel tempo? Prima si cucinava in modo diverso?
si..c’erano cose più genuine
per esempio?
in casa mia mio padre faceva l’agricoltore e c’avevamo tutto, c’avevamo i legumi, i maiali, galline, le uova….c’avevamo tutto che facevamo in casa…facevamo la “salciccia”, la pancetta, si consumava il lardo…tutto, non si buttava niente, non si comprava quasi niente
chi ti aiuta in cucina?
quando c’erano le figlie…adesso so’ tutti sposati…quando c’erano le figlie mi aiutavano ma adesso ma adesso che siamo soli io e mio marito faccio tutto da sola…pure quando è la festa che siamo in venti persone sono da sola
Nel frattempo l’acqua bolle e si può già mettere la pasta….questa pasta
quanti grammi metti?
beh..io ho fatto mezzo chilo perchè a noi piace, sennò puoi fare 200 grammi, 400 grammi “quelli che piace”; si fa in due….e si “butta” (si mette a cuocere nella pentola)
deve essere ben cotta oppure un po al dente?
un po al dente
come si dice in dialetto quando è troppo cotta la pasta?
“Sfatt”…è “sfatta”
di solito come la preferite voi?
a noi mio marito la vuole un “po cotta” (troppo cotta “sfatt” appunto)
…Questa è la mollica che abbiamo fritto, è diventata dorata. Adesso scoliamo la pasta
quanto tempo di cottura ha avuto la pasta?
10 minuti….al dente. Si scola bene, senza far lasciare l’acqua dentro
perchè si utilizza questa pasta “arricciata” e non una liscia?
forse per far…..il pane si attacca meglio
pure per il vincotto?
Si, giusto
….questo è il vinocotto; si mette un poco (sul piatto)….si mette la mollica, si gira (si mischia)
Va mangiata subito?
è un piatto che (va mangiato) preferibilmente freddo; è buona calda però si mangia fredda. Si aggiunge l’altro vino cotto (alla fine)…..è pronta!
Preparazione
Prendere una pagnotta di pane fatta invecchiare di qualche giorno e tirare tutta la mollica dalla parte interna. Grattuggiare la mollica e dopodichè friggerla. Contemporaneamente far cuocere la pasta e una volta pronta mischiare la mollica fritta e ben dorata alla pasta. Infine aggiungere il vincotto e servire preferibilmente fredda.
Il ragù della domenica
ricetta proveniente da Matera preparata da Angela Ausilio, intervistata a Matera il 23 agosto 2009 da Anna Tortorelli
Entro in cucina di Angela Ausilio, la quale, in piedi e davanti al tavolo taglia piccole e circolari fette di salame (prodotto in casa), su un apposito tagliere in legno e facendo uso di un grosso coltello affilato, per la preparazione del Ragù della Domenica.
Angela, che cosa devi preparare oggi?
Beh, essendo domenica, io sono molto fedele alla tradizione, per cui la domenica faccio normalmente la pasta, a volte fatta in casa, anche con il ragù. Quindi sto preparando tutti gli ingredienti per poter fare un buon ragù.
Cominci dal salame?
Sì, perché oggi ho deciso di fare delle braciole quindi, questi involtini di carne io normalmente li faccio con un po’ di salame, del formaggio. Poi aggiungerò altra carne tipo la salsiccia perché secondo me il ragù è più saporito se ci sono vari tipi di carne e anche perché si da la possibilità, alle persone che comunque stanno a tavola, ai commensali, di poter scegliere il pezzo più buono e più gustoso per loro. Metterò un po’ di spezzatino di carne, un po’ di queste braciole, un po’ di salsiccia. Sto affettando il salame perché affettarlo sul momento rende tutto più gustoso, insomma, perché non si secca in frigorifero.
Ma come ti regoli con la quantità del salame in base ai commensali? Scegli tu la quantità, il peso?
Io intanto lo sto affettando. Sicuramente avanzerà.. di certo avanzerà. No, più che in base ai commensali mi regolo in base alla quantità delle fettine per gli involtini da fare. Normalmente io lo faccio poi se avanza comunque viene consumato in altro modo.
Senti, dopo il salame come procedi?
Allora dopo il salame, ora ti farò vedere, prendo la carne e la riempio con del salame un po’ di parmigiano.
Al contrario di quello che fanno altre persone, in cucina ognuno poi con la sua fantasia può modificare il tutto, non metto l’aglio. L’aglio, per esempio, è un qualcosa di molto personale, un gusto molto personale per cui non lo metto. Ci metto giusto il salame, il parmigiano e poi avvolgo questa fettina, la fermo con lo stuzzicadente. Ora ti farò vedere…
Questo cos’è per esempio?
Queste sono le fettine che serviranno per fare gli involtini..
Ora vedi le sciacquo un po’ perché chiaramente quando le compri esce un po’ di sangue, per una questione di igiene…
Dove l’hai comprata questa carne?
A dire la verità oggi è domenica. Io normalmente la spesa la faccio il sabato. Ho dei miei supermercati di fiducia ( chiaramente non faccio nome) per cui so che la carne è buona e la reputo abbastanza fresca.
In questo modo tu la stai sciacquando per…?
La sto sciacquando per togliere, se tu vedi nella vaschetta, rimane del sangue.. Francamente non è molto igienico. A me non piace proprio prendere la carne così come sta nella vaschetta.
Pensi comunque che sia più genuina o meno genuina prenderla dal supermercato o dal classico macellaio di fiducia?
Certamente se conosci la persona.. ti devi veramente fidare del macellaio.. Però ci sono dei supermercati dove effettivamente la carne risulta abbastanza fresca. Sarà perchè viene consumata subito. Io ho girato parecchi supermercati quindi dove la prendo.. mi posso fidare, sì. (cerca piatti di plastica ma poi prende il tagliere bianco per stendere le fettine di carne).
Ma ti piace fare il ragù di domenica o solitamente scegli un’altra pietanza da preparare? Oppure magari dipende se è un’occorrenza?
Normalmente faccio il ragù. Però io ho sempre associato la domenica alla preparazione di qualcosa di particolare, quindi il più delle volte capita che il ragù viene sostituito dalla pasta al forno o da altre cose.. comunque devi prepararlo per fare la pasta al forno. Il ragù è la base di tanti piatti. Ecco guarda (mostra come preparerà gli involtini)…
Che carne sarebbe questa? (intendendo la natura) Sono fettine di…?
Sono fettine di vitello, molto tenere.
Come mai le stendi così sul tagliere?
Perché così possono essere avvolte meglio. Allora ci mettiamo un po’ di salame, un po’ di parmigiano.
Ma tu lo hai sempre fatto il ragù o lo hai imparato a fare nel corso della vita? Oppure lo hai sempre fatto anche a casa? (intendendo la casa dei genitori). Te lo ha insegnato qualcuno?
A dire la verità è successo da quando mi sono sposata.. forse come tutte le ragazze. Perché in un primo momento, chiaramente a casa mia, lo faceva mia madre, anche se, devo dire anche questo, la preparazione era molto diversa. Perché, eppure sto parlando di una cinquantina di anni fa, la preparazione del ragù era completamente diversa. Io ricordo della domenica con questo odore particolare del ragù…sai allora non era consuetudine farlo sempre. Normalmente lo si faceva soltanto la domenica anche per motivi economici. Non c’erano tanti soldi. Per cui la domenica si sentiva questo odore strano, strano e piacevole perché mi ricordava che era arrivata la domenica, un giorno di festa.
Gli ingredienti certamente non erano questi, io questi ingredienti non li ricordo, per tanti motivi. Casa mia era una casa non di contadini. Mia madre aveva dei terreni per cui coltivava delle cose sue, proprie. Allevava anche gli animali, tipo le galline. Si ammazzava la gallina oppure durante l’inverno si ammazzava il maiale. Il maiale poi veniva utilizzato in tutti i piatti che si preparavano durante l’anno e quindi anche nel ragù. Si facevano degli involtini con la cosiddetta cotica del maiale (la pelle del maiale). Io questa cosa me la ricordo benissimo. E si conservavano questi involtini proprio per essere usati sia per fare il ragù sia per dare più sapore al brodo quando si lessavano le verdure (anche se a me non è mia piaciuto perché era molto grasso). Non si usava l’olio, ricordo benissimo, si usava la sugna. Questi odori ora non li sento più però dentro di me è rimasta questa cosa di fare qualcosa di particolare comunque la domenica. Sarà perché la domenica la famiglia è più riunita. Sarà perché, soprattutto adesso con la vita che si fa, non è che si ha la possibilità di stare tutti a tavola per tanto tempo. La domenica è la giornata in cui si può stare di più. Non a caso io normalmente faccio qualcosa di particolare (ragù o dolce che non viene fatto tutti i giorni). Ho sempre associato questi odori alla festa ma ho imparato dopo. Ho adattato a quello che ritenevo più giusto la ricetta del ragù. Se tu vai in altre zone d’Italia comunque viene fatto anche in altro modo, con altri ingredienti.
Tu hai avuto modo di confrontarti con altre tradizioni dello stesso ragù?
Si andando in giro.. a Napoli lo si fa in un certo modo si mettono determinati ingredienti, in Val d’Aosta e a Milano si usa più burro che l’olio. Ci sono delle differenze rispetto a quello che semmai sto facendo io oggi.
Possiamo dire, secondo te, che il ragù può essere stato, un tempo, il piatto dei ricchi rispetto invece a quello delle classi popolari, almeno di domenica?
No, proprio dei ricchi no. Perché io credo che in ogni casa lo si faceva. Forse gli ingredienti erano diversi. Ricordo che mia madre non è mai andata in macelleria a comprare come facciamo adesso. Forse i ricchi, ecco, andavano in macelleria a comprare la carne per fare il ragù. Le persone più modeste, più umili usavano come carne quello che loro riuscivano ad allevare nei campi. Però io ricordo che anche le persone più umili riuscivano a fare il ragù, anche finto, senza carne. (ricorda l’odore dei violetti del suo paese d’origine). La domenica veniva sempre identificata, ricordo che le feste venivano identificate con questi odori. Secondo me è sempre stato fatto. E’ stato il piatto, la ricetta usata da più tempo. Certo adesso gli ingredienti sono forse più sofisticati. Una cosa del genere non ci sarebbe mai stata al tempo di mia madre. Mettere la salsiccia, come faremo oggi, lo spezzatino, questo altro tipo di carne. Però a volte, ti sembrerà strano, per motivi economici, si facevano addirittura delle polpet con la simmenthal, che costava pochissimo. Ora che ricordo si facevano delle polpette con la mollica di pane, la simmenthal, era quasi una presa in giro come per dire: “ abbiamo fatto il sugo con la carne” che poi di carne ce n’era poca che niente ma si faceva.. Non credo proprio si possa considerare il ragù come una torta… Forse le torte all’epoca non si usavano ma il ragù io credo si sia sempre usato e fatto più o meno anche con ingredienti più poveri rispetto a quelli che sto usando io oggi.
Allora adesso dovremmo soffriggere questi pezzi di carne. Quindi io provvederò a sbucciare la cipolla. Se tu vedi io ho messo qui fuori tutti gli ingredienti. Quando io faccio qualcosa, anche quando faccio dolci, preferisco avere tutto sotto mano per non perdere poi tempo. Soprattutto perché consultando eventualmente anche il ricettario, mi sono resa conto, nel corso degli anni, che è sempre meglio mettere tutto a portata di mano per evitare di cominciare una preparazione e poi rendersi conto che manca un ingrediente qualsiasi. Assicurarsi che si abbia tutto per poi procedere a fare il piatto.
Ora provvederò a sbucciare la cipolla.
Quindi, Angela, possiamo dire che la tua cucina è un incrocio fra la tradizione e la letteratura colta, visto che fai anche uso di ricettari?
Io faccio uso di ricettari perché mi piace provare sempre cose nuove anche se non fanno parte della nostra tradizione. Faccio per dirti: l’altra sera ho provato a fare la piadina che è una preparazione tipicamente romagnola. Voglio “ provare a mettermi alla prova”.. ecco diciamo così.
Ma che cosa ti spinge a stare in cucina?
Non lo so… (pensando) se ti devo dire la verità non lo so. A me è sempre piaciuto stare in cucina da quando ero piccola. Da quando vedevo mia madre fare il pane in casa perché non si usava comprare il pane. Lo si faceva in casa. Ricordo che io ero piccolissima, avevo 3 o 4 anni, avevo già questa voglia di prendermi un po’ di farina, di impastare. Molto probabilmente, non me lo sono mai chiesto, per me fare qualcosa in cucina è come fare qualcosa di bello per i miei figli, farli mangiare qualcosa di particolare. E’ quasi un sinonimo della famiglia unita.. Credo sia così.. non me lo sono mai chiesto. Mi piace stare in cucina, mi piace mettermi alla prova. Fare qualcosa sempre più complicato rispetto a quello della volta precedente.
Esprimi te stessa attraverso la cucina?
Esprimo me stessa. Forse perché così ,siccome molte volte capita anche che modifico i piatti, forse ci metto anche della mia fantasia. Esprimo la mia Fantasia…
Ma ti sei mai confrontata, per esempio, con altre persone che potrebbero avere la tua stessa capacità in cucina? C’è stato qualcuno effettivamente che in più di una occasione ti ha fatto notare che magari la tua preparazione è avanzata in cucina? Proprio perché deriva da una tua passione, da un tuo modo di stare bene con i fornelli?
Sì, sì. A me è capitato. Per esempio ho un’amica che spesso mi chiama perché lei “va in tilt” , cade nel panico quando qualche sua amica va a casa e quindi deve preparare qualcosa di particolare. Lei comincia a dire: “ma io non so da che parte cominciare” e quindi semmai ci mettiamo insieme a preparare qualcosa perché lei dice che non ha proprio fantasia in cucina. Perché serve anche quella.
E per te la fantasia che cos’è in cucina?
Per me la fantasia in cucina è mettere qualcosa di mio. Modificare e rendermi conto che semmai quella cosa va bene. Può anche non andar bene ma non importa. L’importante è che abbia messo qualcosa di mio. Poi se va bene sono anche più soddisfatta chiaramente.
(passa alla spiegazione di quello che sta facendo durante la conversazione) Come vedi ho punzecchiato la salsiccia perché nel friggere scoppietta. Invece se viene punzecchiata, da questi buchini esce il grasso che c’è dentro e quindi scoppietta meno. Ora ci aggiungiamo anche lo spezzatino.
Quanto tempo di cottura necessita, più o meno, questa preparazione?
Allora bisogna farla soffriggere, ora vedrai appena comincia a rosolare la toglieremo perché serve giusto per far insaporire un po’ la carne con l’olio. (Nel frattempo ripete l’operazione di lavare la carne e traslarla in padella sul fuoco). Perché la vera cottura poi avverrà con i pelati, con i pomodori.
Senti Angela, secondo te, la freschezza che c’è oggi è la stessa che poteva esserci un tempo con i prodotti?
Assolutamente no. Questo è fuori dubbio. Quando io vedevo mia madre, il sabato sera ammazzare la gallina, anche se mi faceva una gran pena, perché mi piacciono gli animali, perché il giorno dopo doveva fare il sugo certamente il ragù non era paragonabile a quello che io vado a comprare dal macellaio/supermercato di fiducia. Non è assolutamente paragonabile.
Sarà anche per questo che c’erano dei sapori diversi. Io ricordo (mentre versa circolarmente dell’olio sulla carne posta sul fuoco in padella) il sapore del ragù di prima. Non è certamente lo stesso sapore di adesso. Ha proprio perso quel gusto particolare che aveva. Noi ci possiamo mettere qualsiasi cosa non è più lo stesso sapore di prima.
Allora io ora ho messo l’olio, la cipolla. Provvedo a farlo soffriggere e dopo un po’ si dice “si spegne con il vino bianco”.
Perché si spegne? (Angela copre la pentola con un grande coperchio).
Perché così viene a perdere quel sapore intenso di carne soffritta.
Tornando al sapore quindi di prima, hai detto che la freschezza di oggi non si può paragonare a quella di un tempo. Che cosa ti fa ricordare effettivamente il ragù di una domenica del passato rispetto a quello che puoi preparare tu oggi, che siamo comunque nell’era del consumismo?
Adesso è diventata quasi una cosa normale fare il ragù. Anche i ragazzi, per esempio, i miei figli, quando dicono “che cosa mangiamo oggi?” “Pasta con il sugo” “Aah sempre la solita pasta con il sugo” .
E’ cambiato l’approccio con il cibo. Invece nel momento in cui sapevo che arrivava il sabato, noi ragazzi eravamo contenti perché la domenica dovevamo mangiare la pasta con il sugo. Capisci la differenza? Era tutto molto molto diverso.
Nel momento in cui, per esempio, era estate, io ricordo benissimo, che mia madre faceva la salsa con i pomodori (intanto gira e capovolge la carne che cuoce in padella). Chiaramente erano pomodori sempre coltivati da lei, pomodori che avevano un certo sapore ecc..
Ricordo mia madre che diceva ad un certo punto: “beh questa parte di pomodori la dedichiamo ad essiccarla al sole “.
Devi sapere che prima una parte di passato di pomodoro si essiccava al sole proprio per permettere poi l’inverno di fare questo ragù così intenso così pesante. Perché comunque prima si mangiava pesante rispetto a come mangiamo oggi. Questo è fuori dubbio. Ti ho detto che si usava la sugna, chiaramente oggi non ce lo potremmo neanche permettere con tutti i problemi che abbiamo di colesterolo e tutto il resto.
Però si usava la sugna, si usava la cotica del maiale e si usava anche questa conserva, veniva chiamata conserva.
Ricordo questi tavoli enormi sul balcone ad essiccare al sole con il telo sopra per una questione di igiene e poi venivano messi in delle vasche di creta e l’inverno soprattutto si aggiungevano (tu vedrai che noi mettiamo i pelati oggi e un po’ di passata, giusto per rendere il sugo meno liquido).
E invece mia madre per esempio, i pelati non esistevano all’epoca, metteva il suo passato sempre fatto da lei più questi cucchiai. Perché era tipo marmellata condensata. Cucchiai di conserva. Per cui veniva fuori questo sugo dall’odore molto molto intenso e particolare (l’espressione del viso non è di gradimento) che certamente oggi non si trova più e anche dal sapore così intenso.
Oggi abbiamo la possibilità di spaziare come ingredienti. Oggi abbiamo la possibilità di preparare questo sugo particolare che poi è abituale, con la salsiccia, con la braciola, con lo spezzatino. Prima semmai era un pezzettino di pollo o per assurdo le polpette addirittura con la simmenthal, certamente il sapore era completamente diverso. Oggi i sapori si sono persi. Io non mi ritrovo più. Eppure ho il ricordo…
Ma ci sono dei sapori, per esempio, che ti rimandano ancora oggi a delle nostalgie oppure a dei ricordi che non puoi più vivere perché effettivamente è cambiata la condizione spazio-temporale ma anche la stessa esigenza del mangiare, perché magari prima la carne la mangiavi soltanto in alcune occasioni, oppure nei rituali festivi o eventi folkloristici.. oggi invece la carne la mangiamo anche durante la settimana.
Ci sono dei sapori oggi che magari ti fanno ricordare un particolare evento di bambina che magari hai vissuto, piuttosto che una nostalgia una sorta di malinconia che ti lega al passato o al contrario: tu mitizzi il passato o invece lo rifiuti perché oggi si può accedere alle stesse varietà culinarie o altri tipi di prodotti proprio perché l’innovazione ci porta avanti anche nella cucina?
Come ingredienti, certamente, come già detto siamo alla grande però i sapori non sono quelli di una volta. Per esempio, una cosa che a me è rimasta in mente, al di là del sugo, del ragù da preparare la domenica. Io non troverò mai più una cosa del genere in cucina perché non si fa più: quando era il periodo invernale per cui si ammazzava il maiale, vedevo questa tavola , è arrivato il momento di sfumare il preparato con del vino,
Adesso è arrivato il momento del vino… Si’ lo sfumiamo con il vino.. (versa del vino bianco sulla carne)
Il vino bianco ha proprio questa proprietà? Perché proprio il vino bianco e non un altro?
Perché il vino bianco, intanto non da quel colore scuro essendo bianco. E’ quello più usato in cucina. Il vino rosso normalmente, su tutte le ricette non troverai quasi mai vino rosso per “spegnere” la carne perché il vino rosso comunque macchierebbe la carne. Quindi resterebbe… , ho aggiunto anche l’alloro che profuma.
Che funzione ha l’alloro in questo caso?
L’alloro ha soltanto la funzione di aromatizzare la carne. Quindi ti stavo dicendo, il vino bianco comunque nella preparazione anche del pesce, della carne lo troverai sempre. E’ difficile trovare nelle ricette l’uso del vino rosso. Il vino rosso, anche quello rosato, macchia. Anche se fai, per esempio, delle scaloppine tu troverai sempre l’uso del vino bianco mai quello del vino rosso perché poi non è bello vedere, anche se la funzione è la stessa, nel piatto questa carne macchiata di rosso.
Ore 11.00
Allora abbiamo fatto soffriggere un po’ la carne chiaramente non deve friggere molto. E anche qui ti devo dire che c’è una notevole differenza rispetto al ragù preparato prima perché io ricordo benissimo che la carne veniva proprio fritta. Noi ora useremo questa pentola per aggiungere i pelati. Io ricordo che la carne veniva completamente fritta e addirittura mia madre trasferiva una parte di olio fritto dentro la pentola e poi ci aggiungeva i pelati. Quindi puoi bene immaginare la pesantezza di questo sugo.
Prima parlavamo delle diversità e stavamo anche parlando dei sapori diversi di qualcosa che oggi non ritrovo più. (Intanto trasferisce nella pentola posta sul fornello la carne, dalla pentola antiaderente. Fa uso di una pinza). Ti stavo raccontando la storia di quando si ammazzava il maiale, ricordo questa tavola enorme dove si selezionava la carne del maiale. Perché ogni pezzo del maiale aveva poi la sua funzione, ogni pezzo di carne aveva la sua funzione. C’era la carne più prelibata, si faceva il salame. Quella meno prelibata.. ogni pezzo veniva selezionato in un certo modo. E ricordo mia madre e mia nonna , addirittura, quando erano alle prese con il riempire l’intestino per fare poi la salsiccia da fare essiccare, si condiva questa carne fatta a pezzettini. Era enorme. Era una montagna di carne. E si impastava addirittura con le mani e si provvedeva a condirla con il sale, con il finocchio, con il peperoncino piccante, poi dipendeva da come si doveva fare il salame. Se di doveva fare piccante o dolce. E ricordo che per vedere se era stata condita nel modo giusto si prendeva un pentolino molto piccolo tipo questo (indicando l’antiaderente) e si metteva un po’ di questa carne a soffriggerla. Noi bambini, io, mia sorella, mio fratello aspettavamo lì per assaggiare questa carne. Chiaramente noi non la assaggiavamo con l’intento di capire se era stata condita bene. L’assaggiavamo perché era un momento di festa. Mentre mia madre l’assaggiava per vedere se il condimento era giusto. E’ chiaro che da quel momento in poi, da quando mia madre non ha fatto più di queste cose, io non ho più avuto questo sapore. E ormai è rimasto soltanto un ricordo (con amarezza).
Questo è uno di quei ricordi di sapori che ormai non ho più trovato. Come vedi, (si avvicina verso il lavandino) a differenza di quanto si faceva prima, io non ho fatto soffriggere, non ho fatto consumare tutto l’olio tutto il sugo perché altrimenti diventa molto pesante. E ho trasferito la carne nella pentola dove adesso andremo ad aggiungere i pelati e provvederemo a far cuocere lentamente questo sugo per circa un’ora. (Ripulisce la pentola dove è soffritta la carne gettando via i residui di alloro).
Ma si può chiamare quindi “tipico” il ragù che si fa oggi proprio in funzione di queste diversità che hai indicato?
Secondo me non è più quello di una volta quindi io non lo chiamerei “tipico” assolutamente.
Io ho una cinquantina d’anni e per cui già ricordo tutte queste diversità figuriamoci se andassimo a ritroso nel tempo, credo che non si sarebbe quasi nulla di quello che si faceva una volta, assolutamente. Vuoi per gli ingredienti, vuoi anche per il procedimento (intanto apre la latta dei pelati). E’ rimasto qualcosa indubbiamente però non è più quello di una volta.
Come vedi adesso provvedo ad aprire i pelati (li versa nel contenitore dove saranno frullati).
Dove stai svuotando la latta dei pelati? Che attrezzo è questo?
Questo è un frullatore ad immersione. Serve per frullare il tutto perché francamente a me non piace trovare i pelati. Si potrebbero anche spezzettare, schiacciare con la forchetta però normalmente a noi piace trovare qualcosa di più sottile, altrimenti resterebbe comunque un po’ di pomodoro non macinato. Quindi c’è questo attrezzino elettrico, frullatore ad immersione, (provvede a collegare la spina con la presa e a metterlo in funzione).
E prima che non esisteva il frullatore ad immersione?
Prima che non esisteva, c’era, per chi voleva questo sugo così sottile, il cosiddetto passa pomodoro che era un attrezzino un po’ particolare (gesticola con le mani nella descrizione) sembrava un pentagono con dei filtrini sotto a manovella e si provvedeva a passare il sugo. Si usa ancora adesso sicuramente perché questo stesso ragù che oggi noi stiamo facendo con i pelati, essendo agosto, avremmo potuto farlo anche con i pomodori freschi. Nel senso di raccogliere i pomodori in campagna, quelli rossi e fare tipo passata come quando si fa la conserva. Il pomodoro passato nelle bottiglie e poi con lo stesso procedimento ricavare passando appunto attraverso il passa pomodoro e quindi separare le bucce del pomodoro dalla polpa, proprio dal succo. Però noi oggi abbiamo usato i pelati. Vedi schiacciando ed immergendolo il pomodoro viene triturato.
Secondo te la bontà di un prodotto oggi può essere agevolata dal fatto che si hanno più attrezzi rispetto al passato? Quindi proprio perché il gusto più sottile lo preferisci, la raffinatezza del gusto può dipendere dal fatto che oggi si hanno più attrezzi rispetto a prima?
Certamente il gusto è più raffinato. Però se si parla di gusti particolari è chiaro che oggi, secondo me, non si trovano più. Certo siamo agevolati da tanti elettrodomestici indubbiamente. Quello che io sto facendo adesso prima si faceva “perdendo” più tempo, questo è vero. Molte volte non lo si faceva proprio. Si faceva anche il ragù con le bucce del pomodoro per gente alla quale piaceva, non si creavano proprio problemi.
Il gusto certamente è più raffinato. Però gusto e sapore secondo me sono due cose proprio completamente diverse.
Che cosa intendi tu per gusto e che cosa intendi per sapore?
Il sapore è quella aroma che ti rimane in bocca. Anche quel retrogusto che ti resta in bocca quando mangi qualche cosa, questo è il sapore.
Il gusto poi è il pomodoro più sottile, più fine. Però gusto e sapore secondo me sono due cose che non legano se facciamo riferimento alla tradizione. Perché come gusto forse oggi c’è più gusto, ma come sapore c’era il sapore. Io la penso così.
E il sapore può essere legato al saper-fare? Al saper cucinare?
Sì, saper fare, saper cucinare senza dubbio è importante. Però io faccio una questione di ingredienti. Per me gli ingredienti di una volta non ci sono più. Puoi sapere anche cucinare oggi, forse puoi fare qualcosa di saporito però certamente se tu vai alla ricerca dei sapori di una volta per me non esistono più. Quindi sono dei sapori diversi.
Come sono cambiate tante cose comunque è cambiato anche il sapore. E’ soltanto che noi adesso ci siamo adattati a questi sapori, ci siamo ormai abituati a questi sapori. Molto probabilmente non ci piacerebbe neanche più il ragù fatto come lo faceva mia madre e mia nonna perché non ci siamo abituati. Ci risulterebbe strano, pesante. Certamente se a me qualcuno mi dicesse di mangiare la carne con il ragù fatto con la cotica del maiale io non lo mangerei mai.
Adesso ci siamo adattati a questi ingredienti e allora a questo punto devi cercare di dare il sapore a questi ingredienti. Quindi fare qualcosa con il sapore di adesso. Però fare un paragone secondo me non è proprio possibile.
Ma tu sei mai andata alla ricerca di quegli ingredienti che potessero sostituire il sapore di una volta?
Ma anche se vai alla ricerca di questi ingredienti… allora mia madre è ancora viva e dice sempre: “compriamo la carne di maiale?” Lei che ha avuto i maiali, li ha allevati poi li ha consumati, dice sempre “questa carne non ha più il sapore di una volta” (facendo riferimento a tutti gli anziani).
Che cosa vuol dire?
Secondo me vuol dire che anche se tu vai alla ricerca anche del prodotto che tu ritieni più genuino essendo cambiato tutto è difficile oggigiorno ritrovare gli stessi sapori. Tu vedrai, ora che sarà pronto il ragù, vedrai che cercherò di grattugiare il formaggio perché, sì, abbiamo usato questo già pronto giusto per la carne, per una questione di tempo, però per la pasta cercherò di grattugiare il formaggio perché grattugiato al momento, un po’ come il caffè, è più saporito.
Tu devi sapere che un tempo, ricordo, dopo aver condito la pasta, per esempio, si usava una radice, che a volte si trova ancora in commercio, si chiama il rafano.
E’ una radice molto particolare, piccante dal sapore. Viene grattugiata e da un sapore molto piccante alla pasta. (esprimendo suoi pareri) E’ un sapore bruttissimo a me non piace però io ricordo che a casa si usava. E lo si grattugiava al momento. Lo si metteva addirittura sopra la pasta e sopra il formaggio.
Poco tempo fa ho trovato questa cosa al supermercato e per fare così un pensierino a mia madre gliel’ho preso. Mia madre che cosa mi ha detto? Usandolo sulla pasta mi ha detto: “però questo rafano non è più come quello di una volta” . Quindi, voglio dire, evidentemente con tutta la buona volontà, anche se tu trovi gli stessi ingredienti di una volta per come sono cambiate le cose, ormai i sapori non sono per niente uguali. Almeno lei che ha vissuto in un’altra epoca (ottanta anni), lei meglio di me non riesce più a trovare questi sapori.
Allora, (rivolgendosi verso i fornelli indica la pentola) ho messo i pelati, e ora ci metto anche un po’ di passata per rendere un po’ più sostanzioso il sugo altrimenti viene un po’ lento, acquoso più che altro. Poi ci metto il sale (grosso)…
Più o meno per quanti commensali hai preparato?
Diciamo 5-6. Sì 5-6 persone possono tranquillamente consumare questo ragù. Adesso accendiamo il fornello a fuoco molto molto lento. Lo regoliamo,. deve cuocere, deve bollire per circa un’ora, un’ora e mezza.
Come mai a fuoco lento? Questo aiuta la cottura?
Perché altrimenti si brucerebbe subito e poi perché il ragù viene fatto proprio a fuoco lento per cercare di far cuocere meglio la carne, di fare amalgamare tutti i sapori, la carne con i pelati.
Per ultimo provvederemo poi a mettere il basilico che si mette per ultimo perché se lo si mette adesso l’aroma, quel bel sapore di basilico, si perderebbe nella cottura. Quindi lo si mette quasi a crudo. Si prende, lo si mette e si fa stare per cinque minuti il ragù poi lo si spegne per lessare la pasta e condirla.
(Intanto conserva quello che inizialmente aveva preventivamente esposto sul tavolo)
Io normalmente, nel momento in cui il ragù cuoce lavo quello che c’è da lavare perché così la cucina ha sempre un aspetto ordinato; perché non mi piace la cucina in disordine.
Ti è sempre piaciuto stare in cucina?
Si abbastanza, abbastanza.
E ora non dobbiamo far altro che aspettare che il ragù sia pronto fra un’oretta.
Per esempio, nel momento in cui si faceva il ragù, (sempre ritornando al passato) sai, si vendeva la pasta che compriamo oggi, la pasta nelle scatole. Però quasi nessuno provvedeva a comprarla. E io ricordo benissimo che la mattina della domenica, non solo mia madre si alzava presto perché doveva fare il ragù, forse quella era la parte meno impegnativa, la parte più impegnativa era fare la pasta fatta in casa. Si associava il ragù, quindi la domenica, alla pasta fatta in casa. Tipo cavatelli, orecchiette anche perché allora erano abbastanza brave ad impastare…
Tu l’hai mai fatta la pasta fatta in casa?
Sì, sì ma io la faccio tuttora.
Ti piace farla?
Non con la stessa velocità di una volta, sì certo mi piace farla. (tornando al pane) Per loro non era faticoso, assolutamente. Rispetto al pane era qualcosa di meno pesante (alludendo alla pasta fatta in casa). E quindi ricordo (allude a sua madre) che si metteva lì a fare le orecchiette e lì certamente lì ho avuto la voglia di imparare sia con lei che con mia nonna a fare la pasta fatta in casa.
Ti devo dire la verità: vado anche alla ricerca, siccome molte volte qui a Matera non trovo le attrezzature per la cucina, molte volte compro qualcosa di particolare attraverso giornali… quindi per corrispondenza; tipo non so un attrezzo particolare per fare le tagliatelle, un attrezzo particolare per fare le crepes, qualsiasi cosa che riguardi la cucina.
Quindi il tuo piacere di stare in cucina coincide anche con la ricerca di nuovi strumenti piuttosto che anche di sperimentare nuove ricette di cucina?
Sì esattamente. Non ti nascondo che non sempre “le ciambelle riescono con il buco” chiaramente. Ecco io, per esempio, ho un elenco di ricette con un indice dove addirittura ci metto un OK vicino oppure un NO se non è riuscita bene così non la rifaccio più. Per esempio a livello di dolci, soprattutto d’inverno (adesso è estate non c’è tanta voglia di stare vicino ai fornelli) ogni domenica è un dolce diverso proprio perché mi piace provare. E questa è una sfida con me stessa. Mi piace provare, mi piace fare le cose sempre un po’ più complicate rispetto alla volta precedente perché voglio vedere se ci riesco.
Se ti chiedessi di fare un paragone metaforico, vista la tua creatività, la tua fantasia: un piatto che più esprime la tua personalità e un piatto che la esprime meno, magari anche compatibilmente con le tue caratteristiche caratteriali, del tuo sentire, del tuo approccio alla vita…
Sicuramente il ragù è il piatto che lo esprime meno. Paradossalmente lo esprime meno perché al di là di tutto è una preparazione che può sembrare complicata ma complicata non lo è affatto.
Quello che invece esprime molto di più quella che potrei essere io è senz’altro la preparazione di una torta. Perché una torta la devi decorare, la devi presentare in certe circostanze, quindi è veramente una sfida alla fantasia. E poi, almeno per esperienza, basta poco. Il ragù ,bene o male, anche se non viene al top, sono sempre pomodori, carne… il sapore più o meno è quello.
Invece la torta, almeno a livello di presentabilità, di apparenza non basta poco. Se devi fare la panna colorata basta poco perché il colore non venga come quello che doveva essere.. lì ci vuole tanta pazienza e tanta tanta fantasia. Vedi forse quello è il piatto, la preparazione che più mi piace. Mi piace perché mi da la possibilità di spaziare di più con la fantasia..
La preparazione di una bella torta, con tanta panna sopra, i disegni…
Per esempio qualche tempo fa ho fatto una torta a forma di farfalla per delle amiche e francamente non sapevo se riuscirci perché era veramente coloratissima. E’ vero ho impiegato forse 3 ore per decorarla però poi alla fine sono rimasta soddisfatta perché guardavo la figura che era inclusa nello stampo e vedevo che era venuta proprio identica.. puoi capire sono forse anche quelle cose che ti danno anche più soddisfazione. Le preparazioni che ti danno più soddisfazione.
Hai mai riconosciuto in un piatto di non essere stata al massimo proprio perché magari provi un certo senso di antipatia verso la preparazione? Oppure al contrario, una soddisfazione maggiore proprio perché quel piatto ti piace di più , quindi la bontà del cibo è direttamente proporzionale al piacere di prepararlo?
Secondo me la bontà del cibo è direttamente proporzionale alle persone che devono partecipare al gustarlo. Mi spiego meglio: quando sono stata obbligata a preparare determinate torte, per eventi ai quali non volevo partecipare perché comunque non gradivo, ti dico che non è riuscito per niente bene.
Quando, invece, io sento qualcosa nei confronti della persona, nel caso della torta, che deve riceverla, che poi bisogna festeggiare, mi rendo conto che non è nemmeno il fatto di riuscire… forse è quello che uno prova dentro. Io esprimo me stessa quando faccio qualche cosa. Allora se quella persona mi è antipatica o comunque c’è qualcosa che non va, non riesco nemmeno ad esprimermi bene in cucina.
Invece se è una persona alla quale ci tengo, voglio fare bella figura perché semmai non ci sta della “ruggine” , non ci sta nulla, io credo che do il meglio di me stessa. Effettivamente faccio bella figura.
Quindi la vedo così.
Allora il cibo ritorna ad essere un modo per relazionarsi con gli altri…
Sì io penso sia proprio così.
Quindi non è soltanto un modo per nutrirsi, per sopravvivere.. è anche un modo per poter entrare in contatto con le persone.. per comunicare per conoscersi…
Sì in effetti io non ho mai visto la preparazione di qualcosa come il nutrirsi. D’altra parte io preparo, preparo, però mi nutro poco. Nel senso che anche se preparo non gusto poi così tanto. Mi piace giusto assaggiare per capire se ho fatto centro, se è una buona ricetta, se ne vale la pena ripeterla e basta.
Mi piace più farla perché, semmai ecco, è una circostanza particolare, voglio fare bella figura e voglio relazionarmi con quella persona. Questo sì. Hai perfettamente ragione.
Ore 12.30 -13.00
In che fase stiamo adesso?
Eh ormai il sugo, si può dire che è quasi pronto. Come puoi vedere sta bollendo alla grande. Quindi sta anche cocendo la carne con i vari pezzi di carne. Dobbiamo soltanto aspettare un po’ per arrivare alla fase proprio finale, quindi fra una decina di minuti, e mettere un po’ di basilico che da quell’ aroma particolare che sa quasi di estivo; visto che il basilico è una pianta prettamente estiva.
Nel frattempo, cercherò di grattugiare questo formaggio, il parmigiano (si accomoda sulla sedia e prende il pezzo del formaggio. Lo prende con delicatezza attraverso l’uso di un tovagliolo). Prima abbiamo visto, abbiamo usato per gli involtini di carne il parmigiano confezionato nella busta per motivi di tempo… per non perdere tanto tempo. Però sulla pasta, obiettivamente, è molto più buono quello grattugiato, diciamo fresco. E devo dire la verità che questo sistema di grattugiare il formaggio, sai oggi si usano gli elettrodomestici a corrente per grattugiare, le grattugie elettriche… però io ci sono particolarmente affezionata a questo sistema. Sarà perché è più pratico, indubbiamente di quelli elettrici, nel senso che grattugi giusto un pezzettino, quello che ti serve, non perdi tempo a infilare la spina e tutto il resto. Però è una cosa mia personale perché mi ricorda molto quando questo lavoro lo faceva mio papà, che non c’è più. Infatti, a casa mia quando ero piccola, ricordo che quando mia madre preparava il ragù la domenica, papà faceva questo lavoro qui, forse perché mamma si scocciava; forse perché aveva molto da fare, forse perché cercava di sfruttare, allora i mariti non è che aiutassero molto le mogli, comunque cercava di sfruttare questo “hobby” che aveva il marito di grattugiare il formaggio (la voce si emoziona).
Certamente non era il parmigiano, perché allora il parmigiano non si usava o forse lo usavano i ricchi non lo so. Io ricordo che normalmente papà grattugiava il pecorino perché era il formaggio che veniva fatto dai contadini. E quindi era quello che condiva il ragù. Cosa che oggi, non è che non si usi, però avendo un sapore molto piccante viene usato più dagli amanti del pecorino. Però normalmente si usa il parmigiano. E siccome il formaggio, allora non è che si mangiava spesso, si mangiava appunto quando si faceva il ragù, c’è un aneddoto che veramente fa ridere. Mi ricordo, ero piccolissima forse avevo 4 anni, però è qualcosa che ricordo benissimo.
Quando mio padre un giorno tornando dal lavoro, perché lavorava anche la domenica, faceva la stessa cosa che sto facendo io. E io ero piccolissima, girava intorno intorno, perché quando finiva il pezzetto che stava grattugiando papà (anche Angela ha in mano un pezzetto piccolo mantenuto sempre dal tovagliolo) tipo, ecco questo, quando il pecorino arrivava a questo punto (mostrando il pezzo) per non farsi male con le mani lo dava a me perché sapeva che ero come un topo, mi piacevano i formaggi.
E quel giorno papà era particolarmente arrabbiato, io stavo sempre intorno dicendo: “dammi un pezzo di formaggio” e siccome non c’era acqua, all’epoca l’acqua nelle case non c’era, e si andava alle fontane per prendere l’acqua. Quindi mia madre aveva tutte queste tinozze piene di acqua in giro. Praticamente andai a finire nella tinozza d’acqua per aspettare questo pezzo di formaggio che poi non arrivò perché mi misero sul balcone ad asciugare, tipo panno visto che eravamo in estate. Sarà per questo che mi è rimasta questa cosa di comprare questo tipo di grattugia (mostrandola) ne sono particolarmente affezionata a questo modo di grattugiare il formaggio.
Quindi anche prima si usava quella grattugia rotonda?
Sì, sì. Questa me la ricordo benissimo. Forse adesso è un po’ in disuso anche se si trovano ancora perché, chiaramente con la vita che si fa adesso, devi correre qua è là, figuriamoci se uno si mette con tanta buona volontà a grattugiare il formaggio. Se lo fa elettricamente se lo conserva oppure come ho fatto vedere prima si compra le bustine già fatto nel supermercato. Però quando è possibile, è preferibile farlo di fresco perché chiaramente ha un sapore diverso.
Ma alla luce di quello che abbiamo detto, Angela, secondo te, oggi si può parlare di dieta mediterranea?
Beh sì certo. Della dieta mediterranea comunque se ne parla tranquillamente. Ne parlano medici, comunque si sa, è stata riconosciuta forse come una delle diete migliori. C’è stato un periodo, avevo forse 15-16 anni , si pensava che come dieta significasse non mangiare. Ricordo le mie amiche ben messe, con qualche chilo in più che pensavano a non mangiare. Poi per fortuna la cosa è stata rivista. Quindi di dieta mediterranea si può parlare tranquillamente anche se, dicendo quello che abbiamo affermato prima, certamente i prodotti non sono più genuini. Non sono più come quelli di una volta, però è chiaro che un buon piatto di pasta, che sia di 200g che sia di 50g con un sugo fatto molto leggero, non grasso certamente credo, non sono un medico, certamente non faccia assolutamente male. Anzi non può far che bene usare l’olio. E’ chiaro che prima, un po’ per ignoranza, ti ho detto che si usava addirittura il grasso del maiale. E’ chiaro che adesso è proprio impensabile usare lo strutto, faccio per dire. Però, ecco, con un buon olio e i pelati…non è più tutto come una volta, però secondo me si può parlare tranquillamente del fatto che una dieta mediterranea comunque faccia bene. Perché tutto sommato è una dieta abbastanza semplice e non è eccessivamente carica di grassi.
Ma tu intendi per dieta, il fatto stesso di cibarsi di determinate portate oppure intendi la dieta come modo di vivere, come modo di appartenere a una determinata società? Piuttosto, per esempio, quella europea o invece quella asiatica, che sicuramente è lontana da quella mediterranea?
Cioè per te, l’aggettivo mediterraneo si riferisce alle pratiche del mangiare o al modo stesso di vivere la cucina, di preparare per gli ospiti, per esempio? Piuttosto che di mangiare insieme, perché adesso non si mangia più sempre tanto insieme, a causa della vita che si conduce…
Io credo che di mediterraneo si possa intendere sia la dieta sia quello che hai detto tu. C’è comunque, non uno stile di vita, perché lo stile di vita è tutt’altra cosa, dalle nostre parti, secondo me, c’è più gusto a cucinare.
C’è più gusto, sì a dedicarsi alla cucina e c’è anche forse più gusto a stare insieme. Rispetto a quello che può essere la vita anche più frenetica di un milanese. Voglio dire, io credo che a noi, anche se è cambiato tanto e tutto, comunque fa piacere trovarci a tavola a condividere il sugo, che semmai una volta capita salato, una volta è buonissimo una volta un po’ meno. Comunque per come vedo io, è così insomma.
D’altra parte, sai, una volta mi arrivò una telefonata da un call center facendomi l’intervista per la Barilla. Perché proprio la Barilla? Per la pasta Barilla. Risposi che la pubblicità della Barilla mi aveva colpito perché, la Barilla comunque, (ora non per fare la pubblicità alla Barilla), ha studiato una forma di pubblicità che neanche a farlo apposta, un po’ come il Mulino Bianco riunisce tutta la famiglia. E mi aveva colpito questo fatto della pasta, della bambina, del papà che lavorava.
Cioè il cibo era un sistema quasi per comunicare affetto soprattutto per i componenti della famiglia.
Quindi io credo che comunque dalle nostre parti, anche se in modo molto diverso e certamente minore rispetto a prima, perché prima il mangiare era un momento molto molto particolare. Però credo che ancora oggi lo sentiamo come momento di vicinanza con i fratelli, con le sorelle. Invece, secondo me, già ad andare da Roma in su questa tradizione si è un po’ persa. Comunque non è sentita come da noi. D’altra parte tu vedi perché proprio a Natale, a Pasqua ci sta sempre questo desiderio spasmodico semmai di stare con i parenti, quasi come per raggruppare una volta all’anno tutta la famiglia. Quasi come per sentirsi riuniti almeno una volta all’anno tutti quanti. Quindi comunque secondo me c’è questo.
Poi alla base di un buon piatto, non è poi il piatto di per sé che può anche non riuscire, è forse quello che trasmette il fatto di mettersi a tavola e stare insieme.
Beh credo che per 7 persone questo possa bastare (termina di grattugiare e versa nel contenitore il formaggio residuo sulla grata). Mettiamo un po’ di basilico, giriamo ancora un po’ il sugo. 5 minuti che si insaporisce il sugo di basilico.
In questo momento tu stai mischiando il colore del basilico, il verde, con quello rosso della carne. Secondo te, esiste un’estetica del cibo anche nel modo di prepararlo, di presentarlo?
Di presentarlo, certo. Non a caso, guarda, quando fanno quelle trasmissioni in televisione di cucina, se tu vedi, al di là della ricetta di per sé, qual è la cosa per la quale uno chef si distingue uno dall’altro? E’ proprio il fatto di dare un colore. Se tu vedi per esempio uniscono anche quando fanno l’insalata. Qualcosa di rosso con qualcosa di verde perché è bello vedere nel piatto…
Per esempio io non ho questa grande preparazione, non sono andata all’alberghiero ecc. però quando capita di fare dei piatti di frutta, ecco faccio un esempio qualsiasi: metto l’ananas al centro perché l’ananas è bianco, poi dentro se c’è un mandarino lo apro a spicchi e ci metto questo mandarino aperto perché sembra la corolla di un fiore con il fiore dentro, poi con la gelatina verde cerco di fare lo stelo, poi semmai ci metti il kiwi intorno perché dai il verde. E semmai una persona che mi vede può dire “ma è una grandissima perdita di tempo” però voglio dire è molto scenografico, è molto bello vederlo sul tavolo anche se uno poi non la gusta la frutta. Ma accoppiare tutti questi colori e fare queste composizioni secondo me è bello. Chiaramente è bello per chi ha questo tipo di passione. Altrimenti uno ci mette la zuppiera con la frutta regolarmente lì e chi vuole si serve.
Io parlavo della fantasia oggi. E secondo me quella in cucina non deve mancare assolutamente. D’altra parte le persone che hanno fantasia, il più delle volte, al di là del piatto se è buono, se non è buono comunque riescono a fare delle portate che vengono apprezzate dalla vista e anche dal palato, perché ci vuole la fantasia in cucina. Anche per modificare le ricette, per farle proprie per non sentirsi prigionieri di quelle ricette che trovi sul libro o da qualche parte. Poi uno le modifica come vuole e fa dei tentavi e vede che semmai il risultato è così bello che si sente soddisfatto. Insomma dice “che caspita anche io ho raggiunto il mio obiettivo che è quello di stravolgere di modificare e comunque di essere stata tra virgolette “applaudita”.
Ore 13.30
Allora la pasta è cotta (procede con il versare l’acqua bollita e la pasta all’interno nello scolapasta). Ora la scoliamo.
Ok, a questo punto? La dobbiamo condire?
Sì la condiamo. Prendiamo una zuppiera e la mettiamo dentro. Perché normalmente se si condisce solo così in modo superficiale (alludendo forse al condire la pasta nella stessa pentola di cottura) non è molto buona, non è molto saporita.
Ah comunque devi trasferire il prodotto dallo scolapasta…
Sì, se viene via la zuppiera… è incastrata. Ok la poggiamo qui per il momento.
Ci versiamo la pasta, la condiamo già con un po’ di parmigiano, un po’ di sugo. Al sugo, chiaramente, il ragù fatto prima, abbiamo tolto la carne che poi vedremo servirà per il secondo. Lo giriamo amalgamiamo, così pure si insaporisce per bene.
Cominciamo a fare i piatti (volta per volta, porrà ciascun piatto al posto dei commensali – prima posa la pasta nei piatti poi li condirà ancora)
Ma questo modo di trasferire la pasta dallo scolapasta alla ciotola, è un modo che hai appreso tu, te lo hanno insegnato?
A dire la verità nel corso degli anni, con l’esperienza mi sono resa conto che se la si condisce nei piatti non viene amalgamata molto bene, quindi il sapore non si apprezza a pieno.
Quindi per valorizzare la riuscita del gusto.
Sì, si poteva fare anche nella pentola però è preferibile metterla…
E infatti solitamente…
Normalmente lo si fa nella pentola però, in varie preparazioni, si fa nella pentola quando c’è bisogno di fare amalgamare il cibo sempre sul fuoco acceso. Allora si sfrutta il fatto che la pentola è già calda per continuare l’amalgamazione. Non in questo caso chiaramente perché si tratta solo di miscelare gli ingredienti senza dare però un ultimo tocco di cottura.
Condiamo con il formaggio. C’è qualcuno dei miei ospiti che non vuole il formaggio quindi ci sarà qualche piatto senza. Uno dei miei ospiti, come da tradizione, vuole il pecorino, evidentemente appartiene a un’altra generazione. E poi provvediamo a mettere il sugo.
Pensando quindi a un equilibrio dell’alimentazione, anche tu cominci il pranzo a partire dalla pasta e non magari, come altre civiltà possono fare, anche dalla stessa insalata o dalle verdure per poter stuzzicare l’appetito.
No anzi. Ti devo dire la verità: qualche volta è capitato di andare in ristorante per vacanze, dove c’erano dei buffet cominciando dagli antipasti con il self service. Cominciando a mangiare le verdure, francamente sarà che noi nella nostra cucina mediterranea non siamo abituati a questo tipo di alimentazione, devo dire la verità che poi non apprezzi proprio per niente né il gusto della pasta né il secondo. Quindi molto probabilmente fa parte di questa educazione che noi abbiamo, molto probabilmente.
Quindi, secondo me, è la cosa, per come siamo abituati noi, così per cominciare dalla pasta significa cominciare bene.
Cominciare dalle verdure sicuramente non ci farebbe apprezzare il resto del pranzo.
Come puoi ben vedere qui abbiamo provveduto a togliere la carne che servirà senz’altro per il secondo.
Quindi è questa la seconda portata che offrirai ai commensali?
Questa la seconda portata che offrirò ai commensali…con un contorno di insalata magari…
Tutto insieme senza selezionare.
Allora Isa cosa ci stai preparando?
Le pettole di natale al vento
Come mai le pettole?
Questa è la nostra specialità che si fa a natale, facciamo anche le cartellate, che sarebbero le frittelle, l pettl.
Esiste soltanto questa ricetta di pettole?
No c’è né anche un altro tipo, sono le pettole schiacciate che si tagliano col coltello.
Ma sono vuote queste pettole?
Si sono vuote.
Ma ne esistono anche altri tipi?
Un altro.
Ma dentro non si mette niente?
Si mette la ricotta forte.
Chi ti ha insegnato a prepararle?
Mia madre quando ero piccola, avevo dieci anni quando mi mettevo vicino al tavoliere.
Gli ingredienti li avevi tutti o qualcuno te lo sei fatto prestare dalla vicina, oppure sei andato a comprarlo?
No, l’ho comprato,non prendo niente in prestito perché sapevo di farlo.
Perché non ti piace prendere in prestito?
No
Come mai?
Perché diceva mia madre non si prende in prestito “ci u’mbrist ier bun s mbrstain l mgghjr” (se il prestito era bello si dovrebbero prestare anche le mogli)
Non si dice così al tuo paese?
Eh si si…
Quindi hai comprato solo quello che si occorreva per oggi?
C’è l’ho sempre un po di farina in più, quando mio marito prende la paga che va a zappare allora faccio tutte le provviste.
Ma questa è la ricetta che ti riesce meglio?
No mi riesce tutto meglio, tutto bene.
Quali sonno le altre ricette che ti piace cucinare?
Tutte le cose, noi facciamo u calaridd, la rzzoul
Che cos’è la rozzoul?
La r’zzoul è la pecora che si fa il 5 settembre.
E’ fatta come?
Si cucina nelle pignate, ind a l pignateddr. Si prende la pecora e si mette nelle pignate, poi si mettono le patate, le cipolle, il formaggio tagliati a pezzettini, poi si cucina in un forno a fuoco lento, un forno a legna. Il sopra si chiude con la pasta del pane. Hai capito cos’è la pignata?
Sì sì.
Si fa così si lavora la pasta.
Perché stai usando questo contenitore di terracotta?
Perché è pesante, se metti una coppa leggera ci vuole un altra persona che deve mantenere.
Cosa hai cucinato oggi?
Oggi ho fatto pasta e broccoli con la mollica fritta e i cavatelli fatti in casa.
Ma i cavatelli sono una pasta tipica di qua?
Si.
Quindi quando hai imparato a cucinare?
Quando ero piccola.
Quanti eravate in famiglia?
Otto persone, sei fratelli più mamma e papà e più la nonna nove.
Ma di solito ti piace imparare nuove ricette o preferisci fare quelle che ti hanno insegnato?
Ma no, diceva la vecchia nan vulaj murì ca vulaj semb mbarè (diceva la vecchia non vorrei morire perché vorrei sempre imparare) però alla fine vado a finire di fare sempre le vecchie ricette che sono sempre le più buone.
Così prende il filo la pasta.
Che vuol dire?
Vedi quando la allunghi non si deve spezzare facilmente.
C’è qualcuno che ti aiuta in cucina?
No.
E quando eri piccola cucinava tua madre?
Sì e io guardavo, mia madre mi portava alla sarta e io non volevo andare per imparare la cucina.
Per caso ci sono dei piatti che non si preparano più? O è rimasto tutto come prima?
No è lo stesso, anzi quando vai nei ristoranti ora escono tutta la roba di prima, che si usava prima, è tornata di moda. I diavolicchi, i peperoncini, i piatti tipici.
Secondo te cosa è un piatto tipico, quando si dice piatto tipico che cosa è?
Sono delle cose che si usavano una volta, non come adesso che tutti so prosciutti, mortadella, questo quest’altro, “briosce”, le cose tipiche sono cose fatte in casa.
Quindi questo è un piatto tipico, questo che stai facendo tu?
Sì
Ma questo modo di dire “piatto tipico” è qualcosa che si sente ora o si usava anche quando eri piccola tu?
Nono quando ero piccola io si usava quello e basta, una pasta al forno quando andavamo agli sposalizi.
Quindi non si usava dire piatti tipici, era tutto normale?
Non si vedeva l’ora di andare agli sposalizi per mangiare un po di carne in più che prima si mangiava la pancetta, il grasso del maiale.
Ma la mangiavate spesso la carne in famiglia?
No si comprava il lardo.
E invece nei giorni normali? La carne si mangiava la domenica?
Sempre legumi, pasta e pomodoro e un po di lardo, la domenica un pezzettino di carne, la festa grande l capuzzeddr.
Che cos’è la capuzzedd?
La testina dell’agnello o dell’agnellone.
Conosci qualcun’altro che la prepara in un altro modo o la fanno tutti così?
No non la sanno fare e allora preparano quelle schiacciate che sono più facili.
Ma si cucina solo a Gravina questo piatto? O si fa anche in altri posti?
No io penso solo qua. L’ho visto in televisione anche ma quando li friggono li prendono col cucchiaio, invece io ho tutto un altro procedimento.
E quindi non si mette niente dentro?
Niente. A Matera mettono l’uva sultanina. Si potrebbe mettere un po’ di uva sultanina. Guarda come si allunga. Allora più la lavori e più lunga diventa.
E quindi qual’è la cosa più importante di questa ricetta?
Che si allunga la pasta, deve prendere il filo.
Quindi quali sono gli ingredienti?
Farina sale zucchero e acqua e lievito.
Ma ti regoli ad occhio?
Ad occhio, va un lievito sopra un chilo, un chilo e mezzo. Beh adesso basta.
Quindi questa quantità per quante persone va bene?
Molte persone. Che poi le pettole le vendono 3,4 pettole a un euro, in piazza. Anche in piazza le vendono quindi
Ma solo alle feste?
Si alle feste. C’è qualcuna come me chiù all’andic (più all’antica) ca l sep’ fè, le sa fare.
Però in genere si fa quando c’è tanta gente alle feste. E come si mettono, tutte in piatto?
Si possono fare anche con il vincotto, sempre fritte e poi messe nel vincotto. Beh mi vado a sciacquare le mani che le dobbiamo coprire. Non metto olio di semi.
Cosa stai facendo?
Sto mettendo l’olio, olio di oliva.
Ma l’hai comprato?
No lo facciamo noi.
Perchè quello comprato non è buono come quello che fate voi.
Ci sono sempre trucchi.
Cioè?
Cioè non lo so quello che mettono, specialmente ai tempi di adesso.
L’impasto quanto tempo deve lievitare?
Un oretta perché fa caldo.
Perché l’hai coperto?
Perchè deve lievitare.
E sei brava?
Ma io non lo posso dire.
Però ti fa piacere sentirtelo dire. Ma conosci altre donne brave in cucina?
Insomma si, c’è qualche altra nel paese.
Giusto qualche altra?
Giusto qualche altra senò le fanno venire piene di olio
E’ importante saper cucinare bene secondo te, almeno quando viene qualcuno fai vedere le tue bravure!
Hai qualche negozio di fiducia dove vai a fare la spesa? I latticini per esempio.
Si i latticini c’è Ricciardi qua sotto.
E come mai vai sempre in questi negozi?
Perché sono più “fidabili”, li conosco. Mi danno la roba fresca.
E secondo te quali sono i prodotti tipici di Gravina? Esiste qualche latticino?
Il pecorino anche se io non lo mangio.
Quindi stai mettendo l’impasto nell’olio. Come fai a capire quando sono pronte?
Devono diventare un po rosse, mo sono le prime e sono ancora bianche.
Grazie di tutto Isa
Prego
Buon appetito.
ricetta preparata da Isabella Lofrese
intervistata a Gravina di Puglia (BA) il 2009-09-02
da Filippo Gramegna
La “ Cuccia ” è un piatto tipico ed esclusivo di Castelmezzano, piccolo paese sulle “Dolomiti Lucane” in provincia di Potenza, soprannominato piatto dei poveri. Non si conosce l’origine ma si ha la certezza che questa tradizione si tramanda da più di un secolo in occasione della festa di Santa Lucia che si celebra il 13 Dicembre.
Gli ingredienti per fare la “Cuccia” sono: “Fave, Grano, Ceci e Cicerchie”.Per preparare il piatto si mettono tutti gli ingredienti in un pentolone, più conosciuto in dialetto Castelmezzanese come “Caudar” o “Pignat di creta”, con aggiunta di acqua e si fa bollire per circa due o tre ore. Un buon consiglio per degustare la “Cuccia” è prelevarla dal pentolone con un mestolo, metterla in un piatto con un pizzico di sale e mangiarla con un buon bicchiere di vino locale.
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