Cucina Lucana

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Frizzuli con ragù di carne (Nova Siri)

Frizzuli con ragù di carne (Nova Siri)

Intervista a Rosa Bruno

Realizzata da Maria Molfese

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Cosa prepariamo oggi?

Frizzuli con ragù di carne.

Per quante persone è questo sugo?

Per circa 6 persone.

La salsa la fai tu?

Sì.

In che periodo dell’anno si fa la salsa?

Luglio-Agosto.

I pomodori sono i tuoi?

Sì, sono i nostri.

Fai anche il maiale?

Sì.

Quando?

Verso la fine di dicembre.

Per quanto tempo deve cuocere?

Almeno un paio d’ore.

Di che anno sei?

1970.

Quando tu eri piccola, i frizzuli erano un piatto per i ricchi o per i poveri?

Per i poveri.

Perché?

Perché comunque è un piatto che ci va solo acqua, farina e sale.

E l’uovo?

L’uovo chi lo vuole mettere. Non è obbligatorio.

Quando ti accorgi che la pasta è pronta?

Quando diventa uniforme, bella liscia e compatta.

Le uova sono tue?

Sì.

Hai le galline?

Sì.

Quante?

Dieci.

Come prepari la pasta?

Taglio la pasta e formo dei serpentoni, dopodiché formo dei bastoncini, all’incirca questa misura: un palmo di mano.

Che cos’è quest’attrezzo?

Questo è un “frizzulo” ed è usato per fare la pasta in questo modo.

Come si chiama in dialetto novasirese la spianatoia?

“U SCANATUR”.

I frizzuli si cucinano per le festività o per qualche ricorrenza di solito?

E’ un piatto domenicale anche, e per le festività.

Quando tu eri piccola, il sugo con la carne si faceva spesso?

Sì perché non sono tanto grande. Adesso li copro con un canovaccio fino a quando li dobbiamo cuocere come una pasta normale.

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A culummr. Preparazione delle focacce (Nova Siri)

A culummr. Preparazione delle focacce (Nova Siri)

 

Intervista a Maria Vincenza Milione, Marenza D’Armento e Nicola D’Armento realizzata da Maria Pastore

Allora, io ora devo impastare un po’ di pasta perché devo farci una focaccia, vediamo il forno altrimenti poi li bruciamo, e faccio una focaccia così la mangiamo oggi. (Cenzina)

Quindi, tu, con la focaccia vedi com’è il forno?                                                                                                            

Sì. Facciamo un po’ di pasta, ci facciamo due focacce così le mangiamo oggi, e in più vediamo il forno altrimenti se li metti direttamente (I Culummr) si bruciano. (Cenzina)

Metti la stessa farina dei biscotti?                                                                                                                                      

No. Nei biscotti ho messo un po’ di farina bianca, mista, metà e metà. Invece il pane lo faccio solo di grano duro e anche la focaccia.                                                                                                                              Questa solo acqua e sale e lievito, come se facessi il pane. (Cenzina)

Marenza, vedi se c’è l’acqua tiepida. (Cenzina)

Il sale, dov’è? Vedi Marenza forse è là dietro. (Cenzina)

Questo quanto tempo?                                                                                                                                                          

E questo più o meno un paio d’ore perché diamo il tempo che fanno i biscotti e poi facciamo le focacce, così poi li inforniamo tutti nel forno, prima le focacce e poi i biscotti, cioè I Culummr. (Cenzina)

Questo è per fare le focacce, è un altro impasto, è senza niente, acqua e sale questo e ci dobbiamo fare le focacce, c’è anche il lievito.(Cenzina)

Riguardo al  lievito, hai usato quello di birra?                                                                                                                    

Sì, quello di birra. Prima usavamo il lievito madre, però ora siccome il pane non lo fa più nessuno, allora questo lievito che sta tanto. Lo facciamo con il lievito di birra. (Cenzina)

Come si faceva il lievito madre?                                                                                                                                          

Il lievito madre, ad esempio oggi facevo questa pasta, ogni volta che facevamo il pane tenevamo una tazza piena di lievito. Quando dovevamo fare il pane, la sera prima, con questo piccolino facevamo un bel lievito grande come un pane, e il giorno dopo ci impastavamo il pane. (Cenzina)

E’ cresciuta, poverina, senza essere coperta è cresciuta! (Cenzina)

Questi li sto friggendo per fare una focaccia. (Cenzina)

Cosa c’è dentro?                                                                                                                                                               

I peperoni, ora ci metto il pomodoro nel boccaccio (contenitore di vetro) che abbiamo fatto noi.           I peperoni anche sono i nostri, sono stati congelati nel congelatore, vengono bene. Ora li soffriggo, ci metto il pomodoro e poi facciamo le focacce. Facciamo il pranzo oggi. Poi ho fatto un po’ di bietole, facciamo i calzoni con le bietole e li mangiamo oggi. (Cenzina)

Le fai sempre queste focacce?                                                                                                                                 

Sì, ogni tanto. Li faccio anche ai miei nipoti quando si riuniscono con i compagni,  gliele faccio e trascorrono una bella serata davanti casa, sotto la tettoia e mangiano, ora che viene il bel tempo. Ai compleanni li faccio sempre, solo che da ora in avanti inizio ad arrendermi, sto diventando anziana.(Cenzina)

Il sale. (Cenzina)

Quanto sale ci metti?

Lo metto così, più o meno come quando fai la minestra. Non lo misuro il sale, lo metto così.                  Ora vado a prendere l’aglio. (Cenzina)

L’origano dove l’hai preso?                                                                                                                                         

L’origano anche l’abbiamo fatto noi, l’abbiamo piantato un pochino e tutti gli anni lo facciamo quanto basta per la casa. Prima si comprava poco, quando stavamo in campagna compravamo poco, era tutto nostro, il pollo, l’agnello, ora chi lo fa più, mio marito è morto, io divento anziana, i miei figli lavorano e non fanno più questo lavoro e quindi non le facciamo più  queste cose. (Cenzina)

A cosa ti serve la cipolla?                                                                                                                                                 

Con la cipolla ci facciamo la focaccia, ora la friggiamo un po’ e poi ci facciamo la focaccia.(Cenzina)

Anche la cipolla è vostra?                                                                                                                                                       

Sì. Anzi quest’anno ne abbiamo fatta poca, sempre perché io sono anziana. (Cenzina)

Quindi tutta roba genuina qua?                                                                                                                                     

Sì, fino ad ora sì, da oggi in avanti non lo so i giovani che fanno. (Cenzina)

Versa olio. (Cenzina)

Dimmi basta. (Marenza)

Marenza, ora devi farmi le pinne per i falagoni. (Cenzina)

Le devo stendere? (Marenza)

Falli a panino ora e poi li dobbiamo fare con u lagnaturicc (un mattarello piccolo). (Cenzina)

Ma nello stesso momento o dopo? (Marenza)

Sì, dopo che hai fatto i panini. (Cenzina)

Panini intendi che li devo solo un po’ così rotondi. (Marenza)

Sì, non farli assai. (Cenzina)

E a cosa servono questi?                                                                                                                                         

Questi servono per fare i calzoni con la verdura. (Cenzina)

E in dialetto come si chiamano? (Marenza)

I falagun, diciamo noi in dialetto, con la verdura dentro, con gli spinaci. Io oggi ho la bietola, che è nostra, spinaci non ne ho. (Cenzina)

Prendi il mattarello che le facciamo. Ora devo preparare il forno. (Cenzina)

Quanto grandi li devi fare?                                                                                                                                             

Più che grandi, bisogna guardare, secondo me, allo spessore dell’impasto, perché deve essere né troppo fine, né troppo grosso, altrimenti nel piegarlo si spezza, quindi in base anche a quello mi regolo sulla grandezza. Poi comunque chiediamo alla “maestra” con precisione e vediamo a che altezza ci possiamo fermare.(Marenza)

Va bene così. (Cenzina)

Va bene? A me sembra ancora un po’ grosso. (Marenza)

E fallo un altro po’, ma poco. (Cenzina)

Dove lo devo mettere? (Marenza)

Mettilo qua, Marenza. (Cenzina)

Tu stai preparando per le pinne?                                                                                                                             

Sì, con la verdura. (Cenzina)

Vedi se va bene. (Marenza)

Va bene, va bene, va benissimo. (Cenzina)

Ora stiamo preparando per accendere il forno. Eccolo qui il forno. Questo scanatur (spianatoio) è del 1958, quando mi sono sposata. (Cenzina)

Ma non lo usi più però?                                                                                                                                                 

Sì, ci metto le focacce quando le tiro dal forno. (Cenzina)

Ho capito.

Il forno,invece,quando lo avete costruito? (Marenza)                                                                                           L’abbiamo costruito nel ’68 /’69. (Cenzina)

E’ sempre rimasto questo?

Sì è sempre rimasto questo. Ora è diventato vecchio, però è inutile fare il nuovo, chi lo fa il pane? (Cenzina)

Quanto è grande?                                                                                                                                                          

Ci vanno dieci pani. (Cenzina)

Come si chiama questo strumento?                                                                                                                        

Questa è la pala per infornare e per sfornare. Ora sto togliendo un po’ di cenere perché è troppa. Questo straccio qui è u munnl,  per pulire il forno. Questo è u rambin, per tirare la brace.(Cenzina)

E questi oggetti li avete fatti voi?

Quali?(Cenzina)

Questi qua che stai usando.                                                                                                                                                

Sì, li ha fatti mio figlio. (Cenzina)

Dobbiamo iniziare ad accendere il fuoco? (Nicola)

Sì. Oggi ho questi ragazzi che mi animano. (Cenzina)

E beh sì, è bello questo che in qualche modo vengono riprese e che portiamo avanti queste tradizioni. (Nicola)

Tu che stai facendo?                                                                                                                                                                

Io devo iniziare ad accendere il forno perché dobbiamo infornare tra un po’, la nonna mi dice che è tutto pronto. (Nicola)

Tra un’ora (si inforna). (Cenzina)

Ci vuole un’ora per portarlo a temperatura giusta. Questa è la prima legna che servirà a dare fuoco alla miccia. Possiamo no, Marenza? (Nicola)

Credo di sì. (Marenza)

Ecco. Abbiamo dato fuoco alla prima legna. (Nicola)

La legna è vostra?                                                                                                                                                                   

Sì, la legna la facciamo noi. E’ la potatura delle olive che poi  facciamo a fascine, vengono così’ chiamate, si secca e quando servono li usiamo per ardere  il forno. (Nicola)

Questa è la verdura, l’ho salata. (Cenzina)

E’ verdura cruda o l’hai lessata?                                                                                                                                                

No, cruda, tagliata a pezzettini e salata. (Cenzina)

E si chiamano in dialetto nostro novasirese i falagun chi iet. (Nicola)

Con le? (Marenza)

Iete, bietole. (Nicola)

Queste cosa sono?                                                                                                                                                                   

Questi sono i ciccioli del maiale e devo farci la sfogliata. Solo che ora sono congelati, ho dimenticato di farli prima e ora li devo fare al momento. (Cenzina)

Come li hai conservati nel freezer?                                                                                                                             

Questi li ho messi sotto sugna (strutto) e messi nel frigo. Dovevo togliergli ieri sera o stamattina, ma mi sono dimenticata. (Cenzina)

E per tradizione si prende un coltello e si dà su. (Marenza)

Pazienza. (Cenzina)

E adesso che fai?                                                                                                                                                         

Adesso li faccio sciogliere sul fuoco e ci faccio la focaccia, se ci riesco, la Madonna deve aiutarmi. (Cenzina)

Vedi Maria, il forno va benedetto, mettiamo  nel forno un pezzo di palma benedetta e si benedice. (Nicola)

Si mette (la palma) per far benedire il forno?                                                                                                                   

Sì, è una nostra tradizione del periodo pasquale. (Nicola)

Cosa stai lavorando?                                                                                                                                                                 

Stiamo facendo le focacce, le stiamo schiacciando, poi ci mettiamo i condimenti sopra. (Cenzina)

Questa non è cosa mia, non ci riesco. (Marenza)

Questa non la sai fare. (Cenzina)

Non l’ho mai capita come si fa. (Marenza)

Scusa Marenza ti posso insegnare io? (Nicola)

Ecco! (Marenza)

Metti una mano qua e con l’altra spingi, altrimenti non l’allargherai mai. (Nicola)

Ma perché dice che non la devo strappare. (Marenza)

Ma non devi farla solo in mezzo, anche intorno. (Cenzina)

Che cos’è?                                                                                                                                                                         

Questa è la sfogliata con i ciccioli del maiale, con lo strutto, tutto insieme. “Come si mangia bene!” (Cenzina)

Sapessi a chi la devo fare questa? Questa solo perché le altre sono le nostre. (Cenzina)

Questa è a cela forn, la mettiamo quando c’è già la fiamma nel forno, è più saporita. (Cenzina)

Nel frattempo tu che stai facendo?

Sto facendo questi calzoni con la verdura. (Cenzina)

Cosa ci metti dentro?                                                                                                                                                             

Un bietola a pezzettini e poi condita con aglio, peperone e olio. Noi lo chiamiamo u falagon con la verdura. (Cenzina)

Forncè (forno) non mi far arrabbiare! (Cenzina)

Quindi inforni prima le focacce?                                                                                                                                  

Sì, e poi mettiamo i cullur. (Cenzina)

Per i cullur il forno deve essere forte oppure no?                                                                                                  

Deve essere né tanto forte ma nemmeno lento, lento. Una via di mezzo. (Cenzina)

Le focacce le hai messe nella tortiera?                                                                                                                      

Un po’ per terra e un po’ in tortiera. A seconda dei gusti.(Cenzina)

Qual è la differenza?                                                                                                                                                      

Beh, per terra cuociono sul mattone, son ben cotte. Invece nella tortiera c’è un po’ di olio, vengono come se fossero fritti, hanno un sapore migliore. Però c’è chi li preferisce per terra perché vengono più croccanti .(Cenzina)

 

 

 

 

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A Culummr (Nova Siri)

Intervista a Maria Vincenza Milione, Marenza D’Armento, Nicola D’Armento Realizzata da Maria Pastore

Intervista

Allora, mettiamo sei chili di farina e sei cucchiai di sale, poi un lievito e una metà perché fa freddo altrimenti bastava solo un lievito. Poi metto dodici uova. (Cenzina)

Sono tue le uova?  

Sì, le uova sono produzione propria.  Quindi dodici uova, un bicchiere a chilo di vermouth bianco, un po’ di magnesia. (Cenzina)

Perché la magnesia?                                                                                                                                                        

Per farli crescere e poi metto sei cucchiai di strutto.

Lo hai comprato (lo strutto)?                                                                                                                             

No,no, è mio! (Cenzina)

Quindi fai il maiale?                                                                                                                                                     

 Sì .L’ho fatto io. (Cenzina)

Marenza conta ! (Cenzina si riferisce ai bicchieri di strutto da versare nell’impasto).                                                     Nonna, quanto hai detto che ce ne devi mettere? (Marenza)                                                                                                 Uno a Chilo. (Cenzina)                                                                                                                                                                          E quanti chili sono? (Marenza)                                                                                                                                                        Sei. (Cenzina)                                                                                                                                                                                    Allora sei bicchieri di strutto, siamo ancora a tre! (Marenza)

Un po’ di acqua tiepida (Cenzina la versa nell’impasto)  e un altro pezzettino di lievito perché fa freddo.

Ai tempi nostri la impastavamo a mano, ora c’è l’impastatrice. (Cenzina)                                                                           Nonna, ma deve essere dura la pasta? (Marenza)                                                                                                                            E insomma deve essere né troppo dura né troppo umida, deve essere giusta. (Cenzina)

Quando eri piccola hai imparato a fare questi Culummr?   

E si con mia madre li abbiamo sempre fatti, le tradizioni antiche! (Cenzina)

Ora possiamo impastare! (Cenzina)

Quanto tempo deve impastare?                                                                                                                                       

Un quarto d’ora.

Nonna, ma tua mamma era di Terranova? (Marenza) Sì! (Cenzina)

Era di Terranova?         

Sì! Questa è una ricetta di Terranova che ha fatto sempre mia madre, poi io mi sono trasferita qua (a Nova Siri), sono sessant’anni che sono qua, mi sono adeguata con mia suocera e lo stesso li abbiamo fatti. (Cenzina)

Ma tua suocera li faceva uguali alla tua ricetta di Terranova?   

E sì, più o meno sì. (Cenzina)

Quindi questa ricetta è proprio tipica di Terranova?

Sì!(Cenzina)

L’olio ti serve per l’impasto?       

Sì, per l’impasto. (Cenzina)

Quando impastavi a mano ci voleva più tempo?                                                                                                                  

E sì, fatica! Ci volevano le braccia per lavorare la pasta. Ora se non ci fosse l’impastatrice non ne farei più perché le braccia non ce la fanno. (Cenzina)

Ascolta, ma in questa casa ci fai tutti i lavori?                                                                                                                

Sì. Ci ammazzavamo il maiale una volta, ora nemmeno quello facciamo più, il pane di casa e poi ci facciamo tutti questi servizi qua, la salsa anche. La teniamo solo per fare questi servizi qua, è una cucina grezza. (Cenzina)

Ma tu cucini sempre?                                                                                                                                                                                  

E insomma, tutti i giorni! Ci sono i miei nipoti e allora … Ora ho Marenza che mi aiuta un po’, altrimenti sola sola che farei, Marenza mi aiuta invece Floriana non ne vuole sapere. (Cenzina)

Floriana è l’altra nipote?                                                                                                                                              

Sì,è l’altra nipote. (Cenzina)

Nonna, ma nessuno dei giovani ne vuole sapere. (Marenza)

Non ne vuole sapere più nessuno quindi queste tradizioni vanno a finire, maiale, salsa, pure la cucina tra poco! (Cenzina)

Ci vuole un altro po’ di acqua nell’impasto! (Cenzina)

Ora dobbiamo prendere la coperta perché deve stare al calduccio un po’! (Cenzina)

Nonna, quante generazioni ha questa coperta! Era di nonna Maria? (Marenza)

Era di nonna Maria, di  mia madre, l’ha fatta lei. Io però la tengo solo per fare questi lavori. (Cenzina)

Quindi ci metti a riposare la pasta?                                                                                                                                  

Sì, ci metto a riposare la pasta. Dopo che ha finito di impastare l’impastatrice la metto a riposare un pochino al calduccio, e poi facciamo le forme, la Corona di Gesù si chiama questa ( Cenzina fa riferimento alla Culummr)

Nonna, fammi capire, quando tua madre ti ha insegnato come ti ha detto, dobbiamo fare? (Marenza)

No, non è che mia madre mi ha insegnato, dietro a lei ho fatto pure io: vedendo di fare, saper di fare. (Cenzina)

Nonna, quanti anni avevi? (Marenza)

Avevo dodici, tredici anni, già facevo tutto con mamma, facevo il pane, perché come lo faceva mamma lo facevo anche io. A quel tempo poi non andavamo sempre in giro, stavamo sempre intorno alle mamme e allora abbiamo imparato anche noi a fare tante cose, abbiamo imparato a fare il maiale, a fare tutto. Invece i giovani di oggi stanno con il computer in mano, stanno con il telefonino, non ne fanno di queste cose.                                                                                                                    Poi ci vuole anche passione, noi eravamo due sorelle, mia sorella non ne voleva sapere, a lei  piace solo mangiarle queste cose, già mi ha raccomandato: “Non fare queste cose perché poi ti stanchi e non stai bene”! Però poi se gliele mandi, le mangia! (Cenzina)

A San Severino c’era un giorno tipico per fare questi Culummr?                                                                                        

E sì, a Pasqua. (Cenzina)

Nella settimana Santa?                                                                                                                                             

 

Sì, nella settimana Santa. (Cenzina)

E poi cosa ci facevate con questi Culummr?                                                                                                                       Li mangiavamo! Uno lo regalavi ad un amico, come facciamo anche ora, non li mangiamo tutti noi! Uno ad un amico, uno ad un fratello, un altro ai nipoti e si consumano. E’ la tradizione di Pasqua! Poi ai tempi nostri non c’era niente, c’erano solo questi e allora questi cullur che sapore avevano! Oggi, non ne vogliono! (Cenzina)

Hai assaggiato la pasta?                                                                                                                                                         Sì, se è buona di sale. (Cenzina)

E’ buona di sale?                                                                                                                                                                

 Mi pare che è buona! Speriamo! (Cenzina)

Buona di sale che significa?                                                                                                                                              

E beh, se è salato è brutto e se è dolce non hanno sapore. La minestra deve essere giusta di sale, con la speranza che ce la facciamo venire giusta. (Cenzina)

Questa è una casa che è sempre in disordine! (Cenzina)

Prima si sentiva di più la tradizione perché li facevano tutti, ora non ne fa più nessuno, la gente è diventata moderna, non ne fanno più. C’è qualcuno che ancora li fa’! (Cenzina)

Quanto tempo devono lievitare? (Marenza)

Un paio d’ore. (Cenzina)

A cosa serve quell’acqua?                                                                                                                                     

Serve per riscaldarla e metterla nell’ impasto, se è necessario un altro goccino la devo mettere calda altrimenti poi non lievita bene. (Cenzina)

Quando eri giovane ti aiutava qualcuno?                                                                                                                  

Mia mamma, mia zia, queste cose si facevano in compagnia. A Natale, per esempio, facevamo i crisp (le crispe o pettole), anche lì ci voleva gente per friggerli, eravamo in tre a friggere; ora a fare queste cose (i culummr) da sola li fai però se c’è qualcuno che ti aiuta è buono. Piano piano li farò, poi viene Nicola, mio figlio, a fare il forno e mi aiuta. Poi tante cose da sola non si possono fare, anche perché ho la mia età. (Cenzina)

Quanti anni hai?                                                                                                                                     

Settantanove. (Cenzina)

Prendiamo un altro po’ di acqua tiepida altrimenti si raffredda la pasta. (Cenzina)

Cumma Cenzina, come si chiama questo strumento?

Questo lo chiamiamo u scanatur (spianatoio), dove scaniamo tutto; ora in italiano non so come si chiama, figlia mia! (Cenzina)

Lo hai comprato o lo hai fatto fare?                                                                                                                                             

Lo ha fatto il falegname. Questo è più nuovo, quello lì invece è di quando mi sono sposata, ha settanta anni. (Cenzina)

Sai che legno ha usato il falegname?                                                                                                                

Noce. Abete o noce. (Cenzina)

E questa che hai in mano cos’è?                                                                                                                                               

Questa è a crscend, ci si taglia la pasta con questa. (Cenzina)

Ma soprattutto a crscend serve perché u scanatur deve essere sempre pulito, questa è la prima cosa che mi hai insegnato. (Marenza)

E infatti. U scanatur sempre pulito. Non deve essere sporco, tutto roccl ( grumi di farina) deve essere pulito perché devi farci la pasta. (Cenzina)

Quanto tempo deve stare nell’impastratrice? (Marenza)

Ha quasi finito. Poi deve stare una mezz’oretta o più là (indica le coperte). (Cenzina)

Quindi qui è già pronto per riposare?                                                                                                                         

Per riposare un po’. La copriamo bene perché non si raffredda (la pasta). (Cenzina)

Perché la copriamo?                                                                                                                                                  

  Perché deve lievitare altrimenti se si raffredda non lievita bene. (Cenzina)

A Nova Siri si chiamano allo stesso modo?                                                                                                                  

A Nova Siri li chiamano I Clummr, questa che facciamo con l’uovo. (Cenzina)

Perché si chiamano così?                                                                                                                                         

Prima li chiamavano così gli antichi, ora nemmeno li chiamano più così. Sembra la Corona di Gesù, intrecciata con le uova, come quando hanno messo la corona a Gesù, li chiamavano I Culummr.   Invece nel dialetto di Terranova li chiamavano I Czzol c l’ ov. (Cenzina)

E tu ora li chiami così, I Clummr?                                                                                                                                             

E sì, li chiamo così perché sono sessant’anni che sono qua. Avevo quattordici anni quando sono venuta qua a Nova Siri. Mio padre, per lavoro, è venuto qua a lavorare e ci siamo trasferiti a Nova Siri. Dal 1954 che siamo qua. Poi mi sono fidanzata, mi sono sposata e sono venuta in questa zona. Prima stavamo vicino lo Scalo (Nova Siri Marina) a lavorare in una campagna con mio padre e mia madre. Poi sono venuta qua, dal 1958, quando mi sono sposata. (Cenzina)

La domenica, per esempio, fai qualcosa fatto in casa?                                                                                           

Sì, faccio la pasta fatta in casa: tagliatelle, rascatell, così con le dita, poi faccio quella con il ferro, i frzzull. Ai miei nipoti piacciono e allora li faccio sempre. (Cenzina)

Ti piace quando ti dicono sei una brava cuoca?                                                                                                          

Insomma, la stanchezza c’è, dico “mi prendete in giro”.Oh Dio, i complimenti piacciono a tutti, però ormai siamo grandi. (Cenzina)

Penso sia buona! Ecco, ora la prendiamo! (Cenzina)

Più o meno, quanti ce ne vengono in questi chili di pasta?                                                                                      

Una decina.

Adesso che fai?                                                                                                                                                             

Adesso la scano un po’, faccio i bastoncini e la metto qui a riposare, vedi?

Marenza , coprila che è calda! (Cenzina)

Che significa la scani?                                                                                                                                      

L’aggiusto un po’, faccio i bastoncini perché poi devo fare I Cullur. Li prendo uno alla volta e ci faccio u Cullur. (Cenzina)

Ma perché dici che non si deve raffreddare? Perché non lievita? (Marenza)

Sì, non lievita e poi non vengono bene. L’accortezza che devono lievitare, anche il pane si fa così. (Cenzina)

Ma il pane ha una ricetta diversa da questa?                                                                                                           

E sì, è un’altra ricetta, un altro impasto, senza strutto solo acqua e sale. (Cenzina)

Marenza, a te piace guardare la nonna fare queste cose?                                                                                     

Certo! Se non le portiamo avanti noi queste cose chi le deve portare avanti! (Marenza)

Marenza è cresciuta con me e quindi li ha visti di fare quando era piccola, veder di fare, poi, saper di fare. (Cenzina)

Cosa hai messo, non è origano, come si chiama? Finocchietto? (Marenza)

Finocchietto sì. (Cenzina)

E il finocchietto dove l’hai preso?                                                                                                                            

L’ho preso nelle campagne, veramente da Terranova che è bello profumato. Si vende anche nei negozi, però io preferisco questo qui perché è bello profumato. (Cenzina)

E dà un sapore diverso alla pasta?                                                                                                                              

Sì. Magari c’è qualcuno che non potrebbe piacergli, a me piace e lo metto. (Cenzina)

Quindi hai messo una coperta più fine e un’altra più pesante?                                                                                

Sì, e ci vuole una coperta di lana che deve stare calda la pasta. E poi facciamo le forme, anche quelle le mettiamo a crescere di nuovo, dopo devono  crescere un’oretta. (Cenzina)

Quindi adesso quanto deve riposare?                                                                                                                                

Una mezz’oretta, tre quarti d’ora. (Cenzina)

Quante uova hai raccolto?                                                                                                                                               

Ne ho messe dodici nell’impasto e altri trenta sono qua, li devo mettere sopra. (Cenzina)

Quante ne metti per ogni cullur?                                                                                                                             

Dipende, alcuni li faccio ad un uovo, altri a due, per esempio ai miei figli lo faccio a tre (uova), ora vediamo, se ci bastano (le uova) anche ai nipoti lo faccio a tre. (Cenzina)

Adesso che fai?                                                                                                                                                                       

Adesso sto tagliando per fare questa culummr, per fare la forma. Questa, la prima, la faccio a mio figlio. (Cenzina)

Perché proprio a tuo figlio per prima?                                                                                                                                        

E noi facciamo così, ai grandi. Quando c’era mio marito, la prima la facevo a mio marito, ora la faccio ai miei figli, poi ai nipoti, a seconda di come sono nati, insomma. Era l’usanza di una volta, ora non c’è più usanza. (Cenzina)

Quindi cosa hai fatto, hai intrecciato?                                                                                                                          

E sì, la sto intrecciando per mettere le uova. (Cenzina)

Quante trecce fai ogni uova?                                                                                                                                        

Due. Un paio di trecce ogni uova, ora la vado a chiudere e qui ne metto un altro. Questo è di mio figlio Tonino. (Cenzina)

Perché è il più grande?                                                                                                                                                        

E’ il più grande.

Tu fai le decorazioni.(Si rivolge alla nipote)

Eccola qui la corona di Gesù. (Cenzina)

Perché proprio le uova?                                                                                                                                                    

E cosa metti altrimenti! La tradizione dell’uovo di Pasqua, perché c’è l’uovo di Pasqua; questa è quella naturale, poi c’è il cioccolato di Pasqua, la colomba Pasquale. (Cenzina)

Fai un po’ più grande! (Cenzina)

Più lunghi o più grandi? (Marenza)

Più lunghi. (Cenzina)

Quindi queste sono le decorazioni?                                                                                                                                     

Sì. Questa qui è di zio Tonino. Questa qui la faccio a Nicola. (Cenzina)

Al piccolo. (Marenza)

Fai un fiocchettino uno qua e un altro là. (Cenzina)

Marenza, da quanto tempo fai queste cose con la nonna?                                                                                         

Da quando era piccola ha fatto sempre le cose con me, voleva sempre fare, invece Floriana no. (Cenzina)

I cullur ho iniziato a farli quando ero grande. (Marenza)

Avevi sette o otto anni. (Cenzina)

La pasta facevo quando ero piccola. Questi invece quando sono diventata più grande. (Marenza)

Posso prendere un po’ di pasta? (Marenza)

Si certo, tieni. (Cenzina)

Come devo fare qua, devo incastrarle? (Marenza)

Sì, il giusto perché deve reggere.

Ora fai la nocchettina (fiocchetto) e la metti una qua, un’altra qua e un’altra ancora qua. (Cenzina)

Come la fai la nocchettina (fiocchetto), così?

No, non viene bene, questa è troppo fine. Fammi vedere come la fai e poi la faccio anche io. (Marenza)

Questa di papà invece la fai intrecciata, così la riconosciamo. (Cenzina)

Come intrecciata? (Marenza)

La pasta intrecciata. (Cenzina)

Ah sì, ho capito. (Marenza)

Devi fare due bastoncini … (Cenzina)

Poi uno sopra, uno sotto e stringo in mezzo. (Marenza)

Sì, e hai fatto la nocchetta (fiocchetto). (Cenzina)

Un’altra mettila qua e quella è finita. (Cenzina)

Quanto è brutta la mia nocca (fiocco)! (Marenza)

Chi te l’ha detto che è brutta!

Intrecciata poi si fa così, guarda. (Cenzina)

Ti piace decorare i piatti che prepari?                                                                                                                           

Sì mi piace, quando ci riesco. Io ora sono anziana non so fare tante cose,  faccio alla meglio. (Cenzina)

Come è venuta quella? (Marenza)

E’ venuta bella, bellissima. Quella è di zio Tonino e questa è di papà. (Cenzina)

Devo fare sopra (l’ uovo)? (Marenza)

Sì, intrecciato. (Cenzina)

Queste decorazioni intrecciate e i fiocchetti, li hai inventati tu oppure li hai visti fare?                               

Li ho visti fare a mia mamma, da piccola, e poi qualche decorazione l’abbiamo anche inventata. (Cenzina)

Questa pasta non mi piace, ora fad a crusc (fa la crusca). (Cenzina)

Cosa stai mettendo adesso?                                                                                                                                      

Sto mettendo un tovagliolino bagnato, perché ha fatto un po’ a crusc, è un po’ ruvida, allora bagnata si mantiene di più. (Cenzina)

Come mai fa la crusca?                                                                                                                                                      

Eh beh, un po’ il freddo, l’aria. (Cenzina)

Questa a chi la stai facendo?                                                                                                                                                      

A Giuseppe. (Cenzina)

Perché è il primo nipote?                                                                                                                                                     

E’ il primo nipote, sì. (Cenzina)

A Giuseppe che decorazione fai?                                                                                                                                      

Ora vediamo. A Giuseppe la facciamo così. (Cenzina)

Quando facevate queste cose a Terranova era festa? (Marenza)

E sì, era un festa. Prima non c’era niente, figlia mia, non c’erano colombe pasquali, non c’era niente ai tempi nostri. Quando facevamo queste cose eravamo ricchi. (Cenzina)

E queste qua erano per i maschi. (Marenza)

Per i maschi.  A me mamma, faceva una Pup (Pupa) grande così! (Cenzina)

E poi le facciamo anche le Pupe? (Marenza)

E certo, le facciamo. (Cenzina)

Questa quindi rappresenta la corona di Gesù e si dava ai maschietti. Ma si metteva anche a centro tavola? (Marenza)

Sì. (Cenzina)

Ma si metteva al centro quella del capofamiglia o una qualsiasi? (Marenza)

E beh, quella del capofamiglia. (Cenzina)

E l’uovo come si mangia?                                                                                                                                        

L’uovo lo mangi come vuoi. Quando vuoi mangiarlo lo mangi l’uovo. (Cenzina)

Questo di papà è finita. (Marenza)

Anche quello di Giuseppe è finito. L’ho fatta così quella di Giuseppe, guarda Maria.

Questa ora la mettiamo a crescere. (Cenzina)

Questa è di Luigi?                                                                                                                                                                     Sì. (Cenzina)

Che è l’altro nipote?                                                                                                                                                                  

E’ l’altro nipote, sì. (Cenzina)

Prima i maschi, poi le femmine. (Marenza)

Beh, prima i maschi perché sono nati per primi. La tradizione, prima, voleva così, prima ai maschi. (Cenzina)

Cumma Cenzina cosa vuol dire tradizione?                                                                                                                          

Beh la tradizione di paese tenevano a queste cose. Era un buon augurio di Pasqua. Per esempio quando li mettiamo al forno, le uova fanno tutte fiorite, è buon augurio perché le uova sono fiorite! (Cenzina)

Che vuol dire sono fiorite? (Marenza)

Ora che li mettiamo al forno, vedi. Poi certi non fioriscono e dicono “e perché la mia non è fiorita”! (Cenzina)

Ma le uova come diventano? (Marenza)

Sono tutte picchiettate le uova e allora dicono che sono fioriti. (Cenzina)

Mi pare che quella di Luigi è venuta piccola. (Cenzina)

E beh, Luigi è il piccolo! (Marenza)

Ora a tre uova ho finito, da adesso tutti ad uno. Con la speranza che crescano. (Cenzina)

E quando crescono che fanno?                                                                                                                                        

E fanno più grandi, fanno più grossi. (Cenzina)

E questo come lo facciamo? (Marenza)

Ora vediamo. (Cenzina)

Posso farci le trecce? (Marenza)

Fai le trecce. (Cenzina)

La treccia a tre. (Marenza)

La farina per fare la pasta dove l’hai presa?                                                                                                                  

Al supermercato ho preso quella bianca, poi quella di grano l’abbiamo fatta al mulino, a Francavilla, c’è un mulino che la fa, noi avevamo il grano. (Cenzina)

Quindi avete anche la campagna?                                                                                                                                          

Sì, abbiamo un po’ di campagna. Prima riuscivamo a tirarci avanti, ora il mondo è cambiato. (Cenzina)

E tu continui a fare qualcosa in campagna?                                                                                                                    

E non più perché non ce la faccio. Facevo un po’ di orto, fino all’anno scorso l’ho fatto quest’anno non lo so se ce la faccio. (Cenzina)

Produceva l’orto?                                                                                                                                                                   

Sì, per la casa non è che vendevamo qualcosa, lo facevamo solo per la casa. (Cenzina)

Questo per chi è?                                                                                                                                                               

Questo lo faccio ad un cognato mio che è anziano ed è senza moglie. (Cenzina)

C’erano anche gli uomini a farli? (Marenza)

Eh no, l’abbiamo fatti sempre e sole donne. (Cenzina)

E gli uomini cosa facevano?                                                                                                                                           

Qualche volta il forno, avvicinavano la legna per il forno. Papà poi andava a lavorare, non stava sempre con noi. Io e mamma li facevamo  insieme con  qualche parente, cognata. Un giorno li facevamo da me, un giorno da mia cognata, era così prima. Ora non ne fa più nessuno, le mie cognate, una è morta, l’altra è più anziana di me e allora non le facciamo più. (Cenzina)

Ma l’uovo simboleggia qualcosa? (Marenza)

Per esempio, la corona di Gesù l’hanno messa con i chiodi, i chiodi sono le uova, è un simbolo. (Cenzina)

 Hai raccolto stamattina le uova?                                                                                                                                  

No sono di una settimana, dieci giorni. Le galline ne fanno sette o otto al giorno. (Cenzina)

Allora questa la metto così. (Marenza)

Sì. Puoi anche non metterci niente sull’uovo, metti la treccia intorno e basta. (Cenzina)

Conosci persone che a Pasqua non fanno i cullur, ma qualcos’altro?                                                                                  

Fanno la torta, le crostate, per esempio a Rotondella fanno i pastizz. (Cenzina)

A San Giorgio fanno u pcllat. (Marenza)

Sì, ma è sempre questo. (Cenzina)

Quindi è sempre questo ma ha un nome diverso. (Marenza)

Sì , loro lo chiamano u pucclat a San Giorgio. (Cenzina)

Vicino il tuo paese, invece a Terranova lo chiamano u cullur? (Marenza)

No. A czzol di Pasqua. (Cenzina)

E ha lo stesso significato?                                                                                                                                                        

 Sì, siamo lì. (Cenzina)

Ma quando ve li scambiavate questi, il giorno di Pasqua a tavola o in un’altra occasione?  (Marenza)

Ma li mangiavamo quando capitava, ad esempio come stasera. (Cenzina)

Si consegnava ai maschi e alle femmine, o come capitava? (Marenza)

Insomma, come capitava, ognuno il suo,si diceva “Ti ho fatto u cullur”.                                                             Per esempio, io a Tonino glielo faccio perché la moglie non ne fa. Se la moglie lo avesse fatto , non glielo avrei fatto. Ora siccome non li fa nessuno, io sono la mamma e glielo faccio. (Cenzina)

A Pasqua cosa si faceva prima oltre ai cullur , come si svolgeva?                                                                                 

Si faceva l’agnello arrostito, l’agnello si è sempre mangiato a Pasqua, chi ce l’aveva, chi poteva comprarlo, figlia mia, prima c’era più miseria. (Cenzina)

E come si cucinava?                                                                                                                                                                 

Arrosto, al forno. (Cenzina)

Il giorno di Pasqua, di solito, c’era tutta la famiglia?                                                                                                                       

Sì, ci invitavamo, un giorno mangiavamo da una sorella, un giorno dall’altra. Eravamo più affamigliati , ora si è finito il mondo. Chi aveva i figli grandi sposati, (si mangiava) un giorno dai figli, un giorno dalla mamma, come si fa anche adesso. (Cenzina)

Ma quando eri piccola tu, che sei del ’39, quando il nonno è partito per la guerra, la nonna li faceva lo stesso queste cose? (Marenza)

Quando poteva, poverina, li faceva lo stesso. (Cenzina)

Il nonno è stato in guerra cinque anni? (Marenza)

O cinque o sette, non mi ricordo. (Cenzina)

Cinque, cinque. (Marenza)

Marenza, il tuo bisnonno?                                                                                                                                                   

Il mio bisnonno. La nonna mi ha raccontato di quando è andato in guerra, lui era stato mandato in Grecia, durante la seconda guerra mondiale. (Marenza)

Dunque io sono nata nel ’39, e lui è partito nel ’40, poi è ritornato uno o due mesi. (Cenzina)

Nel ’41. (Marenza)

E mamma è rimasta incinta di zio Antonio. (Cenzina)

Il fratellino. (Marenza)

Poi l’hanno richiamato di nuovo (Cenzina)

Lo avevano mandato in licenza insomma. (Marenza)

No , no. Gli avevano detto che non c’era più bisogno, invece poi l’hanno richiamato, il bambino è nato e lui non c’era quando è nato mio fratello. Quando è ritornato dalla guerra lo ha trovato che aveva quattro anni. Mio fratello non lo voleva in casa, diceva “Io non lo conosco”. (Cenzina)

E dove ha combattuto?                                                                                                                                              

In Grecia, in Germania. Poverino, mangiava le patate crude. (Cenzina)

La buccia delle patate. (Marenza)

Una volta sono andati da un signore che aveva un po’ di campagna, come questa nostra, (il signore  ha detto) me la lavori con la zappa così vi faccio mangiare oggi. Subito hanno iniziato a farla i militari, non solo mio padre, erano tre, quattro persone. (Cenzina)

Il nonno faceva quel lavoro là, era contadino. (Marenza)

Allora si sono messi a farlo questo lavoro, al momento che dovevano mangiare lo hanno chiamato. (Cenzina)

E poi non c’era anche quella storia che aveva aiutato quella ragazza e quindi lo avevano accolto? (Marenza)

E sì lo avevano accolto in casa, lo facevano stare in casa. (Cenzina)

I Greci (lo avevano accolto). (Marenza)

E poi è ritornato, Questa ragazzo voleva anche fidanzarsi con mio padre ma lui ha detto: “Io ho la famiglia”. (Cenzina)

Quindi ha salvato una ragazza?                                                                                                                                   

Ha salvato una ragazza dallo stupro, o no? (Marenza)

E sì una ragazza, ora non mi ricordo, sono tanti anni. (Cenzina)

Da quello che mi ricordo io, che mi ha raccontato lei, c’erano i soldati che volevano approfittarsi di questa ragazza. (Marenza)

A nonna, non lo so se è così, non mi ricordo. (Cenzina)

Allora, I Pup. (Cenzina)

Ah I Pup. (Marenza)

La tua , la fai tu? (Cenzina)

Eh Sì. (Marenza)

I Pup, che significa?                                                                                                                                                          

 Una bambolina, alle ragazze, alle femmine, facevamo la bambolina. (Cenzina)

Le Pupe, tu ci giocavi quando eri piccola! (Marenza)

E no, le mangiavamo. Ci andavamo a fare Pasquetta. (Cenzina)

Che facevate a Pasquetta?                                                                                                                                                       

E che facevamo, prendevamo questa Pupa, un po’ di salame che facevano. (Cenzina)

La devo allungare ancora? (Marenza)

Sì. (Cenzina)

Però forse è poca la pasta. (Marenza)

Ora vediamo, altrimenti ci metti questa. (Cenzina)

Quindi prendevate la Pupa, il salame                                                                                                                                   

 Eh sì, il salame lo faceva mamma. (Cenzina)

Ma infatti queste come si mangiano, con il salame? (Marenza)

Sì, come no, con il salame sono buoni, anche così. (Cenzina)

Allora Marenza, questa è la tua, ti piace? (Cenzina)

Quella è la mia, sì mi piace. (Marenza)

E nella Pupa l’uovo cosa rappresenta?                                                                                                                               

La faccia. (Marenza)

Sempre la tradizione di Pasqua. (Cenzina)

Sto facendo i piedini, sono venuti un po’ male, li ho fatti bene? (Marenza)

Sì. Questa è la tua, ora facci la sciarpa. Dobbiamo fare un’altra pupa. (Cenzina)

Quella a chi la fai? (Marenza)

Una a Floriana e un’altra a te. Altre le facciamo così le regaliamo, capita che viene qualche bambino, un’altra a Maria. (Cenzina)

Quindi questa cos’è?                                                                                                                                                           

E’ la bambolina per Floriana. (Cenzina)

E cosa stai mettendo adesso?                                                                                                                                  

Questa è una decorazione, una sciarpa, la bambola con la sciarpa, guarda! Ecco, la decoriamo così questa.

Alla tua ora, metti questo intorno all’uovo, e ci fai una nocchettina (un fiocchetto) in testa. (Cenzina)

Va bene. (Marenza)

Io li ho fatti sempre così, altri invece l’uovo lo mettono qui. (Cenzina)

A Nova Siri? (Marenza)

A Nova Siri. (Cenzina)

Prima ci facevo anche le braccia. (Cenzina)

Sì? Non l’ho mai viste con le braccia. (Marenza)

Mia mamma li faceva, quanto li faceva belli ! (Cenzina)

Ah queste erano le braccia! (Marenza)

Questa a Floriana, la facciamo che prega, eccola qui. (Cenzina)

Ma in Chiesa, quando eri piccola o più giovane, si mangiavano questi?                                                                                                     

Sì. E ancora c’è la tradizione che fanno i cullur di Pasqua. (Cenzina)

E cosa rappresenta?                                                                                                                                               

L’ultima cena di Gesù, lo vedi che lo fanno il giovedì. Stasera benedicono questi qua e poi li distribuiscono. (Cenzina)

Quindi li preparavate anche per la Messa?                                                                                                                    Beh sì, a volte sì, io non li ho fatti quasi mai pero’ c’era la gente che li faceva. Ora invece li fanno i forni, perché ora le persone anziane sono finite, chi li fa più! Prima li facevano. (Cenzina)

Una nocchettina (un fiocchetto) e basta. Eccola qui! (Cenzina)

Quando stendi la pasta, come la senti nelle mani?                                                                                                           

E’ bella morbida. (Cenzina)

Quindi è riuscito l’impasto?                                                                                                                                             

 Sì sì, è bello! (Cenzina)

Cullur e Culummr sono la stessa cosa?                                                                                                                

Questo è il cullur, senza uovo, si chiama cullur e basta. (Cenzina)

Ma c’è differenza tra cullur e culummr? (Marenza)

Quello è con l’uovo, è la tradizione di Pasqua che si fa solo a Pasqua. U cullur invece  lo facciamo sempre. (Cenzina)

Quindi adesso ci vogliono quante ore?                                                                                                                           Un paio d’ore, un’ora e mezza. Ora devono lievitare ancora. (Cenzina)

Nell’impasto hai messo il vino?                                                                                                                                       

Sì, un po’ di vino e di vermouth bianco. (Cenzina)

Allora, che dobbiamo fare i taralli? (Marenza)

I tarallini sì. (Cenzina)

Come si fanno? (Marenza)

Così, piccolini. Sempre con la stessa pasta, anche se questi qua li faccio senza lievito, questi tarallini piccoli, però ora è rimasta la pasta e li faccio. Eccoli. (Cenzina)

Ha fatto un po’ la crusca. Marenza, bagnati un po’ le mani. (Cenzina)

Hai messo il panno umido? (Marenza)

Sì. Per non far fare la crusca. (Cenzina)

Deve venire grande così? ( Marenza)

Va bene. Puoi già farlo questo. Puoi farlo come questo qui.(Cenzina)

Devo girarlo e fare così. (Marenza)

Sì. (Cenzina)

Forse è un po’ grosso. (Marenza)

E’ buono. (Cenzina)

Questi ora dobbiamo bollire l’acqua e dobbiamo farli. (Cenzina)

Solo i taralli?                                                                                                                                                                             

Solo i taralli. No, I culummr no. Quelli vanno fatti un po’ con l’uovo prima di infornarli. (Cenzina)

Quello è troppo fine, però ora lo fai lo stesso. (Cenzina)

Ah, ok, devo farlo più spesso. (Marenza)

Tua mamma oltre alla cucina cosa ti ha insegnato?                                                                                                         

A fare tutto,noi facevamo tutto in casa, la cucina, il pane di casa, la salsa, tutto facevamo. (Cenzina)

E la nonna andava anche a lavorare? (Marenza)

E sì, avevamo un po’ di proprietà e andavamo a lavorarci. Avevamo il grano, i pomodori, le patate. (Cenzina)

E quando il nonno è andato in guerra la nonna ha preso in mano la situazione? (Marenza)

E certo. (Cenzina)

Stavate in campagna voi, sì?                                                                                                                                            

Sì, siamo stati sempre in campagna. (Cenzina)

Ma il nonno poi si è ritirato dalla guerra? (Marenza)

Sì. Nel ’45. (Cenzina)

Come è andato il racconto? (Marenza)

Si è ritirato così bello! (Cenzina)

Ma bello, cioè?                                                                                                                                                                

Stava bene, non era sciupato, brutto dalla guerra. E’ tornato che stava bene. Gli ultimi tempi è stato bene dove è stato. (Cenzina)

Voi lo sapevate che stava tornando o ha fatto la sorpresa? (Marenza)

Ci ha fatto il telegramma, è arrivato prima papà e poi il telegramma. (Cenzina)

Ce l’hai ancora il telegramma?                                                                                                                                            

No, no. (Cenzina)

Com’era, i vicini sono venuti a chiamarvi (Marenza)

Avevo le comare nostre, come fossero loro (si rivolge alla telecamera), che abitavano in paese, allora la posta la prendevano loro e ce la portavano in campagna, da noi. Papà è venuto a piedi, la posta è andata in paese, ha preso una scorciatoia ed è venuto direttamente in campagna. Le comare sono venute in campagna e ci hanno detto “Cummà ( comara) vedete che c’è il telegramma, torna cumba (il compare) Nicola”, papà invece era già tornato.

Cumba (il compare) Nicola è a casa. (Marenza)

Ma quando era in guerra vi scriveva le lettere? (Marenza)

E certo, non ce n’erano telefonini. (Cenzina)

Ma sapeva scrivere il nonno? (Marenza)

Sì, ha imparato a scrivere durante il militare. (Cenzina)

Quindi in guerra? (Marenza)

No. Durante il servizio di leva. (Cenzina)

Questi (taralli) anche ai matrimoni li facevano. Facevano mezzo quintale di farina, mettevano dieci persone , due o tre giorni, e per i matrimoni facevano questi biscotti. Non quelli, questi!. E il vino, avevamo le vigne e facevamo il vino. (Cenzina)

Lo fate ancora?                                                                                                                                                             

Qua sì lo facciamo ancora, ma non abbiamo la vigna, compriamo l’uva. La vigna ormai chi la fa più, non ne facciamo più! (Cenzina)

Eccolo qui il forno. Questo scanatur (spianatoio) è del 1958, quando mi sono sposata. (Cenzina)

Ma non lo usi più però?                                                                                                                                                

Sì, ci metto le focacce quando le tiro dal forno. (Cenzina)

Ho capito.

Il forno,invece,quando lo avete costruito? (Marenza)

L’abbiamo costruito nel ’68 /’69. (Cenzina)

E’ sempre rimasto questo?

Sì è sempre rimasto questo. Ora è diventato vecchio, però è inutile fare il nuovo, chi lo fa il pane? (Cenzina)

Quanto è grande?                                                                                                                                                          

Ci vanno dieci pani. (Cenzina)

Come si chiama questo strumento?                                                                                                                        

Questa è la pala per infornare e per sfornare. Ora sto togliendo un po’ di cenere perché è troppa. Questo straccio qui è u munnl,  per pulire il forno. Questo è u rambin, per tirare la brace.(Cenzina)

E questi oggetti li avete fatti voi?

Quali?(Cenzina)

Questi qua che stai usando.                                                                                                                                                

Sì, li ha fatti mio figlio. (Cenzina)

Dobbiamo iniziare ad accendere il fuoco? (Nicola)

Sì. Oggi ho questi ragazzi che mi animano. (Cenzina)

E beh sì, è bello questo che in qualche modo vengono riprese e che portiamo avanti queste tradizioni. (Nicola)

Tu che stai facendo?                                                                                                                                                               

Io devo iniziare ad accendere il forno perché dobbiamo infornare tra un po’, la nonna mi dice che è tutto pronto. (Nicola)

Tra un’ora (si inforna). (Cenzina)

Ci vuole un’ora per portarlo a temperatura giusta. Questa è la prima legna che servirà a dare fuoco alla miccia. Possiamo no, Marenza? (Nicola)

Credo di sì. (Marenza)

Ecco. Abbiamo dato fuoco alla prima legna. (Nicola)

La legna è vostra?                                                                                                                                                                  

Sì, la legna la facciamo noi. E’ la potatura delle olive che poi  facciamo a fascine, vengono così’ chiamate, si secca e quando servono li usiamo per ardere  il forno. (Nicola)

Vedi Maria, il forno va benedetto, mettiamo  nel forno un pezzo di palma benedetta e si benedice. (Nicola)

Si mette (la palma) per far benedire il forno?                                                                                                                   

Sì, è una nostra tradizione del periodo pasquale. (Nicola)

I biscotti fini così, vanno messi nell’acqua bollente. (Cenzina)

Quanto tempo?                                                                                                                                                       

Il tempo che se ne vengono sopra (vengono a galla). Li metti nella pentola e se ne devono venire. Eccoli vengono a galla. (Cenzina)

Metto?(Marenza)

Tieni vuoi fare tu? Solo che devi stare attenta a non imbrogliarli, quelli cotti li metti qua. (Cenzina)

Come si chiama questo strumento che stai usando per prenderli?                                                                              

Si chiama il mestolo per fare questi lavori. E’ tutto buchi, così esce l’acqua. Prima non c’erano tante cose, con questo ci prendevano la pasta nella pentola.(Cenzina)

Come scolapasta. (Nicola)

Ora c’è lo scolapasta e non lo usano più. (Cenzina)

Allora cosa devo fare? Devo stendere l’uovo e poi devo metterci la palma o prima la palma e poi l’uovo? (Marenza)

Metti l’uovo ora. (Cenzina)

Dappertutto? (Marenza)

Sì, ungilo bello bello. (Cenzina)

Devono venire lucidi, giusto? (Marenza)

Ma l’uovo perché lo metti?                                                                                                                                                    

Per farlo venire lucido. (Cenzina)

Non farlo andare sull’uovo, altrimenti non sappiamo se fiorisce o no. (Cenzina)

Forncè (forno) non mi far arrabbiare! (Cenzina)

Ah Maria, dobbiamo mettere la palma. Nonna, la palma in prossimità dell’uovo? (Marenza)

O vicino l’uovo o uno per parte, dove vuoi metterlo lo metti. (Cenzina)

Una palma grande o piccola? (Marenza)

Una fogliolina. (Nicola)

Ma vanno bene queste piccoline? (Marenza)

Prendila sopra che sono più grandi. (Cenzina)

C’è un significato perché mettete la palma?                                                                                                                    

Per benedire questo prodotto che facciamo. (Nicola)

La palma benedetta, perché sono per Pasqua. (Marenza)

Beh, datevi una mossa, venite bene! (Cenzina)

Che devo fare?Ti passo la bambolina? (Marenza)

No, metto prima i culummr. Poi le bambole le metto davanti. Marenza mettili in una sportcell(cesta in vimini), con un panno umido, altrimenti si inumidiscono. (Cenzina)

Ma sono cotti? Chi lo sa? (Cenzina)

Mamma, sono la fine del mondo. (Nicola)

Speriamo. (Cenzina)

Poi come si dice a Nova Siri, o cott o crud u forn ha vist (O cotto o crudo il forno lo ha visto). Ha doppio significato: il forno lo ha visto perché (u culummr) c’è entrato dentro e poi lo ha visto se è cotto o crudo.(Nicola)

Quanto tempo nel forno?                                                                                                                                             

Una mezz’oretta. (Cenzina)

Abbiamo fatto una bella mangiata, in grazia di Dio, abbiamo lavorato ma abbiamo anche mangiato anche se in questo disordine, però. (Cenzina)

Se vuoi far vedere come sono belle cotte ora. Ora si vedono bene.(Nicola)

E’ fiorito?                                                                                                                                                                                                                               

 Sì, sì. (Cenzina)

Quindi cosa significa che è fiorito?                                                                                                                       

Significa che chi deve mangiarsi questa clummur, è fortunato. (Cenzina)

Questa che cos’è quindi?                                                                                                                                                        

Questa è a culummur per i maschi, invece per le femminucce abbiamo fatto la Pupa , eccola qui. E’ cotta bene nel forno, mi pare, l’abbiamo fatto bene, anche per questa volta. Ormai siamo anziani! Questa è la bambolina di mia nipote che è così legata a voler fare queste cose, per lei mi trovo che li faccio altrimenti non li avrei fatti. Lei mi ha incoraggiato tanto a farli. Prima sai come si diceva? Non c’era niente ai tempi nostri, ottanta anni fa, allora noi bambini piangevamo perché volevamo la Pupa con l’uovo, che è questa qui.

“Ven Pasqu candann, candann,                                                                                                                                  

tutti i bambini van piangend,                                                                                                                                      

 van piangend d cor, d cor                                                                                                                                                   

ca von fatt a Pup c l’ov.”

(Viene Pasqua cantando, cantando,                                                                                                                              

tutti i bambini vanno piangendo,                                                                                                                

  vanno piangendo di cuore, di cuore,                                                                                                                                  

perché vogliono fatti la Pupa con l’uovo).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I pastizz ca carn’ (Nova Siri)

I pastizzi ca carn (Nova Siri)
preparati da Maria D’Agostino
intervistata da Ilaria Laruina il 18 maggio 2013

Vi siete alzata presto stamattina?

Sì, molto presto. Perché dovevo fare i servizi e i “pastizzi” con la carne, che sono i calzoni con la carne di maiale.

Come la condite la carne?

La carne l’ho comprata stamattina dal mio macellaio di fiducia e viene condita con: uova, olio, prezzemolo, formaggio, pepe e un goccino di olio per ammorbidire.

E la prendiamo dopo?

La prendiamo dopo perché ora devo impastare, devo “ammassare” [impastare] la pasta.

Quanto tempo ci vuole per preparare questapietanza?

Bhè, un duo ore! Ora ho messo la farina, faccio una canaletta.

Quindi sono calzoni ripieni di carne?

Sì, di carne di maiale, che viene molto usata nelle nostre zone. Dopo fatta la canaletta ci metto l’olio, l’olio d’ oliva.

L’olio è della vostra campagna?

Sì, lo andiamo a raccogliere noi!

Quindi avete anche una campagna, roba genuina?

Sì, tutta roba genuina, io faccio anche l’orto, faccio l’orticello mio, che mi vado a raccogliere le cose.

Che cosa avete coltivato nell’orto?

Nell’orto mo ho fatto, sto piantando i peperoni, melanzane, lattughe, zucchine, tutto che ha a che fare con questo periodo, tutto l’orto estivo.

Adesso che state mettendo insieme all’olio?

Il sale, un pochino di acqua e inizio ad ammassare.

Perfetto. E’ una pietanza tipica di Nova Siri?

Sì, di Nova Siri e però anche di un paese vicino che si chiama Rotondella. Un paese molto vicino alle nostre abitudini di Nova Siri.

Per quante persone state preparando?

Per quattro persone.

Da chi avete imparato a fare questa pietanza?

Da mia mamma, da piccola. Adesso la sto ammassando la pasta.

La carne l’avete presa dal vostro macellaio di fiducia?

Sì, di fiducia!

Avete la campagna, l’orto?

Sì,facciamo tutto noi, abbiamo le olive, ci facciamo l’olio.

Ma trascorrete molto tempo in cucina?

Sì, perché mi piace. Mi piace cucinare e fare le cose che mi ha insegnato mia madre da piccola, specialmente la pasta di casa, che sono i “frizzuli” (fusilli lunghi) con la mollica, i “rascatelli”.

Nella pasta per i calzoni quali ingredienti mettete?

Nella pasta ci metto: un bicchiere di olio d’oliva, un pizzico di sale e un pochino, un bicchiere di acqua tiepida. Così si amalgama bene, si ammorbidisce con l’acqua calda.

La carne come la condite?

La carne la condisco con cinque uova, prezzemolo, formaggio pecorino, specialmente pecorino, il sale, il pepe e il prezzemolo.

Va bene. Eh, a che età avete imparato questa pietanza?

Questa pietanza, da molto piccola!

Avete imparato da piccola a cucinare, perché?

Sì, perché, perché avevo otto anni, perché mia mamma andava a lavorare in campagna, mi lasciava mio fratello di quattro anni. Io dovevo badare alla casa e a cucinare e quindi ho dovuto imparare, con piacere!

È un procedimento molto lungo? (per preparare i calzoni)

Molto lungo, sì, per questo ci vuole molto tempo, però alla fina ne vale la pena perché è buono!

I tempi di cottura dopo, di quanto saranno?

Eh, ci vuole una mezzora. Sì, perché bisogna farli cuocere bene, perché se no poi la carne rimane cruda.

Questo che attrezzo è?

Si chiama la “rasarola” in dialetto, che raccoglie tutta la farina e l’impasto.

Sarebbe una palettina?

Sì, una palettina!

È molto antica e tradizionale?

Sì, della tradizione, questa è fatta a mano da un fabbro. Adesso la taglio (la pasta), così la impasto meglio, dopo che ho raccolto tutto!

Eh, quanto tempo ci vuole per impastare?

Mezzora ci vuole, perché la devi lavorare bene, perché deve venire liscia, la pasta deve venire molto liscia, non a grumi!

La fate spesso questa pietanza?

Si!

In che periodo dell’anno si fa più o meno questa pietanza?

Il periodo dell’anno è prima di Pasqua.

Quanto tempo deve riposare la pasta?

Eh, una mezzoretta deve riposare.

Quindi, se voi avete l’orto vuol dire che vi piace mangiare bene, per voi è importante?

Sì!

Perché?

È importantissimo, importantissimo anche per la salute. Noi non ci mettiamo nessun tipo di concime, nessun trattamento, naturalmente crescono!

Oltre all’orto nella campagna cosa avete?

Le arance e le olive!

Quindi tutti prodotti tipici?

Sì!

Nella pasta oltre all’olio vostra madre che cosa ci poteva mettere ai tempi antichi?

Ai tempi antichi si metteva “a nzugn’” (grasso di maiale), in dialetto novasirese, cioè lo strutto!

E veniva bollito?

Sì, è il grasso di maiale bollito e fatto “squagliare”(sciogliere) come un olio, poi si faceva raffermare e veniva la “nzugna”, lo strutto. Inizio a mettere la coppa(sulla pasta) così si ammorbidisce!

Ah, ora inizia il tempo che deve riposare?

Sì, deve riposare. Io ancora la lavoro! Prendo la carne e inizio a condirla.

Quindi, ricapitolando, cosa ci vuole per la carne?

Allora, per la carne ci vuole il sale, il pecorino, pepe, olio e prezzemolo fatto a pezzettini, adesso inizio a tagliare finemente il prezzemolo! Poi le uova, ci vogliono cinque uova, che deve venire abbastanza compatto!

Le uova servono per amalgamare la carne?

Sì, sì, perché deve venire abbastanza compatta.” “Adesso inizio a tagliare il prezzemolo sottile, sottile.

Il prezzemolo è della vostra campagna?

Sì!

Quanta carne avete preso?

Un chilo!

Per quattro persone?

Si, si, va benissimo! Adesso ci metto il sale, il pepe, le uova, ci metto il formaggio pecorino.

Perché pecorino?

Perché viene più saporito. Se ci vuole l’altro poi ce lo metto, un goccino di olio per ammorbidire e adesso giro!

E oltre con la carne si possono farcire anche con altri ingredienti? Ad esempio quali?

Ad esempio facciamo patate e cipolla a fettine, condite con formaggio, pepe e olio. Poi quelli di ricotta, la ricotta va condita con salsiccia, pepe, olio e formaggio a chi piace, in dialetto nostro si chiamano “i favl”.

Quelli con la ricotta?

Sì!

Poi con cos’altro?

Poi, schiacciata di patate, fatti con il purè di patate, con salsiccia, formaggio, uova. Poi si fanno quelli con le verdure, con le “biete” campestri che troviamo nei campi, “chì passlicchj” (uva passa). Oppure con gli spinaci e carne che sono buonissimi!

Con che carne quelli con gli spinaci?

Sempre con quella di maiale, perché viene molto saporita! Adesso ci metto un altro goccino d’olio (nella carne).

Quindi ci sono tanti modi per farli?

Tanti modi, di tutti i tipi!

Però i più antichi sono questi?

Questi e quelli con la ricotta, perché a quei tempi facevano il latte di pecora e li facevano. Ora la metto nel frigo(la carne) e poi dopo la prendo! Questo è il condimento!

E adesso riprendete la pasta?

Sì, mo la lavoro un altro poco, la faccio stare(riposare), così si ammorbidisce.

Cosa fate ora?

Adesso la taglio a pezzettini, tipo come dei panetti e poi li metto un’altra volta sotto la coppa così si ammorbidiscono ancora di più, si lavorano meglio

Quindi dopo?

Dopo viene stesa con il mattarello, “ù lagnatur” diciamo noi!

Dopo che l’avete fatta a panette?

Sì, sì! Mo mi avvicino il mattarello, la forchetta e la rotellina per tagliare a mezza luna la forma del “falagone”(calzone), poi la farina.

Vengono utilizzati ancora strumenti antichi?

Si, certamente! Ora inizio con il mattarello.

Inizi a stendere?

Sì, a stendere la pasta.

Ma deve venire molto sottile?

Eh un po’ si, non spessa” “mo faccio le “pinne”.

Cioè?

Le pinne di pasta, che poi vengono piegate a forme di mezza luna.

E ogni pinna di pasta ci esce?

Un falagone, un calzone. Va sempre girata per farla venire rotonda(la pinna di pasta).

Quanti calzoni, pastizzi, escono con un chilo di carne e uno di farina?

Eh, otto!

Quindi per quattro persone?

Sì, due ciascuno! Con un chilo di farina, un chilo e un pugno.

Viene lavorata molto?

Sì, per farla venire più o meno rotonda. Vedi, più o meno deve venire di questa forma e di un millimetro!

Ora la fase del riempimento, condimento?

Sì, prima accendo il forno!

A quanti gradi?

Riscaldato all’inizio a 250 gradi, poi lo abbasso a 180 gradi. Ora ne faccio un altro(di calzone). Ogni tanto la tiriamo la pasta così si stende meglio. Adesso preparo il condimento, prendo questa pinna qua e ti faccio vedere come viene condita. La giro così… assaggio se è buona di sale(la carne), adesso ne metto un altro po’ così viene più saporito. Si mette un pochino qua, si stende per bene con la forchetta, ci aiutiamo con la forchetta, si preme un poco, si piega (riferito ai calzoni).

Per chiuderli?

Sì! E si schiaccia con la punta delle dita

Poi assumono questa forma?

Sì, di mezza luna. Poi con la rotellina vedi? Si stacca piano piano(la pasta). Con la forchetta poi si pungono.

Perché?

Per fargli togliere tutta l’aria che nel calore si forma. Con la forchetta si chiudono ancora meglio. Questo è il calzone! Adesso preparo la teglia da mettere, ci mettiamo la carta da forno e si stende nella tortiera. Ne faccio un altro con lo stesso procedimento. Si stende bene con la forchetta, si piega a mezza luna, si schiaccia con le dita se no si aprono, si buca con la forchetta per far togliere l’aria in forno. Adesso li metto nel forno.

E quanto tempo devono stare?

Una mezzoretta, poi bisogna controllarli. Adesso li metto prima sotto, ho abbassato il forno e bisogna aspettare. Sono pronti! Sono cotti! Adesso li metto in un piatto.

Voi ci tenete alla presentazione generale del piatto?

Certo, si mettono in un piatto antico e su una tovaglia antica. Questa è la presentazione!

Quindi utilizzate tovaglia e piatti antichi?

Sì, per continuare la tradizione! Questi sono i falagoni, i pastizzi!

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I Pastizzi ca carn

 https://vimeo.com/89008325

Intervista a Maria D’Agostino.

Buongiorno!

Buongiorno!

Vi siete alzata presto stamattina?

Si, si, molto presto. Perché dovevo fare i servizi e i “pastizzi” con la carne, che sono i calzoni con la carne di maiale

Come la condite la carne?

La carne l’ ho comprata stamattina dal mio macellaio di fiducia e viene condita con: uova, olio, prezzemolo, formaggio, pepe e un goccino di olio per ammorbidire

E la prendiamo dopo?

Si, si, la prendiamo dopo perché “mo” (ora) devo impastare, devo “ammassare” (impastare) la pasta

Quanto tempo ci vuole per preparare questapietanza?

Bhè, un duo ore! Ora ho messo la farina, faccio una canaletta

Quindi sono calzoni ripieni di carne?

Si, di carne di maiale, che viene molto usata nelle nostre zone. Dopo fatta la canaletta ci metto l’olio, l’olio d’ oliva

Ok, l’olio è della vostra campagna?

Si, si, lo andiamo a raccogliere noi!

Quindi avete anche una campagna, roba genuina?

Si, tutta roba genuina, io faccio anche l’orto, faccio l’orticello mio, che mi vado a raccogliere le cose

Eh, che cosa avete coltivato nell’orto?

Nell’orto “mo” (ora) ho fatto, sto piantando i peperoni, melanzane, lattughe, zucchine, tutto che ha a che fare con questo periodo, tutto l’orto estivo

Ok, adesso che state mettendo insieme all’olio?

Il sale, un pochino di acqua e inizio ad ammassare(impastare)

Perfetto. E’ una pietanza tipica di Nova Siri?

Si, di Nova Siri e però anche di un paese vicino che si chiama Rotondella. Un paese molto vicino alle nostre abitudini di Nova Siri

Per quante persone state preparando?

Per quattro persone

Da chi avete imparato a fare questa pietanza?

Da mia mamma, da piccola. Adesso la sto ammassando la pasta

Quindi la carne l’avete presa dal vostro macellaio di fiducia?

Si, di fiducia!

Quindi avete la campagna, l’orto?

Si, si. Facciamo tutto noi, abbiamo le olive, ci facciamo l’olio

Ma trascorrete molto tempo in cucina?

Si, si, perché mi piace. Mi piace cucinare e fare le cose che mi ha insegnato mia madre da piccola, specialmente la pasta di casa, che sono i “frizzuli”(fusilli lunghi) con la mollica, i “rascatelli”.

Nella pasta (per i calzoni) quali ingredienti mettete?

Nella pasta ci metto: un bicchiere di olio d’oliva, un pizzico di sale e un pochino, un bicchiere di acqua tiepida. Così si amalgama bene, si ammorbidisce con l’acqua calda

Eh, ok, la carne come la condite?

La carne la condisco con: cinque uova, prezzemolo, formaggio pecorino, specialmente pecorino, il sale, il pepe e il prezzemolo

Va bene. Eh, a che età avete imparato questa pietanza?

Questa pietanza, da molto piccola!

Avete imparato da piccola a cucinare, perché?

Si, perché, perché avevo otto anni, perché mia mamma andava a lavorare in campagna, mi lasciava mio fratello di quattro anni. Io dovevo badare alla casa e a cucinare e quindi ho dovuto imparare, con piacer!

È un procedimento molto lungo?”(per preparare i calzoni)

Molto lungo, si, per questo ci vuole molto tempo, però alla fina ne vale la pena perché è buono!

I tempi di cottura dopo, di quanto saranno?

Eh, ci vuole una mezzora. Si, perché bisogna farli cuocere bene, perché se no poi la carne rimane cruda

Questo che attrezzo è?

Si chiama la “rasarola” in dialetto, che raccoglie tutta la farina e l’impasto

Sarebbe una palettina?

Si, una palettina!

È molto antica e tradizionale?

Si, della tradizione, questa è fatta a mano da un fabbro. Adesso la taglio (la pasta), così la impasto meglio, dopo che ho raccolto tutto!

Eh, quanto tempo ci vuole per impastare?

Mezzora ci vuole, perché la devi lavorare bene, perché deve venire liscia, la pasta deve venire molto liscia, non a grumi!

La fate spesso questa pietanza?

Si!

In che periodo dell’anno si fa più o meno questa pietanza?

Il periodo dell’anno è prima di Pasqua”

Quanto tempo deve riposare la pasta?

Eh, una mezzoretta deve riposare

Quindi, se voi avete l’orto vuol dire che vi piace mangiare bene, per voi è importante?

Si!

Perché?

È importantissimo, importantissimo anche per la salute. Noi non ci mettiamo nessun tipo di concime, nessun trattamento, naturalmente crescono!

Quindi oltre all’orto nella campagna cosa avete?

Le arance e le olive!

Quindi tutti prodotti tipici?

Si!

Nella pasta oltre all’olio vostra madre che cosa ci poteva mettere ai tempi antichi?

Ai tempi antichi si metteva “ à nzugn” (grasso di maiale), in dialetto novasirese, cioè lo strutto!

E veniva bollito?

Si, è il grasso di maiale bollito e fatto “squagliare”(sciogliere) come un olio, poi si faceva raffermare e veniva la “nzugna”, lo strutto. Inizio a mettere la coppa(sulla pasta) così si ammorbidisce!

Ah, ora inizia il tempo che deve riposare?

Si, deve riposare. Io ancora la lavoro! Prendo la carne e inizio a condirla

Quindi, ricapitolando, cosa ci vuole per la carne?

Allora, per la carne ci vuole il sale, il pecorino, pepe, olio e prezzemolo fatto a pezzettini, adesso inizio a tagliare finemente il prezzemolo!” “ Poi le uova, ci vogliono cinque uova, che deve venire abbastanza compatto!

Quindi le uova servono per amalgamare la carne?

Si, si, perché deve venire abbastanza compatta.” “Adesso inizio a tagliare il prezzemolo sottile, sottile

Il prezzemolo è della vostra campagna?

Si!

Quanta carne avete preso?

Un chilo!

Per quattro persone?

Si, si, va benissimo! Adesso ci metto il sale, il pepe, le uova, ci metto il formaggio pecorino

Perché pecorino?

Perché viene più saporito. Se ci vuole l’altro poi ce lo metto, un goccino di olio per ammorbidire e adesso giro!

E oltre con la carne si possono farcire anche con altri ingredienti? Ad esempio quali?

Ad esempio facciamo patate e cipolla a fettine, condite con formaggio , pepe e olio. Poi quelli di ricotta, la ricotta va condita con salsiccia, pepe, olio e formaggio a chi piace, in dialetto nostro si chiamano “i favl”.

Quelli con la ricotta?

Si!

Poi con cos’altro?

Poi, schiacciata di patate, fatti con il purè di patate, con salsiccia, formaggio, uova. Poi si fanno quelli con le verdure, con le “biete” campestri che troviamo nei campi, “chì passlicchj” (uva passa). Oppure con gli spinaci e carne che sono buonissimi!

Con che carne quelli con gli spinaci?

Sempre con quella di maiale, perché viene molto saporita! Adesso ci metto un altro goccino d’olio(nella carne)

Quindi ci sono tanti modi per farli?

Tanti modi, di tutti i tipi!

Però i più antichi sono questi?

Questi e quelli con la ricotta, perché a quei tempi facevano il latte di pecora e li facevano. Ora la metto nel frigo(la carne) e poi dopo la prendo! Questo è il condimento!

E adesso riprendete la pasta?

Si, mo la lavoro un altro poco, la faccio stare(riposare), così si ammorbidisce

Cosa fate ora?

Adesso la taglio a pezzettini, tipo come dei panetti e poi li metto un’altra volta sotto la coppa così si ammorbidiscono ancora di più, si lavorano meglio

Quindi dopo?

Dopo viene stesa con il mattarello, “ù lagnatur” diciamo noi!

Dopo che l’avete fatta a panette?

Si, si! Mo mi avvicino il mattarello, la forchetta e la rotellina per tagliare a mezza luna la forma del “falagone”(calzone), poi la farina

Vengono utilizzati ancora strumenti antichi?

Si, certamente! Ora inizio con il mattarello

Inizi a stendere?

Si a stendere la pasta

Ma deve venire molto sottile?

Eh un po’ si, non spessa” “mo faccio le “pinne”.

Cioè?

Le pinne di pasta, che poi vengono piegate a forme di mezza luna

E ogni pinna di pasta ci esce?

Un falagone, un calzone. Va sempre girata per farla venire rotonda(la pinna di pasta)

Quanti calzoni, pastizzi escono con un chilo di carne e uno di farina?

Eh, otto!

Quindi per quattro persone?

Si, due ciascuno! Con un chilo di farina, un chilo e un pugno

Viene lavorata molto?

Si, per farla venire più o meno rotonda. Vedi, più o meno deve venire di questa forma e di un millimetro!

Ora la fase del riempimento, condimento?

Si, prima accendo il forno!

Eh, a quanti gradi?

Riscaldato all’inizio a 250 gradi, poi lo abbasso a 180 gradi. Ora ne faccio un altro(di calzone). Ogni tanto la tiriamo la pasta così si stende meglio. Adesso preparo il condimento, prendo questa pinna qua e ti faccio vedere come viene condita. La giro così…assaggio se è buona di sale(la carne), adesso ne metto un altro po’ così viene più saporito. Si mette un pochino qua, si stende per bene con la forchetta, ci aiutiamo con la forchetta, si preme un poco, si piega (riferito ai calzoni)

Per chiuderli?

Si! E si schiaccia con la punta delle dita

Poi assumono questa forma?

Si, di mezza luna. Poi con la rotellina vedi? Si stacca piano piano(la pasta). Con la forchetta poi si pungono.

Perché?

Per fargli togliere tutta l’aria che nel calore si forma. Con la forchetta si chiudono ancora meglio. Questo è il calzone! Adesso preparo la teglia da mettere, ci mettiamo la carta da forno e si stende nella tortiera. Ne faccio un altro con lo stesso procedimento. Si stende bene con la forchetta, si piega a mezza luna, si schiaccia con le dita se no si aprono, si buca con la forchetta per far togliere l’aria in forno. Adesso li metto nel forno.

E quanto tempo devono stare?

Una mezzoretta, poi bisogna controllarli. Adesso li metto prima sotto, ho abbassato il forno e bisogna aspettare. Sono pronti! Sono cotti! Adesso li metto in un piatto.

Voi ci tenete alla presentazione generale del piatto?

Certo, si mettono in un piatto antico e su una tovaglia antica. Questa è la presentazione!

Quindi utilizzate tovaglia e piatti antichi?

Si, per continuare la tradizione! Questi sono i falagoni, i pastizzi!

 

Ricetta preparata da Maria D’Agostino intervistata da Ilaria Laruina a Nova Siri (MT) il 18 maggio 2013.

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La liquirizia lucana

La liquirizia è una pianta spontanea che prospera lungo le valli fluviali e sui litorali ed ha la particolarità di non essere gradita dagli animali al pascolo. Da questa pianta selvatica si ricava una radice che lavorata fin dall’antichità, viene impiegata nella produzione alimentare e farmaceutica. Attraverso l’originario procedimento di trasformazione della radice si ricava una pasta di colore nero che una volta lavorata a in panetti viene asciugata e commercializzata. In Basilicata la sua presenza è registrata lungo le valli dei prinvipali fiumi della regione (Bradano, Basento, Cavone, Agri e Sinni) e sopratutto lungo la costa jonica. Dai documenti storici sappiamo che la raccolta delle radici spontanee, poi sostituita dalla più evoluta coltivazione, e la loro commercializzazione interessò dalla fine del XVIII secolo e gli inizi del successivo i paesi di Bernalda, Tursi, Montalbano e Nova Siri con ulteriore propagine ai primi paesi della costa jonia calabrese. La produzione era tale da attirare speculatori da altre province che incettavano la materia prima, il cui principale mercato di distribuzione era quello di Bernalda. Ma ancora più interessante è il fatto che nell’allora territorio di Montalbano Jonico era presente una vera e propria struttura produttiva, il così detto ‘concio della liquirizia’ presso le tenute di Policoro. La raccolta della radice avveniva scavando con zappe e vanghe solitamente nel periodo compreso fra i mesi di novembre e marzo quando, perse le foglie, la pianta entra in fase vegetativa e si sviluppano le radici. La lavorazione della radice avveniva, poi, mediate l’utilizzo dei conci mobili che sfruttavano l’energia animale ed erano impiegati sul posto stesso di raccolta della materia prima che, bollita e lavorata, veniva infine trasformata in pannelli di pasta. Con il passaggio dalla produzione per il mercato locale a quelli nazionali ed internazionali e, quindi, con la necessità di una maggiore produzione si iniziò ad utilizzare i frantoi che impiegavano l’energia idrica prodotta dai limitrofi fiumi o canali di derivazione. Il termine ‘concio’ può indicare l’intera struttura produttiva come anche descrivere le proprietà aromatizzanti della liquirizia. Una terza accezione del termine ‘concio’ si riferisce invece esplicitamente al torchio di legno in cui venivano inseriti i fasci di giunco conteneti, in origine, la pasta di olive da spremere. Nel dettaglio dopo la raccolta, la radice veniva tagliata, lavata e quindi macinata nel concio, ottenendone così una prima pasta che veniva poi bollita in calderoni di rame per 12-15 ore. La nuova pasta così ricavata veniva successivamente passata sotto il torchio ricavandone un succo concentrato che veniva nuovamente bollito fino ad ottenerne una pasta. Questa dopo essersi asciugata veniva lavata e a questo punto le donne provvedevano a tagliarla e a darle la tipica forma in pennelli che venivano riposti in casse di legno, inserendo fra uno e l’altro degli strati di lauro. il succo di liquirizia trovava impieghi farmacologici (apparato respiratorio, ulcere, dermopatie, antisettico, antistaminico, diuretico, digestivo e lassativo) e nell’industria dolciaria, dei liquori, nella concia della birra e del tabacco. In Basilicata risultava attivo fra XVIII e XIX secolo il concio della liquirizia di Bernalda di proprietà del principe di Filomarino e gestito dal barone Giuseppe Compagna e Giulio Longo. Accanto a questo vi era, poi, quello di Policoro, attivo certamente dal 1785, di proprietà dei Gesuiti, ma gestito da privati e nel quale veniva lavorata la radice raccolta da Domenico Federici. Nel 1794, cacciati i Gesuiti dal regno, il concio insieme al feudo di Policoro vennero acquistati dai principi Serra di Gerace che portarono avanti l’attività in proprio, apportando modifiche ed innovazioni alla struttura produttiva, fra cui una delle prime presse idrauliche del Mezzogiorno (1840). La liquirizia di Policoro, riconoscibile dal marchio dei Serra di Gerace riconosciuto ufficialmente, veniva esprortata favorevolmente in Germania, Gran Bretagna e in America. Nel 1880 a gestire il concio di Policoro fu la ditta dei fratelli Gullo che dipendeva però dalla nuova ditta conduttrice Padula di Moliterno che aveva rilevato le tenute nel 1877. I principi Serra di Gerace poi vendettero le loro proprietà nel 1893 a Luigi Berlinghieri, unitamente al concio che proseguì la sua attività anche nei primi decenni del XX secolo.

(Articolo in corso di ultimazione)

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